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Amleto - National Theatre Live

Martedì 19 Aprile 2016 11:18 Pubblicato in Recensioni
Chiunque abbia l'attenzione rivolta verso le grandi produzioni del teatro inglese, in questi ultimi anni avrà sicuramente sentito parlare di Amleto con Benedict Cumberbatch nel "title role". Biglietti esauriti immediatamente alla prevendita, code chilometriche davanti le porte del Barbican Centre, divieti assoluti di fare foto e filmati durante la rappresentazione(a buon ragione) le fan dell'attore lo hanno aspettato ogni sera per una stage door (e sono state spesso accontentante). E' stata una delle produzioni più chiacchierate e fruttuose degli ultimi anni (accanto al Richard II con David Tennat e il Coriolanus con Tom Hiddleston). Oggi e domani (19 e 20 aprile) grazie all'annuale rassegna del National Theater Live, potrete vederlo al cinema, la registrazione dal vivo non è priva di difetti, nulla può dare una visione d'insieme come l'esperienza del palcoscenico, ma rende bene l'atmosfera e permette a tutti di apprezzare questa grande opera secolare. Amleto è  uno dei personaggi più amati e conosciuti dal genere umano. Sono proverbiali i suoi monologhi, come le sue vicende. La madre sposa lo zio, assassino di suo padre, lo spettro del suo caro defunto lo spinge alla vendetta e lo trascina in un vortice di follia che coinvolge tutto il suo mondo, compresa l'amata Ofelia. Benedict Cumberbatch ha il merito di aver portato in spalla (per tre mesi consecutivi) l'intero cast, proponendo al pubblico (grazie alla sua popolarità) non solo la sua interpretazione, naturale e convincente, ma anche le incisive prestazioni di Ciràn Hinds potente e maligno nel ruolo dello zio Claudio e Sian Brooke l'Ofelia "fotografa" che da il meglio di se nel finale, fragile ed estraniante. Il regista Lindsey Turner aveva spostato inizialmente "Essere o non essere" al principio, perché il pubblico si concentrasse sulle altre scene che lo precedono, sono "le battute più conosciute al mondo" ha spiegato, "il trucco è recitarle come se fossero state scritte ieri" ha aggiunto Cumberbatch, indubbiamente pronunciarle è sogno e la croce di tantissimi attori. La scelta di separare queste parole dal contesto non è piaciuta, evidentemente Shakespeare non può essere reinterpretato mai alla leggera, motivo per cui in questa versione, e dopo due settimane di rappresentazioni, il monologo è stato rimesso al suo posto. Le scenografie di Es Devlin sono sontuose ed eleganti, ci spostiamo dall'atrio della reggia di Danimarca alla polvere del campo di battaglia inglese senza neanche percepire il cambio a vista. Lo stesso non si può dire per i costumi, Katrina Linsay, veste Amleto come una rock star, T shirt con (l'immortale) David Bowie e frak azzurro verniciato di bianco con a vista la scritta "King" sulla schiena, Ofelia con un orrendo pantalone giallo fosforescente e una camicetta bianca sciatta legata con una cinta di corda, Orazio (Leo Bill) con i tatuaggi e vista e lo zaino da boy scout sulle spalle,  abiti moderni come si conviene ad ogni spettacolo classico riproposto a Londra, ma troppo chiassosi, solo la regina Gertrude (Anastasia Hille) madre del principe protagonista, veste un decadente ma elisabettiano abito da sposa nel banchetto del primo atto. Gli effetti speciali definiti dalla BBC "da blockbuster" sono indubbiamente d'effetto, l'apparizione dello spettro del padre (un ottimo Karl Johnson) è favorita dalle quinte del teatro e merita un'attenzione particolare alle luci. Il "marcio in Danimarca" lo hanno visto tanti critici nella madre patria ma non c'è, è una rispettosa e visiva immersione nell'opera che mai dovrebbe rimanere sepolta nel tempo solo per non temere confronti con le rappresentazioni passate. Dal 1600  al 2015 (e oltre) viene ancora interpretata e amata dal pubblico di tutte le età, perché Shakespeare parla ad ogni donna e ad ogni uomo, in ogni epoca in ogni tempo e a Benedict Cumeberbatch, tanto di cappello. 
 
Francesca Tulli

David 2016: Tutti i Vincitori

Martedì 19 Aprile 2016 10:34 Pubblicato in News
Si è svolta ieri, presso gli studi De Paolis in via Tiburtina a Roma, la cerimonia di premiazione della 60esima edizione dei David di Donatello, il premio indetto dall'Accademia del Cinema Italiano. 
A condurre la serata, andata in onda sui canali Sky e in chiaro su TV8, Alessandro Cattelan con interventi anche di Francesco Castelnuovo e Gianni Canova. A presentare i premi stelle del calibro di Paola Cortellesi, Dante Ferretti, Stefano Accorsi, Christian De Sica, Nicola Piovani, Anna Foglietta, Valeria Golino, Francesco Pannofino, Vittorio Storaro, Michele Placido, Toni Servillo.
A vincere il premio come miglior film Perfetti Sconosciuti, premiato anche per la miglior sceneggiatura. Miglior regista a Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti, che ha ottenuto anche altri sei riconoscimenti tecnici. La vera star della serata è stata però Lo Chiamavano Jeeg Robot, vincitore di sette premi (tra le 16 nomination che aveva ricevuto) tra cui miglior attore, migliore attrice, miglior attore non protagonista, miglior produttore e miglior regista esordiente entrambi a Gabriele Mainetti e di un premio collaterale, il Mercedes-Benz Future Awards. Grande delusione invece per Non Essere Cattivo, l'opera postuma di Claudio Caligari che si aggiudica, inspiegabilmente, solo il premio miglior fonico di presa diretta per il lavoro di Angelo Bonanni. Assegnati fuori dalla serata di gala i premi come miglior film straniero a Il Ponte delle Spie e miglior film europeo a Son of Saul. 
 
 
Di seguito l'elenco completo dei premiati 
 
Miglior Film: Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese
Miglior Sceneggiatura: Rolando Ravello, Paola Mammini, Filippo Bologna, Paolo Genovese, Paolo Costella per Perfetti Sconosciuti
Miglior Attore Protagonista: Claudio Santamaria per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attore Non Protagonista: Luca Marinelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Protagonista: Ilenia Pastorelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Non protagonista: Antonia Truppo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Regista Esordiente: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Produttore: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Cortometraggio: Alessandro Capitani per Bellissima
Miglior Montatore: Federico Conforti e Andrea Maguolo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Autore della Fotografia: Peter Suschitzky per Il Racconto dei Racconti 
Migliori Effetti Digitali : Makinarium per Il Racconto dei Racconti 
Miglior Fonico di Presa Diretta: Angelo Bonanni per Non Essere Cattivo 
Miglior Regista: Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti 
Miglior documentario di lungometraggio: S Is For Stanley di Alex Infascelli
Miglior Film dell'Unione Europea: Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes
Miglior Film Straniero: Il Ponte delle Spie di Steven Spielberg
Miglior Costumista: Massimo Cantini Parrini per Il Racconto dei Racconti
Miglior Truccatore: Gino Tamagnini, Leonardo Cruciano, Valter Casotto, Luigi D'Andrea per Il Racconto dei Racconti
Miglior Musicista: David Lang per Youth
Miglior Canzone Originale: Simple Song #3 di Sumi Jo e David Lang per Youth
Miglior Acconciatore: Francesco Pegoretti per Il Racconto dei Racconti
Miglior Scenografo: Alessia Anfuso e Dimitri Capuani per Il Racconto dei Racconti
Premio David Giovani: La Corrispondenza di Giuseppe Tornatore
Mercedes Benz Future Award: Lo Chiamavano Jeeg Robot
 
Chiara Nucera

Hardcore!

Giovedì 14 Aprile 2016 22:17 Pubblicato in Recensioni
Hardcore! si presenta come un prodotto innovativo per il cinema moderno che abbraccia più generi, in una ricerca di assoluta originalità che tuttavia stride.
É infatti il primo film interamente girato in soggettiva muovendosi sulla scia degli Sparatutto colpendo la fascia di pubblico più sensibile, ovvero quella dei ragazzi e degli appassionati di videogames. 
Il risultato non è sorprendente: nonostante la curata colonna sonora pompata al massimo e adrenalinica (una delle cose più riuscite di tutto il lavoro), la partenza è fiacca e abbastanza confusa.
La storia, molto semplice, e per buoni tratti poco lineare, ci presenta il cyborg Henry che si trova in costante fuga contro tutto e tutti per una lotta alla sopravvivenza che lo porterà a ritrovare la sua originaria natura umana, parallelamente al riaffiorare dei ricordi.
La trama è però abbastanza poco originale, a volte banale, richiama facilmente quei nostalgici amanti di Silent Hill, o dei più moderni Far Cry con un miscuglio di cinema fantascientifico di 10/20 anni fa, talvolta scontrandosi con l'horror alla Romero, con un esercito di zombi pronto ad assalirti dietro ogni angolo. 
Ai primordi del film c'è però un videoclip, quello che il filmmaker e cantante Ilya Naishuller, frontman del gruppo punk Biting Elbows, realizza per “Bad Motherfucker”, una vicenda dai risvolti  fantascientifici vissuta dall'ottica del protagonista. Il video riscuote talmente tanto successo divenendo un fenomeno virale che raggiunge i 120milioni di visualizzazioni. A seguito di questa popolarità, il produttore Timur Bekmambetov, contatta Naishuller incoraggiandolo a sviluppare in un lungometraggio il concept di partenza, al quale dopo vari passaggi approda come spercial guest Sharlto Copley (Elysium, District 9, Maleficent) con un ruolo scritto su misura per lui. Girato quasi interamente a Mosca e alcuni giorni a Los Angeles, in location reali e con macchine da presa GoPro3 attaccate ad appositi caschi, oltre che con equipaggiamenti creati ad hoc, Hardcore! vorrebbe abbandonare i vecchi canoni della cinematografia sostituendoli con un'esperienza cruda e immediata per il suo pubblico, abbattendo il confine dello schermo.  I social media hanno avuto un'importanza fondamentale per la produzione realizzata anche grazie al sostegno dei numerosissimi fan, avvertiti in maniera capillare del progetto, che hanno aderito ad una campagna online lanciata sul portale di Indiegogo. Purtroppo diversi sono i punti oscuri di questo lavoro che avrebbe meritato maggiore attenzione soprattutto in fase di scrittura, svecchiando un po' la storia che per ora rimane qualcosa di sicuramente già visto perché cristallizzato nei ricordi di almeno un paio di generazioni, nonostante l'affannoso tentativo di novità. Un inaspettato cameo di Tim Roth ci riscatta dall'immagine di un cattivo involontariamente troppo simile ad un incrocio tra Michael Pitt di “Last Days” e Biff Tannen di “Ritorno al Futuro – Parte II”.
 
Chiara Nucera

Il libro della giungla

Mercoledì 13 Aprile 2016 21:58 Pubblicato in Recensioni
"Bastan poche briciole" o forse no, non basta solo questo per realizzare la versione live action di un classico Disney che ha incantato due generazioni. Dopo aver addolcito "Maleficent", aver rispolverato fedelmente "Cinderella", questa è la volta de "Il Libro della Giungla". Con la regia di Jon Favreau, il viaggio di crescita e scoperta del piccolo Mowgli diventa un polpettone di CGi e recitazione tradizionale, adattissimo per i gusti dei bambini di oggi meno per quelli di "ieri". Educato dalla pantera Bagheera, adottato dal branco dei lupi sotto la guida del saggio Akela e l'istinto materno di Raksha, successivamente tentato da una vita tranquilla tra pisolini e dolce miele dall'orso Baloo, Mowgli dovrà durante la sua avventura (ricca di incontri bizzarri) difendersi e scontrarsi con la tigre Shere Khan che su di lui vuole riversare tutto l'odio che prova per gli esseri umani. Se per Kipling autore del romanzo di formazione per eccellenza (parliamo del 1894) "la legge della giungla" aveva un forte valore educativo, qui viene sfruttata e definita come uno slogan di "propaganda" di cui non si coglie la vera morale. Gli occhi degli attori umani che danno la voce ai personaggi nalla versione originale (per citarne uno Andy Serkis è Baloo) si fondono con la mocap con i corpi degli animali generati al computer, Weta Digital e Moving Picture Company rispettano la giusta legge del cinema "mai lavorare con gli animali" ottenendo degli ibridi cartoonistici che non hanno nello sguardo né l'onestà delle belve né la forma tangibile dell'uomo. Precisiamo, nessuno avrebbe voluto vedere dei veri animali sfruttati per la pellicola, ma film come Vita di Pi di Ang Lee dimostrano come sia possibile generare qualsiasi tipo di creatura in CGi senza torcere un pelo a nessuno. L'antico detto diceva anche che nello spettacolo non bisogna "mai lavorare con i bambini" cosa che invece qui è avvenuta con successo grazie alla partecipazione di Neel Sethi (13 anni) che interpreta bene il ruolo di " figlio dell'uomo". Il ragazzo ha dimostrato di avere una grande immaginazione considerando che la giungla che ha esplorato sul set era costituita solo da schermi blu e verdi. "Se un cucciolo può farlo allora, non c'è niente da temere" scriveva Kipling, infatti Mowgli è fin troppo coraggioso, non teme nulla, forse solo le punture delle api che lo riempiono di pustole che spariscono con la sola applicazione del miele nella scena successiva (non cerchiamo il realismo in un film con degli animali parlanti ma almeno una coerenza tra una scena e l'altra!). La sorte destinata ad Akela è ingloriosa: oltre ad essere diversa sia dal classico di 49 anni fa sia dal libro è un commiato con lo spettatore totalmente privo di catarsi. Nei film recenti della Disney, troppo spesso per evitare i traumi causati in passato (chi non si è ancora ripreso dalla morte della madre di Bambi? ) si cerca di far evitare ai bambini di conoscere la morte, di questo passo perderemo delle scene memorabili, di ispirazione shakespeariana, che rendevano grandi film come "Il Re Leone".  I fondali, non bisogna negarlo, hanno una qualità eccellente, gli agenti atmosferici cambiano con naturalezza, tutto l'ambiente si percepisce come una proiezione della vera foresta tropicale. Una eco del cartone animato si avverte nella colonna sonora di John Debney: Baloo e Mowgli cantano la celebre canzone "Bare Necessities" che in italiano ha subito dei lievi cambiamenti, Neri Marcoré voce dell'orso, ci dice, durante la conferenza stampa di promozione del film, che è stato lui stesso a decidere queste variazioni per una più coerente corrispondenza con il labiale. Il doppiaggio è ottimo e, dopo quasi 20 anni da quando interpretò il satiro Filottete in Hercules, torna a lavorare ad un film Disney anche Giancarlo Magalli, nel ruolo di Re Louie: "prima una capra ora orango ciccione sceglieranno il doppiatore in base alle fotografie" ha commentato con sarcasmo. L'appeal da videogioco e i colpi di scena decisamente ad effetto, ad una prima visione, così come il rapporto ben giocato tra madre adottiva e figlio di una razza diversa portano l'insieme a funzionare come buon film per le nuove generazioni, intrattiene e porta alla luce i temi della diversità e della tolleranza, ma alla fine (letteralmente) quello che manca è "Lo stretto indispensabile". 
 
Francesca Tulli