E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
L’opera prima della regista newyorkese A.V. Rockwell è una carrellata intimista sulla vita di una madre e suo figlio di 7 anni, afroamericani di Harlem, sullo sfondo della Grande Melaattraversata dai cambiamenti negli 11 anni dal 1994 al 2005.
La scena si apre con immagini di repertorio degli anni 90: una New York che esplora la sua vitalità e la sua ascesa. Palazzi e tetti urbani che svettano, sovrastando le vite incerte di chi vive nei sobborghi cittadini tra espedienti e piccola criminalità. Inez (Teyana Taylor) è una parrucchiera ventiduenne appena uscita di galera. Ha scontato una non ben precisata condanna per furto, probabilmente in complicità con il suo uomo, ed è in cerca del suo posto nel mondo.
Inez non ha origini né destinazione. Non ha lavoro, né un posto dove andare. Il suo rifugio diventa Terry, suo figlio di 6 anni che rapisce dall’ospedale in cui era ricoverato per un incidente accaduto nella casa della sua famiglia affidataria.
La parabola lunga dieci anni della crescita di un figlio e, insieme, di una madre poco più che ventenne è un excursus di salite e discese emotive. Nella New York del repubblicano Giuliani prima e di Bloomberg poi, si frastagliano le vicende delle minoranze dei ghetti cittadini, dove la vita sembra scorrere più lentamente e inesorabile e dove chi è più scaltro fugge o incalza la vita, prima che il peggio possa travolgerlo.
L’incontro tra le due solitudini, una con un passato che pesa come un fardello emotivo sulla schiena e l’altra con un futuro incerto di chi ha nostalgia di un nido familiare sconosciuto, pone l’accento sulla riconsiderazione morale di un gesto fuori dai margini della legalità. “Chi è ferito non sa amare” dice Inez al figlio ormai adolescente. Chi si porta dietro laceranti piaghe emotive non sa come riversare il proprio amore sugli altri. In queste parole c’è tutto il suo dolore, il rimpianto e la rabbia di chi paga le conseguenze di colpe non proprie, come chi ruba per necessità. Ruba denaro e ruba i sentimenti; desidera provarli e riceverli disperatamente ma non ha gli strumenti e i mezzi per ricercarli in maniera funzionale. La città divora le anime; è cattiva. Harlem è un ghetto e la sua evoluzione non è solo urbanistica e culturale ma anche politica. La regista lo racconta tenendo sullo sfondo i cambiamenti governativi che hanno accompagnato gli 11 anni in cui si racconta la vicenda.
Quando Terry, che Inez chiama “T.” come un eterno inizio di chi paradossalmente vive di solo presente, senza un passato che lo origini, cresce e si scopre intelligente, più della media dei suoi coetanei, gli si spalancano le porte delle possibilità. Si comincia a intravedere la sagoma di un futuro che prima era solo l’eterna proiezione di un presente senza spessore.
Terry però è legato a quel presente. E’ il nido che ha sempre cercato. E’ la sua identità, formatasi nel ghetto newyorkese di una periferia scalpitante e governata da dinamiche che lui stesso fa ancora fatica a decifrare ma che rappresentano l’identificazione a una collettività di quartiere, primo vero nucleo familiare che si è costruito negli anni di convivenza con la madre e il suo compagno Lucky, la figura paterna e profondamente umana che lo segue nella sua evoluzione da bambino a uomo.
Il bisogno d’amore e di appartenenza è il filo conduttore di tutta la pellicola. Prima in termini di amore materno, poi filiale, poi sentimentale, fino a passare dall’idea di collettività familiare a quella socioculturale, senza trascurare l’idea comunitaria di una minoranza i cui diritti appaiono in continua evoluzione, al pari dei pregiudizi di cui è vittima.
Valeria Volpini
Houria - la voce della libertà è un film fortemente incentrato sulla figura della giovane protagonista ben caratterizzata da una sceneggiatura attenta e ben interpretata dall’attrice Lyna Khoudri molto espressiva e intensa. Houria è anche un film corale perché la lotta per continuare a danzare di questa ragazza temeraria è anche la lotta di tutte le donne per l’emancipazione e la libertà personali. L’ Algeria dove è ambientato il racconto considera ancora il genere femminile una propaggine dell’uomo e non consente loro un’autonomia completa.
Il fil rouge che percorre tutta la pellicola è la danza. Questa disciplina introduce la figura di questa ballerina con un assolo sulla terrazza baciata da un tramonto infuocato fino alla scena finale che ci regala una moderna coreografia di gruppo per la commemorazione dell’amica del cuore che ha trovato la morte nella speranza di raggiungere l’Europa e vivere all’occidentale da donna libera di scegliere il proprio destino.
Le condizioni socio-politiche del Paese nel quale la storia è ambientata non fanno solo da sfondo alle vicende personali narrate ma sono un tema centrale. Un regime oppressivo e maschilista che copre i criminali anziché perseguirli. Proprio un’aggressione subita da Houria sarà lo spartiacque tra una vita precedente fatta di grandi sogni e una nuova vita che sarà all’insegna di una costruzione diversa relativamente al suo desiderio di danzare. I problemi fisici conseguenti alla brutale aggressione le impediranno di proseguire la carriera da danzatrice professionista e le toglieranno anche l’uso della parola. Da questo punto in poi sarà la danza a parlare per lei e per tutte le altre donne vittime di violenze e al suo posto griderà il dissenso e sancirà il riscatto. Un gesto violento e meschino non sarà in grado di piegare questo giovane virgulto di donna ma le infonderà un nuovo coraggio. La sua amica alla vigilia della partenza le dice proprio “non è la fine del viaggio ma è l’inizio di una nuova vita”.
La regia, attraverso uso sapiente della fotografia e una colonna sonora che richiama motivetti di musica leggera italiana, crea uno spaccato tra la positività delle scene di danza e la cupezza delle scene ambientate di notte, in vicoli scuri, in luoghi di degrado e in situazioni di illegalità dove si cerca un modo per andare avanti da sole senza l’aiuto di alcuno. Houria scommette somme di denaro in combattimenti clandestini fra arieti che, per ironia hanno il nome di potenti della terra, per poter acquistare un auto nuova alla madre.
Un film duro ma mai negativo tout court perché permeato di coraggio e forza di volontà. Nessuno e niente potrà spegnere il sorriso sul volto di chi ha deciso di non arrendersi mai. Un film che non brilla per originalità ma che è ben diretto e molto ben interpretato e infonde speranza allo spettatore che non può non rimanere affascinato dalla grazia e dalla bellezza di chi risponde con il sorriso alle ingiustizie e cerca con il suo operato di essere per gli altri quel raggio di sole che illumina anche il destino più buio.
Virna Castiglioni
Sono iniziate nella cittadina di Milazzo (Me) le riprese de Il ladro di stelle cadenti, diretto da Francisco Saia.
Sceneggiato da Paolo Picciolo, che ne è anche il produttore con Horcynus Productions, il film ha ricevuto il contributo del Ministero dei beni culturali e vede nel cast Daniel McVicar, star della popolare soap opera Beautiful, Denise Mcnee, il cui ricco curriculum include le serie televisive Il Collegio, I Medici e Diavoli, la promettente Martina Palladini, Leandro Baroncini e il piccolo Francesco Bucca.
A otto anni Camillo Favara detto Milo chiede a una stella cadente una grossa torta al cioccolato. Il desiderio si realizza e fa indigestione. A diciotto anni chiede alla sua stella di poter “baciare, abbracciare e… tutto il resto” Betty, un’affascinante turista italo-americana. I due hanno un’intensa relazione amorosa, ma, alla fine delle vacanze, Betty spezza il cuore a Milo, dicendogli che per lei si è trattato solo di un passatempo estivo, senza futuro. Milo impara così che “quando gli Dei vogliono punirci esaudiscono i nostri desideri”. E, per una strana coincidenza del destino, diventa un ladro di stelle cadenti al fine di correggere quei desideri che potrebbero far male. A quarant’anni Milo “ruba” la stella cadente col desiderio di Betty di volere un figlio, ed è travolto da un turbine di emozioni.
Il regista dichiara: “È un grande onore, per me, poter dirigere a soli ventiquattro anni un lungometraggio con un grande cast di livello internazionale. Darò tutto me stesso e sfrutterò tutta l’esperienza accumulata negli anni di studio e di gavetta per poter realizzare un grande film che sarà distribuito in tutto il mondo, esprimendo uno stile di regia molto anticonformista e surreale e dando grande importanza alle colorimetria, ispirandomi a grandi artisti come Wes Anderson, Tim Burton, Joann Sfar e Steven Spielberg”.
La fotografia de il ladro di stelle cadenti è stata affidata a Gabriele e Andrea Bizzoni, mentre le scenografie sono a cura di Tonino Di Giovanni e i costumi di Flavia Pinello. Molti professionisti della troupe sono di Milazzo, Catania e Messina, mentre tutto il reparto regia e produttivo è di Roma. L’Horcynus Productions ha affidato la produzione esecutiva del film al professionista di comprovata esperienza Giuseppe Andreani. Si aggiungeranno al cast altri attori noti nel panorama cinematografico italiano. È intento della produzione presentare il film ai più importanti festival cinematografici internazionali.
Sono terminate a Roma le riprese de Il dolore nascosto, secondo lungometraggio diretto da Andrea D’Emilio, già autore del thriller La scelta giusta e di uno degli episodi inclusi nel collettivo Italian horror stories.
Prodotto da Alberto De Venezia per Ipnotica Film srl, Il dolore nascosto vede nel cast Loretta Micheloni (La grande guerra del Salento), Augusto Zucchi (Suburra – La serie), Gianluca Potenziani (Karate man), Dafne Barbieri (Medium), Valerio Paolucci (All in one day), Ronald Russo (L’isola dei morti viventi), Vanessa Marini (Ferie d’agosto) e la star della popolare soap opera Beautiful, Daniel McVicar.
Giovanna (Micheloni) è una donna sui sessant’anni, alle prese con il resoconto di una vita: è soddisfatta di quello che ha fatto? Accanto a lei vi sono suo marito Stefano (Zucchi), divenuto – dopo una lunga carriera – assessore al Comune di Roma, e il figlio Michele (Potenziani), pittore squattrinato e tormentato da angosce esistenziali. Quando Michele arriva a commettere involontariamente un omicidio, finisce in prigione, portando la madre, disperata, ad iniziare una discesa agli inferi nella propria psiche. Una discesa che porterà anche Stefano a riflettere sulla loro relazione. Riuscirà la donna a scacciare i fantasmi dalla sua mente e a rimettere insieme i pezzi di una famiglia distrutta?
Il regista dichiara: “Il dolore nascosto è dunque un viaggio all'interno della mente di una non più giovane figura femminile alle prese con un bilancio della sua vita. La rottura degli equilibri, dovuta al gesto tanto involontario quanto tragico del figlio, la porta a perdere man mano la bussola della sua mente e dei suoi rapporti personali. Ho voluto indagare con affetto, sincerità ed empatia per questa donna le piccole sfumature che racchiudono il ‘perdersi’ di una psiche e che ci raccontano come la mente possa auto-indursi ad uno smarrimento esistenziale e a trascinarsi verso la follia. Giovanna può reagire con più forza a tutto quello che le succede? O il suo mondo mentale, ambiguo fino a figurarsi una seconda realtà inesistente, le impedisce di reagire con raziocinio? La risposta è agli spettatori”.
Attualmente in post-produzione, Il dolore nascosto, con produttore associato Massimo Paolucci e organizzatrice generale Sara Paolucci, è montato dallo stesso D’Emilio e verrà distribuito da Alberto De Venezia per Ipnotica Film srl. La fotografia è a cura di Marko Carbone, le scenografie di Tonino Di Giovanni, i costumi di Alessandra Lucarini e il trucco di Deborah Bisterzo. Completano il cast Ermanno Righetti, Daniele Pompili, Antonio Corazza, Sebastiano Monte, Sara Arrizza, Valeria Elle, Lea Borniotto, Gianpaolo Caprino, Vera Borniotto e Greta Gallotti.