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Suffragette

Lunedì 07 Marzo 2016 10:52 Pubblicato in Recensioni
La vittoria delle Suffragette, portò ad una delle più grandi rivoluzioni nella storia del genere umano. Un evento che ha condizionato più di duecento anni di storia che finora era stato ignorato (o quasi) dal mondo del cinema. La regista inglese Sarah Gavron, con il chiaro intento di raccontare questa storia alle nuove generazioni, ha messo su un cast di attrici ben note a dare voce a queste donne coraggiose. Maud Watts (Carey Mulligan) è una giovanissima madre e moglie che contribuisce al mantenimento della famiglia con il suo misero stipendio da operaia in una fabbrica di tessuti. Ci sono decine di migliaia di donne nella stessa condizione, sfruttate dal padrone senza scrupoli che non perde l’occasione di abusarne a suo piacimento. In questa Londra fumosa di metà del novecento, l’idea di poter dare il diritto di voto alle donne serpeggia per le strade. Signore di ogni estrazione sociale cominciano una guerra sottopelle per cambiare il destino delle proprie figlie, rompono le vetrine, appiccano incendi, entrano ed escono orgogliosamente dalla prigione. Dopo le umiliazioni ricevute dallo stato in cambio delle dimostrazioni pacifiche, passano all’azione con l’unica forma di dibattito che gli uomini comprendono: la guerra. Tra le militanti in prima linea c’è Violet (Anne-Marie Duff) una collega e amica di Maud che la coinvolgerà molto più del previsto nel suo giro di rivoluzionarie. Tra le più agguerrite c’è Edith Ellyn (Helena Bonham Carter) che usa la sua farmacia come copertura per una base operativa. Splendido è il ritratto della Signora Pankhurst, icona della rivoluzione realmente esistita, qui interpretata in una sola memorabile scena da Meryl Streep. Le figure maschili (come ci è stato spiegato dalla regista durante la conferenza stampa per la promozione del film a Roma) sono volutamente di secondo piano; per una volta le protagoniste sono solo donne perché questo accade raramente al cinema, ed è stato difficile trovare attori maschi disposti a fare queste parti marginali quando deprecabili, il marito di Maud è un inedito Ben Whishaw. Questo film girato nei luoghi dove i fatti sono realmente accaduti (Palazzo del Parlamento compreso su permesso esclusivo) è stato presentato come “non il solito film in costume” ma di fatto la ricostruzione precisa del periodo, il dispendio di comparse e costumi, la regia con il filtro polveroso e la recitazione teatrale (non che sia un male) ne fanno un film storico “da manuale scolastico” a tutti gli effetti. A svecchiare l’argomento c’è l’attualità delle tristi disparità che ancora ci sono tra i generi. 
 
Francesca Tulli

L'avenir. Berlinale66

Domenica 21 Febbraio 2016 14:23 Pubblicato in Recensioni
L’Avenir racconta la storia di Nathalie (Isabelle Huppert, La Pianista – 2001), donna affermata che insegna filosofia in una scuola di Parigi. La sua passione la porta a vivere una vita piena e movimentata. E’ sempre indaffarata tra i suoi libri, che sapientemente costruisce assaporando il piacere di trasmettere la voglia di riflettere, e la sua bella famiglia, composta dal marito Heinz (André Marcon, Marguerite – 2015) e da due splendidi figli. Ha spazio anche per consigliare un suo ex-alunno e per accudire l’eccentrica e depressa madre (Edith Scob, Holy Motors – 2012), che in ogni momento la chiama con delle richieste bizzarre. Il trascorrere del tempo è impostato sulla modalità mezz’età=raggiungimento della serenità ed il matrimonio sembra essere l’unica cosa non in movimento nella sua vita. Come si può interrompere la quotidianità? Con la scoperta che il marito la tradisce e che è pronto per lasciarla. Ora, dopo questo crack, Nathalie deve rimettere mano alla sua vita, ritrovando un’inaspettata libertà, che non sempre è sinonimo di felicità.
 
Things to Come, titolo in inglese stampato sulla locandina, racconta proprio i mutamenti della vita, quello che cambia ed il modo in cui noi esseri umani riusciamo ad adeguarci. 
Diretto dalla promettente regista francese Mia Hansen-Løve, l’Avenir si porta a casa dalla Berlinale 2016  l’Orso d’Argento per la miglior regia. La giovane autrice d’oltralpe cura anche la sceneggiatura ed aiutata dalla ferrea maturità della sua protagonista Isabelle Huppert, confeziona un film intimista sulle assenze e sull’auto consenso. 
Movimenti di macchina inquieti e vivaci, come la sua protagonista, sia alternano a riprese più morbide e lineari. Tecniche che rendono il senso di apatia e lo spirito di rivalsa leggibile allo spettatore. Si cammina sempre su un selciato che sta in mezzo tra questi due stati d’animo. Lo si percorre con rigore narrativo, equilibrando il tutto con una deliziosa ironia.
Viviamo tante vite nella vita stessa, la regista riesce a farle salire in superficie e a farle affondare senza mai cadere nella retorica.
 
Insegnamenti, rivoluzioni ed elaborazioni del lutto fisico, ma anche sentimentale attraversano l’immaterialità del tempo e sanciscono la crescita della protagonista. 
Che rinasce quando diventa nonna, sprofonda davanti ai libri condivisi con il compagno di una vita ed assapora un’inaspettata pienezza quando redarguisce il suo ex-allievo Fabien (Roman Kolinka). Il giovane vede nell’anarchia la via della rivoluzione. Nathalie afferma che la vera rivoluzione è allevare dei figli e sapergli dare le coordinate per la giusta via. 
Lascia andare anche il gatto della madre morta da poco, eliminando così affanni e sensi di colpa, lanciando metaforicamente lo spirito della madre verso una libertà, che non ha mai avuto.
 
L’Avenir è senza dubbio un esempio di come il cinema francese non rimane mai al palo. Legge perfettamente i tempi e grazie alla sua grande versatilità ed apertura al mondo offre un prodotto di alto livello. La Francia dopo i due attentati terroristici subiti, vive un clima particolare. E’ ferita, ma capace nella tragedia di tirar fuori la sua anima, senza mai arrendersi. Un po’ come la nostra protagonista, una gigantesca Isabelle Huppert, colonna vertebrale della pellicola.
 
David Siena
 

Nuovo Cinema Aquila parte civile nel processo antimafia

Giovedì 03 Marzo 2016 22:15 Pubblicato in News
Diffondiamo il comunicato dell'ex dirigenza del Nuovo Cinema Aquila in merito alla vicenda che l'ha vista coinvolta assieme a tutti gli ex dipendenti, nella speranza che possa essere fatta luce al più presto sui fatti che hanno portato alla cessazione delle attività.
 
"Il Tribunale di Roma riconosce la N.C.A. Coop. Soc. ONLUS come Parte Civile nel processo Cup Lazio – stralcio del processo principale cd Mafia Capitale - contro l’ex-Presidente del Sol.co Mario Monge e l’ex-Capo Gabinetto del Presidente della Regione Lazio, Maurizio Venafro.
Questa decisione conferma, se ce ne fosse ancora il bisogno, la totale estraneità del gruppo dirigente del Nuovo Cinema Aquila (Fabio Meloni, Domenico Vitucci e Adele Dell’Erario) da tutte le faccende che hanno coinvolto l’ex Presidente del Consorzio Mario Monge. 
 
 
Questa importante Ordinanza del Tribunale di Roma riaccende i riflettori su tutta la controversa vicenda del cinema del Pigneto, tutt’oggi chiuso, e conferma quanto sostenuto dalla ex direzione del cinema da diversi mesi a questa parte:
il Nuovo Cinema Aquila, cioè, non è stato revocato per le vicende relative all’inchiesta  conosciuta come Mafia Capitale, né tantomeno per “inosservanza di regolarità contributiva", bensì solo ed unicamente per una supposta "subconcessione non consentita". Su tale decisione, peraltro, non è ancora intervenuta la sentenza nel merito da parte del Tar.
Restano in piedi quindi tutti gli interrogativi posti fin dall’inizio della vicenda sul perché di una scelta tanto drastica da parte dell’Amministrazione Capitolina che ha trattato la Direzione del Nuovo Cinema Aquila alla stregua di personaggi come Buzzi e Carminati, infangando l’immagine di professionisti che, invece, hanno trasformato una struttura comunale in un grande polo del cinema riconosciuto a livello nazionale.
Alla luce dell’Ordinanza del Tribunale di Roma, quindi, l’ex Direzione del Nuovo Cinema Aquila si tutelerà nelle competenti autorità giudiziarie, nessuna esclusa, nei confronti di chi continuerà a sostenere versioni non corrispondenti al vero."

Lo chiamavano Jeeg Robot: Un'emozione da poco

Giovedì 03 Marzo 2016 21:50 Pubblicato in Full Screen

Luca Marinelli durante una scena di "Lo chiamavano Jeeg Robot" (Gabriele Mainetti, 2015)