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Qualcosa di nuovo

Sabato 08 Ottobre 2016 22:27 Pubblicato in Recensioni
Nel 2013 Cristina Comencini scrive e dirige l’opera teatrale La scena con Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti. La commedia riscuote un enorme successo risultando lo spettacolo più visto e applaudito del 2014.
L'entusiasmo del pubblico a teatro e la conseguente adesione completa allo spettacolo, ha portato alla possibilità concreta di riadattarlo per il grande schermo. È così che prende forma Qualcosa di nuovo, un film divertente e sfaccettato, capace di far sorridere e riflettere. Cristina Comencini ha arricchito l'adattamento cinematografico con elementi nuovi particolari, che potessero generare dei maggiori punti di contatto con lo spettatore. La storia ruota attorno a due figure femminili, Lucia e Maria, amiche di vecchia data che si conoscono a fondo, inseparabili da sempre. Due donne completamente diverse che nutrono nei confronti del genere maschile dei sentimenti contrapposti. Maria, madre single di due bambini, ha un approccio molto primitivo ed istintivo con gli uomini, abbordandoli di continuo pur di non restare sola. Lucia, cantante Jazz, è una donna molto indipendente e selettiva, avendo alle spalle una separazione dolorosa, che le ha forgiato una corazza nei confronti del sesso maschile. Due universi femminili così lontani e incompatibili registreranno per la prima volta un punto di contatto quando farà capolino la figura di un uomo, differente da tutti gli altri, capace di rivoluzionare radicalmente il loro quotidiano. Cristina Comencini ci restituisce con grande cura, un quadro dettagliato di due diverse realtà femminili, il quale coincide con uno sguardo verso il futuro, una prospettiva di speranza atta a rammentare la forza della casualità nella vita di ogni individuo. Nella stesura dello script accanto a Cristina Comencini, Giulia Calenda e la camaleontica Paola Cortellesi, che ha arricchito la sceneggiatura di ironia ed effervescenza. Sullo schermo a fianco di Paola Cortellesi c'é Micaela Ramazzotti e Eduardo Valdarnini. Il duo Cortellesi Ramazzotti riesce a giocare bene sui toni della commedia, regalandoci scene divertenti e restituendo allo stesso tempo una grande profondità ai loro personaggi. Una perfetta alchimia anche con il giovane Valdarnini, ironico e capace. Qualcosa di Nuovo è una commedia insolita e diversa per il nostro cinema, analisi della relazione in continuo mutamento tra uomini e donne di generazioni diverse. Un film fresco e piacevole, capace di mescolare momenti esilaranti a sequenze più profonde senza mai precipitare nel banale. Una commedia attuale e divertente nelle sale a partire dal 13 ottobre. 
 
Giada Farrace 
 

DeepWater - Inferno sull’Oceano

Sabato 08 Ottobre 2016 22:06 Pubblicato in Recensioni
Il 20 aprile 2010 la Deepwater Horizon, una piattaforma petrolifera sommergibile della società svizzera Transocean e noleggiata dalla British Petroleum, esplode violentemente a causa della repentina risalita lungo il canale di trivellazione di alcune sacche di metano instabile. Pur dotata di un meccanismo di prevenzione delle esplosioni, la piattaforma non riesce a contenere l’incendio. La Deepwater Horizon contava circa 126 lavoratori a bordo, 11 dei quali morirono sul colpo, i loro corpi non furono mai ritrovati. Molti vennero gravemente feriti, ritrovandosi a fare i conti con una circostanza inaspettata e infernale. Per 87 lunghissimi giorni milioni di persone hanno seguito con trepidazione la vicenda, incollate agli schermi televisivi pregando per la salvezza di quei poveri individui a bordo della piattaforma. Definito come il più grave disastro ambientale della storia, il cataclisma della DeepWater Horizon causò un riversamento pari a 50.000 barili di petrolio nel Golfo del Messico. Ciò che rappresentava per gli uomini e le donne della DeepWater Horizon una casa, un ambiente di lavoro, una sicurezza, si trasformò improvvisamente in una trappola infernale. Il regista Peter Berg decide di raccontare questo tragico episodio, facendo luce sul dramma umano e sul profondo coraggio delle persone coinvolte in una storia tanto scioccante. Da sempre attratto da storie di coraggio e forte spirito, Berg dirige un film in cui si approfondisce il grande impatto a livello umano che ha generato un evento di tali proporzioni su persone che hanno dimostrato sangue freddo e capacità di compiere gesta straordinarie per poter sopravvivere ad un’incontenibile disastro. Lo sceneggiatore del film Matthew Sand è stato ispirato da un articolo del New York Times, in cui si riportavano alcune interviste fatte a 21 dei sopravvissuti alla catastrofe della DeepWater Horizon. Testimonianze vivide e drammatiche, che hanno rappresentato il resoconto più dettagliato dell’accaduto, e che hanno spinto lo stesso Sand a scavare a fondo ed iniziare a redigere materiale per un film intenso e impegnativo. Un lungometraggio che non poteva non essere diretto da Peter Berg, il quale ha dimostrato di avere il giusto carisma per portare avanti un progetto tanto massiccio e complesso, riuscendo ad afferrare il nucleo pulsante della storia. Il produttore Lorenzo Bonaventura e l’attore protagonista del film Mark Wahlberg, persenti entrambi alla conferenza stampa romana del film, ci hanno esposto alcuni aspetti salienti della pellicola. Bonaventura ha espressamente dichiarato numerose volte di aver creduto da subito in questo ambizioso e articolato progetto, capace di offrire l’opportunità di mostrare al pubblico come funzionano queste piattaforme, raccontando il duro lavoro degli operai che vi lavorano con competenza e dedizione. Il candidato due volte al premio Oscar Mark Wahlberg, è uno dei pochi interpreti che più si avvicinava alla figura di Mike Williams, capo tecnico della DeepWater Horizon al momento del disastro, e che ha confermato quella sua rara abilità nell’esplorare la realtà interiore dei personaggi interpretati, qualità già mostrata al grande pubblico in pellicole come The Fighter e The Departed. Durante la conferenza stampa Wahlberg ha sottolineato come sia fondamentale comprendere il personaggio che interpreta, e come sia stato indispesabile nel caso di Mike Williams, confrontarsi con il suo vissuto, trascorrere del tempo in sua compagnia ed averlo accanto durante le riprese del film, in modo da poter fare tesoro dei suoi consigli. Una squadra d’eccezione quella rappresentata dal cast di DeepWater, in cui ricordiamo anche Kurt Russell, John Malkovich, Kate Hudson, Gina Rodriguez, ognuno dei quali riesce ad entrare in profondità restituendoci un ritratto estremamente realistico e avvincente. DeepWater Inferno sull’Oceano è un film che racconta una storia di coraggio ed eroismo, un lavoro onesto e toccante,  nelle sale italiane dal 6 ottobre. 
 
Giada Farrace

Pablo Larrain ci parla di Neruda

Sabato 08 Ottobre 2016 21:04 Pubblicato in Interviste
Il film Neruda, candidato del Cile ai prossimi Oscar, è diretto dal brillante regista Pablo Larraín. Durante la promozione del film a Roma ha dato risposte pungenti e competenti che hanno lasciato tutti soddisfatti. 
Inizia rispondendo ad una domanda sugli sviluppi della politica Cilena :“Questo film, lo abbiamo fatto nel 2016 non nel 1947, e questo è un vantaggio: sapere cosa è successo dopo. E’ ambientato nel dopoguerra, parla di un paese che ha sofferto. L’anima cilena è stata devastata,  dall’ascesa del ‘bastardo’ Pinochet. Nel film il paese vuole concretizzare un sogno che non si è mai realizzato. Quando Neruda ricevette il premio Nobel (1971) ha letto un discorso, che potete cercare su google, dove parla proprio di quest’epoca, alla fine dice che, non sa se ‘quel periodo lo ha vissuto, lo ha sognato, lo ha scritto” e in questa frase c’è proprio la chiave di tutto il film. Non è un elaborato su Neruda parla del suo universo, il suo cosmo”. 
 
 
Proprio a questo proposito, noi di FuoriTraccia abbiamo preso la parola, chiedendo dove si è documentato, su quali libri e quale studio “matto e disperatissimo” ha visibilmente svolto per realizzare la pellicola, Larrain risponde sorridendo, senza bisogno di traduzioni: “Ho letto diverse biografie, ne abbiamo scelte tre, innanzitutto la sua autobiografia ‘Confesso che ho vissuto’ e poi abbiamo fatto molte interviste a persone che lo hanno conosciuto. Neruda era un grande amante della cucina, era un cuoco eccellente, amante del vino e delle donne, un diplomatico che ha viaggiato in tutto il mondo, per il suo lavoro. Un esperto di letteratura, un amante del genere poliziesco, senatore del Cile, il poeta più grande della nostra lingua, forse il più grande al mondo e raccontare tutto questo mi terrorizzava. Ho provato una paura enorme all’idea di dover affrontare tutti questi aspetti. Al contrario ho sentito un enorme senso di liberazione quando ho capito, che non potevo raccontare tutto questo in un film di due ore, era impossibile, ‘Tutto Nerdua” non ci sta in un solo film. Neruda in Cile è ovunque, nell’acqua, nella terra, nelle piante, storici e giornalisti hanno scritto di lui. Neruda ha fatto la storia del mio paese,  io stesso lo porto addosso, nei capelli, nel corpo,  nel sudore, nel sangue, questo film è un omaggio, una poesia, un poema, scritto con il sogno che anche lui potesse leggerlo.”  
 
 
Neruda politico e artista, dualismo difficile da immaginare nella attuale società, così commenta questa doppia identità: “E’ impossibile scindere le due cose, era un mondo diverso. Immaginiamo ora cosa direbbero, se ci fosse un politico Americano che scrive poesie scontro Donald Trump, nessuno penserebbe che si tratti di vera poesia. invece Neruda nel Canto General (1950) scrive, in termini non propriamente gentili e amabili di leader politici e capi di stato dell’America Latina e  questo  va considerato come vera poesia, indirizzata alla politica. Lui come altri della sua generazione volevano con la propria arte cambiare il mondo, influenzare il regime attraverso il sostegno dei loro lettori e del pubblico.” Continua sul tema della comunicazione: “Trovo che nel mondo di oggi il modo di dire le cose, è più importante del contenuto, e questo mi sembra molto pericoloso. Questo è un roadmovie, è un film anti biopic, sulla scia dei noir anni ‘40 ‘50 e allo stesso tempo una commedia, ma sì è anche un film sulla comunicazione. Volevo mostrare come il personaggio cambia durante il suo percorso. Non è importante il punto di arrivo o la destinazione ma il viaggio stesso che ‘diventa’ la destinazione. Neruda diviene leggenda proprio in quel frangente della sua vita, e il poliziotto da senso a questa vita. Avevano bisogno l’uno dell’altro.  Per capire quello che non capivano l’uno dell’altro. E’ una storia di amore puro. Il resto è un’ po’ una scusa.” 
Altri cercando significati profondi all’interno nel film e dando letture personali della vicenda, hanno chiesto al regista come la pellicola vada letta ed interpretata, Larraín  risponde con una smorfia beffarda dando una risposta spiazzante che racchiude il suo senso del cinema: “Abbiamo lavorato 5 anni a questo progetto e per questo non voglio rispondere a questo tipo di domande. Preferisco che siate voi a scrivere e dire quello che ci avete trovato. Mi sembra sempre assurdo e orribile quando i registi, dicono cosa si dovrebbe provare guardando un film. Questo deve farlo lo spettatore, non dimentichiamoci che un cineasta è come un bambino con una bomba in mano.”  
 
 
Dopo aver chiarito che i testi della narrazione non sono citazioni di Neruda, e ringraziando se qualcuno ha pensato che lo fossero continua col dire  “Due settimane prima della realizzazione del film, mio fratello (Juan de Dios  Larraín) produttore del film, ci ha chiesto di togliere dalla sceneggiatura venti pagine perché non c’erano soldi sufficienti per coprire le corpose 160 pagine di lavoro. Così dall’America lo sceneggiatore Guillermo Calderòn è venuto in Cile. Ci siamo chiusi in una stanza per cercare di assottigliare la mole di lavoro per una settimana. Risultato siamo usciti con 180 pagine! Venti in più! Perché non c’era verso di tagliarle, ma abbiamo filmato il film più velocemente per compensare. Io lavoro rielaborando e ‘cucinando’ la sceneggiatura, un film non si fa senza scene ma per me è soprattutto un elaborato di atmosfere, toni è qualcosa di più viscerale, quindi cerchiamo di catturare questi aspetti con Sergio Armstrong (lo scenografo) e poi proseguire con il racconto. Come disse Truffaut ‘Nelle riprese bisogna lottare contro la sceneggiatura e nel montaggio bisogna lottare contro le riprese’  Sono processi diversi, c’è una battaglia che bisogna fare, ma è molto bello e liberatorio che ci sia questo conflitto. Non so se vi succede quando andate al cinema, guardando un film che il regista vi stia servendo già tutte le risposte. Vi dice già, che cosa dovete pensare, che cosa dovete provare, chi è il buono, chi è il cattivo. A me questo non piace. Non voglio che mi si faccia questo, Il cinema, il regista deve potersi fidare dello spettatore, deve potersi fidare delle sue capacità e quindi il film deve essere qualcosa di espansivo di aperto che il pubblico percepirà a seconda della propria sensibilità. Dare già tutto preconfezionato mi sembra una grande insolenza, nei confronti dello spettatore e in quei casi io me ne vado. Io voglio essere parte attiva, pensare e decidere per conto mio. I film si dovrebbero fare lasciando questa apertura verso chi lo guarda, è bello quando dopo aver visto un film, ripensandoci, non sei sicuro di quello che è successo, che hai pensato o hai visto, è un meccanismo un dialogo che si crea tra il pubblico e lo schermo. E’ come succede nel sesso quando è fatto bene.” Aggiunge ironizzando “Ho letto tanto su Neruda, le biografie di cui parlavo prima, ho fatto un film su Neruda e non ho ancora la più pallida idea di chi sia Neruda”.  
Nota tragicomica alla conclusione della conferenza Luis Gnecco, l’attore protagonista del film, aveva perso peso per la prima volta nella sua vita quando il regista lo ha portato in un ristorante italiano a farsi una bella pasta alla Carbonara dicendo “non puoi fare Neruda se non hai sostanza devi mangiare  di più” con una risata generale il regista conclude lasciando che ognuno rielabori questa lezione di umiltà. 
 
Francesca Tulli

Mine

Sabato 08 Ottobre 2016 20:39 Pubblicato in Recensioni
Quando il corpo è bloccato da una condizione di assoluta immobilità, l'impulso al movimento, all'azione, viene automaticamente trasmesso alla mente, la quale elabora questo messaggio innescando un processo di contrapposta attività. Pertanto un flusso inarrestabile di pensieri irrompe nel cervello, passando compulsivamente in rassegna alcuni momenti che appartengono al nostro passato, a quello che abbiamo vissuto. È ciò che accade a Mike, un tiratore scelto appartenente ai marines, inviato segretamente nel deserto dell’Afghanistan assieme al compagno Tommy, per uccidere un pericoloso terrorista. Ma qualcosa va storto durante la missione, e i due soldati americani si perdono nel bel mezzo di una tempesta di sabbia. Isolati dal comando, Mike e Tommy si ritrovano a vagare in un luogo sconosciuto, con numerosi terroristi a poca distanza dalla loro posizione. Privi di alcun segnale di orientamento, i due finiscono accidentalmente in un campo minato, e Mike calpesta una mina.  Per due giorni e due notti egli dovrà restare immobile nel deserto, in attesa di aiuto dall’esercito, sostando in campo nemico, senza alcun tipo di rifornimento. Una lotta estrema per la sopravvivenza, che lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita, e a far fronte ad una pressione psicologica ingombrante. Questo thriller ad alta tensione è scritto e diretto da due italiani, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro e finanziato dallo stesso produttore di Buried. Il film lavora molto sul piano psicologico e incoscio del protagonista, focalizzando in modo particolare su uno stato emotivo soggetto a continue oscillazioni e ad una pressione mentale pesantissima.  Mine è un film che se da un lato racconta l’adrenalinica vicenda di un soldato, imprigionato all’interno di una situazione asfissiante, dall’altro si sviluppa come un viaggio introspettivo nell’incoscio di Mike, alle prese con un passato e un presente problematici. Sebbene possa apparire pesante, in quanto basato unicamente sul concept del survival, il film scorre in modo fluido nella prima e nell’ultima parte, giocando molto sulla suspence, percepita in larga misura dallo spettatore, che entra in uno stato di comunione con il protagonista. Guaglione e Resinaro, riescono a creare una profonda tensione invertendo radicalmente la prospettiva dell’ambiente claustrofobico e stretto, caratteristico in Buried, impiantando così l’azione in un luogo aperto, sconfinato quale il deserto, che restituisce in modo altrettanto soffocante le medesime sensazioni. Un film che immobilizza, tenendo con il fiato sospeso, e che gioca con le aspettative inconsce dello spettatore, portandolo prima in una direzione per poi cambiare improvvisamente percorso. 
 
Giada Farrace