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Mine

Sabato 08 Ottobre 2016 20:39
Quando il corpo è bloccato da una condizione di assoluta immobilità, l'impulso al movimento, all'azione, viene automaticamente trasmesso alla mente, la quale elabora questo messaggio innescando un processo di contrapposta attività. Pertanto un flusso inarrestabile di pensieri irrompe nel cervello, passando compulsivamente in rassegna alcuni momenti che appartengono al nostro passato, a quello che abbiamo vissuto. È ciò che accade a Mike, un tiratore scelto appartenente ai marines, inviato segretamente nel deserto dell’Afghanistan assieme al compagno Tommy, per uccidere un pericoloso terrorista. Ma qualcosa va storto durante la missione, e i due soldati americani si perdono nel bel mezzo di una tempesta di sabbia. Isolati dal comando, Mike e Tommy si ritrovano a vagare in un luogo sconosciuto, con numerosi terroristi a poca distanza dalla loro posizione. Privi di alcun segnale di orientamento, i due finiscono accidentalmente in un campo minato, e Mike calpesta una mina.  Per due giorni e due notti egli dovrà restare immobile nel deserto, in attesa di aiuto dall’esercito, sostando in campo nemico, senza alcun tipo di rifornimento. Una lotta estrema per la sopravvivenza, che lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita, e a far fronte ad una pressione psicologica ingombrante. Questo thriller ad alta tensione è scritto e diretto da due italiani, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro e finanziato dallo stesso produttore di Buried. Il film lavora molto sul piano psicologico e incoscio del protagonista, focalizzando in modo particolare su uno stato emotivo soggetto a continue oscillazioni e ad una pressione mentale pesantissima.  Mine è un film che se da un lato racconta l’adrenalinica vicenda di un soldato, imprigionato all’interno di una situazione asfissiante, dall’altro si sviluppa come un viaggio introspettivo nell’incoscio di Mike, alle prese con un passato e un presente problematici. Sebbene possa apparire pesante, in quanto basato unicamente sul concept del survival, il film scorre in modo fluido nella prima e nell’ultima parte, giocando molto sulla suspence, percepita in larga misura dallo spettatore, che entra in uno stato di comunione con il protagonista. Guaglione e Resinaro, riescono a creare una profonda tensione invertendo radicalmente la prospettiva dell’ambiente claustrofobico e stretto, caratteristico in Buried, impiantando così l’azione in un luogo aperto, sconfinato quale il deserto, che restituisce in modo altrettanto soffocante le medesime sensazioni. Un film che immobilizza, tenendo con il fiato sospeso, e che gioca con le aspettative inconsce dello spettatore, portandolo prima in una direzione per poi cambiare improvvisamente percorso. 
 
Giada Farrace