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The Beatles-Eight Days a Week

Mercoledì 14 Settembre 2016 14:07 Pubblicato in Recensioni
John, Paul, Ringo and George are the Beatles! Il regista statunitense Ron Howard in questo documentario ripercorre i primi cinque anni (1962-1966) della loro carriera, da quando erano famosi per essere i “bravi ragazzi” a quando in America i loro ex sostenitori arrivarono ad accusarli di blasfemia facendo un falò con i loro vinili, fino alla grande ripresa, con l’ottavo album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ogni aspetto viene affrontato con delicatezza, senza indugiare sulle speculazioni, senza toccare nello specifico, la loro vita privata. A differenza delle monotone esposizioni di fatti, date e cronaca nera che riporta talvolta la televisione, i quattro ragazzi di Liverpool vengono celebrati con entusiasmo da tutti coloro che hanno vissuto la loro epoca d'oro. Inizialmente poveri, indossate le giacche nere e tagliati i capelli con il caschetto a cipolla, presi “per mano” da Brian Epstein il loro manager, in soli quattro anni raggiunsero un successo senza precedenti da Londra agli Stati Uniti fino in Giappone riempiendo gli stadi di fans. Folle inferocite di più di ottomila persone li seguivano, facendo di loro un “pericolo” pubblico, era la rivoluzione giovanile, il “primo vero” fenomeno dei “fans” le ragazze si appuntavano le spille con il nome del favorito, si strappavano le chiome, urlavano, rischiavano la vita sulle balaustre degli stadi solo per vederli dal vivo. “Quando un calciatore fa Goal la gente grida più forte, noi dobbiamo solo scuotere la testa: quando lo facciamo loro impazziscono. E’ come fare Goal” affermano durante un’intervista spiritosi e ‘sfrontati’ senza essere cattivi le loro personalità vengono fuori mantenendo una continuità tra i filmati d’epoca e le interviste fatte oggi. La musica è la vera protagonista del film, dalla naturale creazione dei molteplici testi scritti in macchina in mezz’ora da John e Paul, alle registrazioni in studio “8 giorni alla settimana” del titolo, fino all’utilizzo di questo linguaggio universale per abbattere le differenza sociali contro le leggi razziali. Whoopi Goldberg da fan racconta di come quei quattro 'bianchi' le abbiano 'indirettamente' trasmesso la sicurezza per affermarsi come donna e artista. I Beatles vengono ritratti come 'Il gruppo ideale di amici' 'i confidenti' immaginari di una generazione. Il documentario (in Italia distribuito da Lucky Red al cinema dal 15 al 21 di settembre) ha ricevuto un'ottima accoglienza dai fan e dai neofiti perché è accessibile a tutti. Alla fine del documentario, vengono mostrati in esclusiva 30 minuti di footage, remasterizzazione a 4K dell’iconico concerto del 15 Agosto del 1965 presso lo Shea Stadium di New York, che contava più di sedicimila partecipanti. Ignari del successo che avrebbero ricevuto rispondevano a chi gli chiedeva se la loro musica avrebbe potuto portare ad un cambiamento culturale? “Quello che facciamo non è cultura! È solo divertimento”.
 
Francesca Tulli

Neruda

Sabato 21 Maggio 2016 15:15 Pubblicato in Recensioni
Presentato in anteprima mondiale alla Quinzaine des réalisateurs e ripresentato in occasione della 73esima Mostra del Cinema di Venezia, l’ultimo lavoro di Pablo Larrain è un film atipico, forse difficile da inquadrare, ma artisticamente geniale; lavora con diverse forme d’arte realizzando un’opera armoniosa, che rapisce ed emoziona.
 
Cile, fine degli anni quaranta. Il poeta, ma anche uomo di politica Pablo Neruda (Luis Gnecco), viene ricercato dalla polizia dopo che il governo di Videla (Alfredo Castro) ha cambiato radicalmente i propri ideali. Lo stato, che fino ad allora era di tendenza comunista, è passato repentinamente a destra. Neruda, convinto sostenitore del popolo, non ha barattato i suoi ideali. E’ diventato così l’uomo a cui dare la caccia, nemico del partito in carica. Il poliziotto Peluchonneau (Gael Garcia Bernal) è l’incaricato di catturarlo. 
 
Come si è già potuto capire dalla sinossi, non siamo di fronte ad un classico biopic. Potrebbe altresì sembrare un film politico, ma anche questa strada non è da percorrere. Forse stretta analisi della poesia nerudiana? Proprio no. 
È un film che racconta semplicemente la storia del Cile e lo fa attraverso i personaggi sopra menzionati. Le sue città e le persone che le pongono: l’aristocrazia del potere, gli intellettuali, le povere famiglie, i bordelli, fino ad arrivare ai piccoli agglomerati delle praterie e alla propria natura e vegetazione, che ci fa scoprire la sua inaspettata anima western, donata alla pellicola in un surreale finale.
 
Cineasta innovativo, osannato dalla critica per i suoi ottimi lavori, che spaziano da Tony Manero a No, I giorni dell’arcobaleno, Pablo Larrain dirige il suo Neruda con mano morbida e mai pesante. Visionarietà spiccata, che viene fuori celando la figura del Premio Nobel per la Letteratura in inquadrature ingannevoli. Quando ci accorgiamo della sua presenza sembra di guardare un quadro prendere vita. Omaggio all’arte, che da un significato all’esistenza.
Attraverso la glorificazione della narrazione, novella nella novella, scopriamo quanto il narratore della storia, il commissario Peluchonneau debba la sua esistenza proprio all’artista Neruda. Identificazione dell’inseguitore, al quale viene data una vita. Nasce così un rapporto tra i due che va oltre il realismo, diventa qualcosa di surreale, che si ripete all’infinito. Come l’arte stessa: senza tempo ne luogo. Celluloide, che diventa la tela dell’artista sulla quale imprimere il proprio volere e donare all’opera stessa: un nome, una vita propria e una libertà eterna. 
 
Enorme lavoro fatto in fase di stesura della sceneggiatura da parte di Guillermo Calderón, scrittore che aveva già collaborato con Larrain per il Club. Le molteplici e complicate sfaccettature dello script non appesantiscono, anzi, lo spettatore si lascia condurre dall’andamento dello spettacolo verso un comodo e caldo approdo riparatore. Racconto sanificatore che ricorda le ballad del cantastorie Bruce Springsteen e della sua Ghost of Tom Joad. Armonica che ristora i cuori della povera gente oppressa dalla polizia. 
 
Un film da non perdere, fotografato su toni scuri nella prima parte, dove vige un clima di oppressione e persecuzione. Svolgimento del testo in luoghi chiusi ed artificiali. La strada verso le libertà risplende poi di luce naturale, in spazi luminosi dai sapori country contornati dalla purezza della neve. Insomma un lavoro magistrale questo Neruda, speriamo di vederlo presto distribuito in Italia.
 
David Siena
 

La La Land

Domenica 11 Settembre 2016 08:45 Pubblicato in Recensioni
Lo scorso anno “Everest”, film d’apertura dell’edizione 72 della Mostra del Cinema di Venezia, aveva portato il gelo sul Lido, raffreddando da subito gli animi. Quest’anno invece, un sole caldo caldo scalda i nostri cuori e li tocca con la musica dell’amore. Grazie a La La Land (pellicola scelta per aprire Venezia 73), musical romantico dal sapore vintage diretto da Damien Chazelle, regista del pluripremiato Whiplash (2014). Sembrerebbe proprio un film necessario in questi periodi storici, inzuppati del male più bieco. Un film che ci riconcilia con la vita e ci fa riscoprire i buoni sentimenti. La nascita dell’amore e il suo piacevole andamento musicale trasporta i due protagonisti, Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling), verso la realizzazione dei propri sogni. La semplicità e la forza del sentimento più potente che ci sia dovrebbero farci capire che le dannazioni dell’animo contemporaneo sono solo una nostra creazione. Sarebbe tutto così lineare se solo non ci lasciassimo influenzare dalle mode, che sentono solo la voce dell’apparire e del dover soffrire in continuazione nel raggiungimento e nel compimento dell’amore. Bentornati sognatori, questo è il film per voi. 
 
“La” è la particella musicale per indicare L.A. (Los Angeles), luogo dove è ambientato il film. Qui, la giovane aspirante sceneggiatrice/attrice Mia incontra il musicista jazz Sebastian. Non subito scatta la scintilla, ma quando i sogni contaminano la vita dell’altro è impossibile non farne parte. Passione e aspirazione muovono il mondo e anche i giovani innamorati verso le proprie destinazioni finali. Non sarà una strada semplice da percorrere perché la città degli angeli è di nascita castrante e le frustrazioni non mancheranno, ma in questo inno ai sognatori ad un certo punto le strade, gli Studios e le feste assumeranno una parvenza irreale da far sembrare Los Angeles un paradiso. 
 
Damien Chazelle non abbandona la passione per il Jazz e ci coccola con una colonna sonora, che sostanzialmente sorregge l’intera pellicola. Onirico di nascita, La La Land non è solo un ottimo esercizio di stile, è anche un film emozionale, che ci avvolge nella sua magia con riprese continue dove i tagli sono pressoché assenti. Il regista dimostra competenza con la macchina da presa portandoci con garbo nelle atmosfere della Hollywood che fu. Il prologo è un omaggio ai musical americani, un lungo piano sequenza che strappa applausi. La cinepresa danza a ritmo di musica.
Nello sviluppo della drammaturgia, curata anch’essa da Chazelle, vengono intrecciaci modelli di influenza tra il passato e il presente. Variabili che consentono alla narrazione di modernizzare il genere, portando un certo tipo di musical demodé accessibile alle nuove generazioni. Condivisione di una memoria che viene attualizzata. Nella parte centrale della pellicola vi è un leggero affossamento di ritmo ed alcuni snodi nella sceneggiatura sembrano essere troppo legati ai classici cliché. Ma la forza di La La Land sta proprio nell’uscire dalla buca della convenzionalità e sorprenderci con un finale che ribalta i concetti base del musical americano più radicale. Reale e sincronico senza perdere di vista l’aspetto poetico. Malinconia ed una non trascurabile dose di amarezza contaminano uno dei generi intoccabili di Hollywood, perché prima o poi la canzone finisce e l’apoteosi del ritornello deve arrendersi alle note più tristi. Mai drammatiche, con un assenso verso la positività di vivere che ringrazia dell’amore ricevuto.
 
Attentamente curato dal punto di vista estetico il film non si dimentica di omaggiare icone del passato: i migliori jazzisti, la musica anni 80, il tip tap, attori e locandine di meravigliosi film. 
 
Bisognerà aspettare fino al 2017 per vedere al cinema quest’opera, che potrebbe sembrare un po’ stramba, ma a conti fatti affascina con discreta eleganza. La La Land non si trascina, ma ci trascina in un mondo magico, che riapre i nostri cassetti della memoria legati a musical come West side story ed Un Americano a Parigi. La sua leggerezza potrebbe fare da trampolino per una vagonata di nomination all’Oscar 2017, sinceramente meritate.
 
David Siena
 

Venezia 73. Conclusioni finali e tutti i vincitori

Domenica 11 Settembre 2016 08:25 Pubblicato in News
Giunta a termine la 73 esima Mostra del Cinema di Venezia iniziamo a tirare le somme di questa prestigiosa manifestazione che come ogni anno sorprende e diverte senza mai smettere di emozionare. Molti infatti sono stati i film che hanno suscitato clamore, appassionando critica e pubblico, e altrettanti sono stati quelli che hanno deluso le aspettative divenendo terreno di discussioni e posizioni contrastanti. Questa è Venezia, e come ogni anno anche quest'anno per undici magici giorni ci si è lasciati alle spalle una realtà costellata di problemi per poter godere di un cinema che incanta e ci fa dimenticare per un momento gli affanni. La 73esima Mostra del Cinema si apre con brio e romanticismo sulle note dell’acclamato La La Land di Damien Chazelle con Ryan Gosling e Emma Stone, per poi chiudersi in tono più burrascoso con la pellicola fuori concorso The Magnificent Seven di Antoine Fuqua, remake dell'omonimo film diretto da John Sturges del 1960. Una ricca parata di star ha invaso la Laguna in questi dieci giorni, regalandoci  momenti di entusiasmo e spettacolo.
 
 
Sono i protagonisti di una mostra in cui si incontrano grandi maestri del cinema e giovani promesse, volti che calcheranno tanti altri tappeti rossi.  Intanto gettiamo luce sulle premiazioni collaterali che si sono svolte poco prima della fine della mostra. Il giovane colombiano Juan Sebastian Mesa vince alla Settimana della Critica con il suo Los Nadie, film girato in sette giorni con un budget di soli 2000 dollari; mentre il Venice Days Award se lo aggiudicano Andreas Dalsgaard e Obaidah Zyton con The War Show, documentario girato in Siria, testimonianza di un paese all’alba di una guerra civile. Il premio Pasinetti per il miglior film va a Edoardo De Angelis con Indivisibili , terzo lungometraggio del regista napoletano che segna l’esordio di Angela e Marianna Fontana protagoniste del film e della menzione speciale Pasinetti. Il discusso Piuma (che tanto ha diviso) diretto da Roan Johnson vince il premio Civitas Vitae e il premio special Pasinetti per il cast. Spira Mirabilis di  Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, e Voyage of Time di Terrence Malick ottengono in ex-aequo il trofeo Green Drop Award 2016, istituito da Green Cross Italia e che quest’anno premia due opere capaci di sensibilizzare eccezionalmente il delicato rapporto tra uomo e ambiente. Dopo aver gettato un breve sguardo sui premi collaterali ora ocupiamoci di quelli più prestigiosi. All’interno del Concorso Orizzonti ad aggiudicarsi il premio per il miglior corto è Marcelo Martinessi con il suo La voz Perdida; il premio per la migliore sceneggiatura va a Bitter Money di Wang Bing, mentre ad ottenere il premio per la miglior interpretazione maschile e femminile sono stati Nuno Lopes e Ruth Diaz. La miglior regia del Concorso Orizzonti va a Fien Troch con il suo Home, e il premio per il miglior film se lo aggiudica Federica Di Giacomo ( unica vincitrice italiana) con il lungometraggio Liberami. 
 
 
Passiamo agli otto premi più importanti di Venezia 73. Il premio Marcello Mastroianni è stato consegnato a Paula Beer per la sua interpretazione in Frantz di F. Ozon. La trasgressiva Ana Lily Amirpour conquista con gran sorpresa il premio della giuria per The Bad Batch. Il premio alla miglior sceneggiatura va a Noah Oppenheim per Jackie. Le due coppe Volpi se le aggiudicano Emma Stone come migliore attrice in La La Land di Damien Chazelle, e Oscar Martinez come miglior attore in The Distingueshed Citizen di G. Duprat. Un ex–aequo conquista il leone d’argento alla miglior regia, si tratta di Andrei Konchalovsky con Paradise e Amat Escalante con il suo La regione Selvaggia. Il leone d’argento Gran premio della giuria va a Nocturnal Animals di Tom Ford, confermando le alte aspettative nei confronti di questa pellicola. A coronare questa lunga lista di premiazioni vi è infine il premio più importante e ambito, il Leone d’oro che quest’anno è stato vinto da Lav Diaz con The woman who left. Il regista filippino conquista Venezia 73 con un lungometraggio di 226 min in bianco e nero, che incanta e mostra una realtà cruda: un’intensa lezione su quanto sia importante lottare per l’umanità. Così si chiude anche questa 73 esima Mostra del Cinema a Venezia, popolata da grandi film di respiro internazionale, ma ancora piuttosto debole sul fronte italiano, che osa forse ancora troppo poco e  che si dimostra quasi del tutto assente in quest’ovazione finale. 
 
Chiara Nucera