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L'avenir. Berlinale66

Domenica 21 Febbraio 2016 14:23
L’Avenir racconta la storia di Nathalie (Isabelle Huppert, La Pianista – 2001), donna affermata che insegna filosofia in una scuola di Parigi. La sua passione la porta a vivere una vita piena e movimentata. E’ sempre indaffarata tra i suoi libri, che sapientemente costruisce assaporando il piacere di trasmettere la voglia di riflettere, e la sua bella famiglia, composta dal marito Heinz (André Marcon, Marguerite – 2015) e da due splendidi figli. Ha spazio anche per consigliare un suo ex-alunno e per accudire l’eccentrica e depressa madre (Edith Scob, Holy Motors – 2012), che in ogni momento la chiama con delle richieste bizzarre. Il trascorrere del tempo è impostato sulla modalità mezz’età=raggiungimento della serenità ed il matrimonio sembra essere l’unica cosa non in movimento nella sua vita. Come si può interrompere la quotidianità? Con la scoperta che il marito la tradisce e che è pronto per lasciarla. Ora, dopo questo crack, Nathalie deve rimettere mano alla sua vita, ritrovando un’inaspettata libertà, che non sempre è sinonimo di felicità.
 
Things to Come, titolo in inglese stampato sulla locandina, racconta proprio i mutamenti della vita, quello che cambia ed il modo in cui noi esseri umani riusciamo ad adeguarci. 
Diretto dalla promettente regista francese Mia Hansen-Løve, l’Avenir si porta a casa dalla Berlinale 2016  l’Orso d’Argento per la miglior regia. La giovane autrice d’oltralpe cura anche la sceneggiatura ed aiutata dalla ferrea maturità della sua protagonista Isabelle Huppert, confeziona un film intimista sulle assenze e sull’auto consenso. 
Movimenti di macchina inquieti e vivaci, come la sua protagonista, sia alternano a riprese più morbide e lineari. Tecniche che rendono il senso di apatia e lo spirito di rivalsa leggibile allo spettatore. Si cammina sempre su un selciato che sta in mezzo tra questi due stati d’animo. Lo si percorre con rigore narrativo, equilibrando il tutto con una deliziosa ironia.
Viviamo tante vite nella vita stessa, la regista riesce a farle salire in superficie e a farle affondare senza mai cadere nella retorica.
 
Insegnamenti, rivoluzioni ed elaborazioni del lutto fisico, ma anche sentimentale attraversano l’immaterialità del tempo e sanciscono la crescita della protagonista. 
Che rinasce quando diventa nonna, sprofonda davanti ai libri condivisi con il compagno di una vita ed assapora un’inaspettata pienezza quando redarguisce il suo ex-allievo Fabien (Roman Kolinka). Il giovane vede nell’anarchia la via della rivoluzione. Nathalie afferma che la vera rivoluzione è allevare dei figli e sapergli dare le coordinate per la giusta via. 
Lascia andare anche il gatto della madre morta da poco, eliminando così affanni e sensi di colpa, lanciando metaforicamente lo spirito della madre verso una libertà, che non ha mai avuto.
 
L’Avenir è senza dubbio un esempio di come il cinema francese non rimane mai al palo. Legge perfettamente i tempi e grazie alla sua grande versatilità ed apertura al mondo offre un prodotto di alto livello. La Francia dopo i due attentati terroristici subiti, vive un clima particolare. E’ ferita, ma capace nella tragedia di tirar fuori la sua anima, senza mai arrendersi. Un po’ come la nostra protagonista, una gigantesca Isabelle Huppert, colonna vertebrale della pellicola.
 
David Siena
 
Dopo dieci intensi giorni di cinema, retrospettive e incontri, anche la tredicesima edizione della festa del cinema di Roma giunge al termine. Ad aggiudicarsi il premio del pubblico Bnl è il film di Edoardo De Angelis “Il vizio della speranza”, un’opera dal forte impatto drammatico e dalle atmosfere dense di lirismo.
 
 
Tra i 38 film in selezione ufficiale è stato il racconto parabolico di De Angelis a conquistare il consenso del pubblico, scavalcando ottimi film come “Green Book” e “7 sconosciuti al El Royale”, opere che hanno comunque impressionato la kermesse, regalando interessanti avvincenti momenti di cinema. Il premio Rakuten Tv, una new entry di questa tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, va al film diretto da Bart Layton “American Animals” come miglior film per piattaforme digitali. A calpestare il red carpet dell’Auditorium quest’anno tantissime star internazionali e italiane, tra cui la meravigliosa Isabelle Huppert, che ha ritirato il premio alla carriera raccontando durante un intenso incontro con il pubblico alcune pagine del suo cinema e della sua vasta carriera di attrice. Ed è stata poi la volta di Cate Blanchett, Viggo Mortensen, Martin Scorsese e Sigourney Weaver, protagonisti indiscussi di questa frizzante edizione che hanno incantato la kermesse parlando della loro visione di cinema, e offrendoci ogni volta interessanti spunti di riflessione sulla settima arte. “Le notti magiche” di Paolo Virzì ha chiuso proprio ieri la rassegna cinematografica romana, che come tutti gli anni giunta al termine toglie quel velo di magia ad una città altrettanto magica e incantevole, ma che si tinge di tappeti rossi troppo poco spesso. Tirando le somme, ciò che più ha colpito di questa tredicesima edizione è la varietà dei titoli in concorso, molti dei quali probabilmente troveranno con difficoltà una distribuzione nel nostro paese, e che manifestazioni come questa rendono accessibili al grande pubblico. 
 
Giada Farrace

Eva

Domenica 25 Febbraio 2018 12:36
Ci ha preso gusto Isabelle Huppert a scegliere ruoli da femme fatale. L’ultimo, per intenderci quello in Elle di Paul Verhoeven, gli aveva procurato una meritata candidatura agli Oscar 2017. Allora perché non riprovarci. Il progetto di Benoît Jacquot però, senza minimizzare le doti di seduttrice dell’attrice francese, meritava un’ammaliatrice (Eva che dà il titolo al film) più junior e più improntata a trasudare carnalità. E’ probabile che fin già dal casting, anche il Bertrand Valade di Gaspard Ulliel (E’ solo la fine del mondo – 2016) è troppo imbambolato e sinceramente fuori parte, il film si porti dietro dei deficit non recuperabili. E se il buongiorno si vede dal mattino, qui siamo di fronte ad un far del giorno dai tratti chiaramente temporaleschi. Burrasca nella quale si trova per tangibili colpe il regista/sceneggiatore Benoît Jacquot (dell’autore si ricorda il recente e non esaltante Tre Cuori, in concorso a Venezia 2014). La sua Eva richiedeva una drammaturgia spinta verso l’ambiguità, con subdoli slanci verso l’immoralità. Questo è alla base del romanzo di James Hadley Chase del 1945. In Eva troviamo solo i tratti distintivi del noir (e neanche troppo riusciti). Le linee guida all’interno della narrazione sono sbilanciate, ahimè, verso aspetti psicologici spicci, che non offrono veri punti di riferimento. Basandosi su queste personalità (per intenderci quelle dei due protagonisti sopra citati), alle quali viene affibbiata solo debolezza e nessuna particolare dote narrativa, non si riesce mai a chiudere un cerchio. Tutto abbozzato e mai veramente concretizzato. La fascinazione non sale mai e qui dovrebbe essere la madre di tutto. 
 
Eva è in concorso alla Berlinale edizione 68. Il film aveva avuto una prima trasposizione nel lontano 1962 diretta da Joseph Losey, con la nostra splendida Virna Lisi. Il ruolo di Eva fu affidato a Jeanne Moreau e quello del malcapitato Bertrand Valade a Stanley Baker. Il film di Losey ottenne una critica positiva; la versione 2018, come già accennato sopra, risulta la brutta copia della pellicola del 1962. La bocciatura non è completamente categorica solo perché la storia riesce a trasmettere curiosità nello spettatore. Peccato perché il regista fa di tutto per far perdere questo appeal.
 
Le intriganti vicende scaturite in immagini vedono un aitante giovanotto, che di nome fa Bertrand, alle prese con il sogno di una vita: diventare un famoso scrittore, in modo da potersi garantire un futuro prosperoso e di successo. L’occasione rende l’uomo ladro e quando Bertrand si trova tra le mani un inedito manoscritto di uno stimato romanziere morto davanti a suoi occhi per cause naturali, non esita a farlo diventare suo. La fama e la gloria arrivano copiose. Ora deve mantenere questo livello qualitativo di scrittura e non sa proprio come farlo. Improvvisamente entra nella sua vita Eva, Escort d’alta società. Il giovane ne rimane stregato e decide di conquistarla ad ogni costo. Userà questa sua torbida liaison come base del suo prossimo romanzo. Ma non ha fatto i conti con Eva, per nulla propensa a concedersi senza riserve. Bertrand entra così in un vortice di tentazione e bramosia, che mette a rischio il suo fidanzamento con l’innocente e pura Caroline (Julia Roy). Il suo editore aspetta con ansia il nuovo libro, da tutti preannunciato come l’ennesimo capolavoro. Malauguratamente l’immaturo Bertrand diventa lui succube del gioco di Eva. Cede così tutto se stesso ed entra, senza ritorno, in un artificio oscuro fitto di falsità ed inganni.
 
La storia è stuzzicante, ma qui proprio non ci siamo. Il film del regista francese a tratti sembra un telenovela impazzita. Protagonisti troppo finti, che non sembrano esseri appartenenti alla società descritta. Confinati in un limbo tragicomico, che non ha ragione di essere per un film del genere. 
 
David Siena