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Deadpool

Giovedì 03 Marzo 2016 21:41 Pubblicato in Recensioni
I precedenti di Deadpool al cinema erano irrilevanti, compariva come personaggio di contorno nel film degli X-Men: Wolverine le Origini, sempre di casa Marvel, sempre di “proprietà intellettuale” della Twenty Century Fox come un “nessuno” super forte con la bocca cucita. Oggi lo stesso attore Ryan Reynolds dà finalmente una voce al “mercenario chiacchierone” creato da Fabian Nicieza e Rob Liefeld nel 1991 in questo film di Tim Miller.  Wade Winston Wilson è un mercenario che picchia i “più cattivi di lui” per soldi. La sua aspettativa di vita viene continuamente messa in discussione perfino dal suo migliore amico Weasel (T.J. Miller) che lo dà per vincitore nelle scommesse della “classifica della morte” del suo bar. Un giorno incontra una ragazza più “sfortunata” di lui, Vanessa (Morena Baccarin), e se ne innamora perdutamente. Proprio quando pensa che la vita gli sorrida, gli viene diagnosticato il cancro e decide di prendere parte ad un progetto segreto militare per far uscire il suo gene mutante e salvarsi la vita. Questo esperimento si rivela una beffa, un capriccio del pazzo dottor Ajax (Ed Skrein) e la sua trasformazione lo deforma rendendolo un super uomo sfigurato. Wade, spinto dal desiderio di vendetta, si cuce un costume rosso sangue e cerca disperatamente di arrivare ad Ajax sperando in una cura per il suo aspetto. Diventa spietato, tritura corpi a suon di bastoni nunchaku e katane, uno psicolabile “super” fighetto ma non un “eroe” questo lo distingue nel panorama dei comics come al cinema, è un volgare rifiuto della società indistruttibile con una parlantina invidiabile. Le sue battute condite di citazioni della cultura geek sono il suo punto forte, più sulla carta che al cinema. Il tutto lo rende il primo personaggio Marvel vietato ai minori a comparire sul grande schermo. Nel 2004 la New Line Cinema tentò di produrre un film su Deadpool ma il tutto venne archiviato, anche questo film ha avuto una difficile gestazione, favorita nel tempo dal successo del personaggio. Ha il merito di essere coraggiosa e furba e vive all’ombra dei precedenti rassicuranti eroi mostrati al cinema dalla Disney e dalla Fox stessa, Wolverine come Tony Stark sembrano delle suore a confronto di Wade. Le sue “gesta” lasciano il segno ma non convincono. Lo scenario pulp, il sadismo, la componente splatter e le strizzatine d’occhio al pubblico vivono della forza della carta stampata e non rendono troppa giustizia al personaggio. Volutamente divertente, scade spesso nel ridicolo “da manuale” per essere più fruibile a chi non ha mai avuto il piacere di leggerlo. Un prodotto soprattutto per adolescenti, giocato per soddisfare anche gli appassionati ma che non sempre riesce nell’intento. Negli USA detiene un record di incassi per il film vietato più visto degli ultimi anni, in Italia è passato come film “per tutta la famiglia”. In vista di X-Men Apocalisse, Deadpool funge anche da collante per unirlo con i precedenti capitoli sui mutanti, se questa operazione può sembrarci commerciale c’è solo da sperare che il personaggio possa avere maggior luce nella sua prossima e non ancora ufficializzata apparizione.
 
Francesca Tulli
 

Midnight Special. Berlinale 66

Venerdì 26 Febbraio 2016 10:55 Pubblicato in Recensioni
Midnight Special è la storia di un ragazzino fuori dal comune. L’estraneità del suo essere e quello che potrebbe significare fa gola ad una setta religiosa ed ai detective del governo. Nasce così un road movie, incentrato sulla fuga, che vede il padre Roy (Michael Shannon, L’uomo d’Acciao – 2013) proteggere il figlio Alton ( Jaden Lieberher, St. Vincent - 2014) e i suoi super poteri da queste incombenti minacce. Con l’aiuto dell’amico Lucas (Joel Edgerton, Warrior – 2011) e dell’ex moglie Sarah (Kirsten Dunst, Melancholia – 2011) porteranno il bambino in luoghi sicuri in attesa che qualcosa di speciale dia un senso all’intera vicenda. 
 
Il primo film non indipendente realizzato da Jeff Nichols sbarca alla Berlinale 2016 convincendo critica e pubblico. Si fa notare anche per essere l’unico lungometraggio di vero ed americano intrattenimento. Dichiaratamente ispirato ad un filone di film anni 70’ ed 80’: Starman di John Carpenter, Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. l'extra-terrestre di Steven Spielberg. A mio parere simile in molti aspetti anche al The Abyss (1989) di James Cameron, nel suo saper istintivamente incantare.
 
Midnight Special è parente stretto, nonché l’evoluzione e la maturazione, dei precedenti lavori di Nichols: Take Shelter e Mud. Racconto semplice dai toni mai esagerati. Nella coerenza narrativa il suo asso vincente. Sceneggiato dallo stesso regista, che non rinuncia proprio nel proporci un cinema misterioso, ancora una volta azzeccando pienamente l’atmosfera, nella quale lo spettatore aspetta trepidante l’evoluzione degli avvenimenti. La pellicola ha una propria integrità drammatica ed emotiva di genere.   Attraverso contaminazioni shyamalaniane, l’autore ci fornisce solo le scorze del frutto di una storia già in movimento. Insufficienti granelli di sabbia che non riescono a comporre il castello. Ci offre qualcosa in ogni sequenza per poi essere in grado di entrare nell’altra, senza mai decifrarle completamente. Indubbio talento di Nichols per la suspense. Nel suo essere indecifrabile il film ha dei piccoli punti deboli nella collocazione dei personaggi, forse troppo figlia del caso e in qualche déjà vu legati a film del passato.
 
Intrigante è l’uso di toni mitologici. Attraverso la visione idealizzata e messianica del bambino, legata sia alla religione che alle presenze aliene, l’autore evidenzia la sua propensione a credere in qualcosa che ci salvi e che ci porti beneficio. Verso una salvezza.
Il tema dell’avvicinamento e dell’attesa ricorda proprio Incontri ravvicinati del terzo tipo. Un film, improntato anche, sulla fuga dall’opprimente realtà del quotidiano e dalle sue paure. Midnight Special incontra anche una parte di E.T., non quella legata all’infanzia, ma quella dei legami.
 
Jeff Nichols, che ha trovato in Michael Shannon il suo attore feticcio, lo omaggia dandogli il nome di Roy, che fu di Richard Dreyfuss proprio negli “Incontri ravvicinati” di Spielberg. La prova dell’attore statunitense risulta credibile e resa vigorosa da quelle espressioni di cuoio, caratteristica dei suoi personaggi. Anche l’intero parco attoriale sopra menzionato non sfigura, garantendo e confermando il mood del film.
 
Consigliato agli amanti del thriller e non solo. Tra le righe troviamo amore e senso della famiglia, che d’altronde sono i capi saldi della cinematografia di Nichols, qui completamente realizzati. In più, analizzando la sua maniera di fare cinema e di riflesso la sua psicologia, possiamo affermare che il regista dell’Arkansas ha paura quando di avvicina la notte, momento dove tutte le sue paure vengono a galla. Timori reconditi dell’ignoto e del buio assoluto. Il mondo in cui viviamo non è un luogo sicuro. Deve esorcizzare queste paure e lo fa attraverso i suoi film, deliberatamente dando forza alle unioni tra gamme, tra consanguinei. Sicurezze che lo aiutano a credere in qualcosa di buono oltre il grande salto. E questo ignoto distintamente buonista se lo immagina svilupparsi in un giorno qualunque, in una speciale mezzanotte, dove quelle paure svaniscono concretizzandosi in una speranza.
 
David Siena

Lo chiamavano Jeeg Robot

Giovedì 25 Febbraio 2016 15:55 Pubblicato in Recensioni
Dopo essere sfuggito ad un inseguimento, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) finisce nelle acque del Tevere e ingerisce una sostanza radioattiva che gli donerà dei superpoteri. Enzo accoglie questo dono come una benedizione per la sua carriera da delinquente ma tutto cambierà nell'incontro con Alessia (Ilenia Pastorelli) che in lui vedrà il mitico Hiroshi Shiba, l'eroe dei cartoni animati giapponesi Jeeg Robot d'acciaio. 
Questa in breve è  la storia di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film che dopo 6 anni di ricerca budget e lavorazione, ha visto la luce per mano di Gabriele Mainetti e della sua Goon Films.
Quella dei cartoni animati e dei supereroi si può dire sia da sempre una fissa di Mainetti che già aveva affrontato le tematiche in opere precedenti e che negli anni passati si era fatto conoscere sia come attore che per i corti,  tra cui spicca “Tiger Boy” (2012) Nastro d'argento 2013.  Questo è il primo lungo del regista romano, che gli è valso il contributo ministeriale per l'Opera Prima. 
Un lavoro che sembra riuscitissimo nell'assicurare tutti i cliché più accattivanti del momento in un mix del tutto originale: la moda degli anni Ottanta, i supereroi, il glam riportato alla ribalta dei media dalla morte recentissima (nemmeno a farlo apposta) di uno dei re indiscussi David Bowie, ispiratore tra l'altro del personaggio dello Zingaro (Luca Marinelli), malvivente atipico con velleità artistiche. In uno scenario metropolitano, con derive alla Rocky Horror, si sviluppa una vicenda di droga e mala, dove abbondano le lotte tra camorra e criminalità di borgata, per una Tor Bella Monaca apocalittica, in un western postmoderno dove buoni e cattivi si mischiano senza terra di confine. Ognuno ha in sé una duplice natura: ogni personaggio spinto dalla voglia di arrivare o solo dal desiderio di sopravvivenza, dall'essere famosi o sparire tra le crepe di una stanza, dalla brama di una meta ambita sbiadita o patinata, stridente in forti contrasti antitetici. Nessuna lacuna in questo film perfettamente ordinato nella sua lucida follia, dalla valida sceneggiatura di Nicola Guaglianone e Menotti. Era da tempo immemore che il cinema italiano non partoriva un prodotto così ben fatto, una vera boccata d'aria per un settore che stava emettendo gli ultimi rantoli, da cui Mainetti è riuscito ad emergere creando il suo giovane Frankenstein.  
Si libera così, in un colpo solo, di tutto il vecchiume di un'arte rimasta tale ormai nel ricordo,  giogo della spocchia a colpi di machete di chi ci ha fatto due palle, trovando unica giustificazione alla banalità il nascondersi dietro l'appellativo di “autore”. Questo invece non è un film d'autore, non lo vuole essere o forse sotto sotto sì, ma in fondo chi se ne frega perché qualsiasi sia l'intento, che comunque sembra dalle dichiarazioni del regista abbastanza giocoso, è il risultato che conta. 
Oltre che sulla destrezza di Mainetti, va spezzata certamente una lancia a favore degli interpreti, tutti azzeccati e abili, anche nei ruoli minori. Marinelli ha messo a segno negli ultimi mesi due film meravigliosi, con il precedente “Non Essere Cattivo”, opera postuma di Claudio Caligari, due sole interpretazioni che bastano a far pensare che sia nato un nuovo mostro. Due ruoli molto distanti ma al contempo simili tra loro, dichiarando di  essersi ispirato per lo Zingaro ad Hannibal Lecter, del resto si parla sempre di mostro che emerge, qui “sparato a cannone” come le sue canzoni con tutti gli sgargianti toni del glam pop, cimentandosi oltre che in una strepitosa interpretazione di Un'emozione da poco, rifatta sull'impronta di una sedicenne Anna Oxa (a Sanremo 78' dove riviveva uno Ziggy Stardust nostrano), con Nada, la Bertè e la Nannini. Anche Santamaria ritrova la sua forma smagliante, proponendosi come uno degli ultimi relegato ai margini, un depresso cronico solo e asociale che si ciba di budini e film porno e che, nonostante i 20 chili in più, da orso buono nichilista e ladruncolo di periferia subirà un'evoluzione personale. Si potrebbe continuare ancora per molto con tutti gli spunti di valutazione che offre un simile lavoro, ma è meglio non indugiare oltre rimandando alla visione al cinema, azzittendoci sui titoli di testa. In questo caso, l'unica cosa sensata da fare. 
 
 
Chiara Nucera

Zootropolis

Mercoledì 24 Febbraio 2016 09:39 Pubblicato in Recensioni
Criminalità organizzata, intrighi di potere, sostanze stupefacenti, no non state leggendo la recensione di una nuova serie di Breaking Bad, questi sono solo una parte dei pericoli che dovrà affrontare la coniglietta poliziotto Judy Hopps protagonista di Zootropolis, il nuovo film d’animazione digitale di casa Disney. In un mondo ideale, popolato da soli animali (antropomorfi), dove carnivori ed erbivori vivono in armonia e i diritti sono uguali per tutti, Judy sfida le convenzioni e, nonostante sia la prima della sua specie, coltiva il suo sogno di diventare una garante della legge partendo dalla campagna sogna Zootropoils, la capitale dove tutto è possibile. Giunta finalmente nella metropoli Il suo carattere e il suo sudato distintivo sembrano non compensare le sue dimensioni ridotte: i suoi colleghi sono grandi e grossi, il suo capo, il capitano Bogo, è un bisbetico Bufalo che le affida la mansione di ausiliario del traffico, la sua vita sembra meno eccitante di quello che si auspicava fino all’incontro con la volpe scapestrata Nick Wilde (secondo gli antichi pregiudizi di suo padre, il suo “nemico naturale”), il “Robin Hood” che le sconvolgerà la vita. La trama si infittisce: sparizioni, misteri, mafia, casi irrisolti sotto trame ben studiate degne di un adulto poliziesco (strizza l’occhio a “48 Ore” e molti altri film di genere) a misura di bambino. I registi Byron Howard, Rich Moore e Jared Bush (dietro alla regia rispettivamente di “Rapunzel”, “Ralph Spaccatutto” e “Big Hero 6”) sfruttano con intelligenza i temi più attuali di sempre. La favola spiega con delicatezza come nascono i pregiudizi, come la discriminazione e la strumentalizzazione dei media possano minacciare l’utopia di una società ideale (Zootopia è il titolo originale della pellicola) e fa capire l’importanza di permettere gli stessi diritti a tutti. Gli autori hanno visibilmente studiato ogni dettaglio. Ogni animale metafora del mondo umano trova il suo posto nella gerarchia sociale, il leone è sindaco, i criceti sono ordinatissimi impiegati, i topi fanno i muratori, le gazelle le pop star e così via… Vi lascio immaginare a quale specie sia stata affidata la burocrazia all’interno degli sportelli della motorizzazione. Esilarante. La città è una sapiente fusione di monumenti di tutto il mondo (ci hanno svelato i registi in visita a Roma per la promozione del film). Se in “Big Hero 6”, la città di San Fransokyo era una commistione facile da riconoscere, a Zootropolis ci sono monumenti che ricordano Parigi, Firenze, Tokyo, Shangai, New York, il Bronx e una miriade di altre combinazioni da scoprire. La colonna sonora di Michael Giacchino è un mix di pop culture che prende in prestito note da Elvis Presley e arriva alla collaborazione con Shakira che è già in classifica con Try Everything. Un thriller alla portata di tutti forse il primo che molti bambini vedranno, condito di amicizie improbabili e valori sociali, raro nella sua categoria. 
 
Francesca Tulli