E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Prodotto da Alberto De Venezia per Ipnotica Film, è in post-produzione Tenet Nunc Parthenope – Napoli esoterica, documentario scritto e diretto da Carlo Lo Vetro.
Un documentario che tratta della realtà esoterica propria di Napoli, richiamando molte delle innumerevoli espressioni che la compongono e la caratterizzano quale secolare centro di tradizione.
Le testimonianze raccolte sono quelle di rigorosi studiosi e operai dell’esoterismo e della tradizione partenopea in particolare, che dissertano di alchimia, pitagorismo, egizianesimo, astrologia e orientatio, simbolismo rosacrociano e massonico, ermetismo, medianità, spaziando anche nella mitologia, nella magia e stregoneria, la lava vulcanica, Virgilio-Mago, Giordano Bruno, fino al genius loci, alla devozioni pagane e alla religiosità popolare. Richiamando, inoltre, la riflessione junghiana su alcuni archetipi partenopei.
Il regista dichiara: “C'è veramente un'altra città dentro Napoli, visibile a tutti, ma non comprensibile da tutti. Si tratta di uno spazio cosmicizzato, in cui la tradizione ha stratificato la propria presenza. I simboli e i riti la rivelano e la tramandano ai consapevoli. I miti, le leggende e le cerimonie ne affidano la custodia al folklore, al popolo, ai molti inconsapevoli. È l'esoterismo radiante della ‘Città solare’, dove anche l'ombra può trovare redenzione. Nell'opera che stiamo realizzando, tale realtà è trattata attraverso il contributo di qualificati e autorevoli suoi studiosi, che ne richiamano alcuni dei molteplici aspetti. Senza alcuna pretesa di esaustività – peraltro improbabile – ma con un intento rappresentativo che va compreso ben oltre la mera esemplificazione”.
Il cast di Tenet Nunc Parthenope – Napoli esoterica annovera Lucia Annicelli, Claudio Canzanella, Emanuele G. Casale, Roberto Cassio, Ruggiero Ferrara Di Castiglione, Alessandro Cecchi Paone, Francesco Afro De Falco, Maurizio Elettrico, Pasquale Fonte, Salvatore Forte, Clementina Gily Reda, Paola Giovetti, Sigfrido E. F. Höbel, Paolo Izzo, Massimo Marra, Federico Montanari, Moreno Neri, Sara Oliviero, Marco Perillo, Antonio E. Piedimonte, Paola Pierpaoli, Marco Rocchi, Raffaele K. Salinari, Luca Valentini. Con la rarità di un dialogo onirico tratto dal Libro rosso di Jung, letto da Danilo Brugia e Sebastiano Somma.
Caratterizzato da immagini originali di simboli, oggetti e luoghi appartenenti alla scienza sacra curate dai direttori della fotografia Gabriele e Andrea Bizzoni su riprese di Sigfrido E. F. Höbel Jr., Tenet Nunc Parthenope – Napoli esoterica vede al montaggio Andrea D'Emilio ed è accompagnato da una colonna sonora realizzata da Bauch & Henik. La ricerca e la coordinazione dei media sono curate da Giorgio Catalano.
Reduce dal semi-autobiografico Karate man, uscito in sala a Maggio 2022 e ora disponibile su Prime Video, in attesa che approdi sul grande schermo Gli Speciali – commedia d’azione in cui veste i panni di un particolare eroe nell’era della pandemia da Covid-19 – Claudio Del Falco torna nei cinema il 2 Febbraio 2023 in Assassin club di Camille Delamarre (The transporter Legacy).
Presentato da Paramount pictures e distribuito da Eagle pictures, Assassin club vede Henry Golding (G.I. Joe: Snake eyes) nei panni di un assassino che, al suo ultimo contratto, viene ingaggiato per uccidere sette persone sparse in tutto il mondo; senza immaginare che gli obiettivi siano a loro volta assassini assunti per ucciderlo. Trasformandosi dunque da cacciatore a preda, la sua unica possibilità per sopravvivere è scoprire la misteriosa mente che si cela dietro al piano mortale.
All’interno di un ricco cast internazionale comprendente Sam Neill (Jurassic park), Jimmy-Jean Louis (The gray man), Daniela Melchior (The Suicide squad) e Noomi Rapace (Uomini che odiano le donne), Claudio Del Falco – unico interprete davvero “fisico che abbiamo nel cinema italiano del terzo millennio – è il killer psicopatico Ryder, il quale tenta in più occasioni di uccidere sia Golding che la sua fidanzata.
Uno spettacolare thriller d’azione in giro per il globo che segna l’ennesimo traguardo davanti all’obiettivo della macchina da presa per un attore che, definito anche il “Jean-Claude Van Damme italiano”, prosegue il proprio percorso mirato a portare le arti marziali al cinema, come già dimostrato attraverso le interpretazioni in Tradito a morte, Rabbia in pugno e MMA Love never dies.
Un percorso che, oltretutto, dopo l’uscita di Assassin club è destinato ad andare avanti con il debutto di Del Falco stesso alla regia: Iron fighter, action movie d’ispirazione statunitense di cui, affiancato da Danny Queen e Camila Cruz Escobar, è anche protagonista nel ruolo di un campione di Karate/K1 alle prese con una spietata banda criminale capitanata da Hal Yamanouchi.
Dopo oltre 5 anni di tempo Darren Aronofsky torna con l’opera successiva al discusso Madre!, un film particolarmente complesso nelle tematiche e nella struttura, le cui critiche nettamente polarizzate presso pubblico e stampa avevano creato più di un grattacapo alla carriera del regista americano.
Con questo The Whale si ricrea un’atmosfera a lui più congeniale, indagando sulle tensioni delle nostre pulsioni emotive e guardando in faccia personaggi che spingono le proprie esistenze al limite del baratro, percorso già esplorato con titoli del calibro di Requiem for a Dream o il Cigno Nero.
Il protagonista Charlie (Brendan Fraser), è un insegnante di letteratura inglese dal peso di oltre 270Kg, una stazza che gli impedisce o rende faticosissimo anche il più comune dei movimenti per una persona normale. Dopo essere scampato ad una crisi potenzialmente fatale, visto che l’obesità è notoriamente una condizione fisica molto pericolosa, il nostro docente si rende conto di dover rimettere ordine nella propria vita. Cercherà una rivalsa sociale e personale riallacciando i rapporti con la famiglia e proverà ad affrontare demoni del passato che lo hanno direzionato verso questa situazione.
Come nelle precedenti opere, l’occhio del regista è inquisitore, crudo e senza filtro, talvolta sembra sconfinare nel vouyerismo e nel proibito, ma è necessario per cristallizzare un momento di pura sincerità nella vita dei suoi protagonisti.
Se ad esempio nel già citato Cigno Nero i tormenti della giovane Nina sfociavano in un autolesionismo che non lasciava nulla all’immaginazione, in questo The Whale, Charlie ci rende testimoni della schiavitù nei confronti della sua condizione con altrettanta efficacia. I primi piani mentre si nutre con voracità e senza alcun ritegno mostrano una creatura votata a saziare un istinto primordiale, con uno sguardo predatorio, ma tragicamente incapace di riempire i vuoti della sua intimità.
Trova necessario e salvifico cercare conforto nel cibo quando i legami sono così labili e saltuari, con la solitudine interrotta solo dall’intervento routinario delle visite mediche a domicilio.
Nonostante la dura realtà a schermo, la vicinanza col protagonista viene però molto naturale; Brendan Fraser si dedica anima e corpo, in tutti i sensi, a conferire dignità e umanità alla sofferenza di Charlie.
La sua è una prova attoriale di assoluto livello, con un ruolo di rinascita personale in cui ha infuso ogni tentativo di raddrizzare una carriera costellata di alti e, soprattutto negli ultimi anni, di profondi bassi.
Se il regista riesce a dipingere un ritratto così lucido, gran parte del merito è ovviamente suo; egli veste i panni di un personaggio anche fisicamente molto impegnativo, ma lo sforzo lo riporta al centro dei riflettori e in prima linea nella stagione delle premiazioni.
Il resto del cast, a partire dalla Sadie Sink di Stranger Things, colpisce meno, ma è anche comprensibile perché l’epopea personale di Charlie lascia poco spazio a tutto ciò che gravita intorno. Non sembra necessario indagare da altre parti quando c’è così tanto del protagonista ad appesantire le nostre emozioni.
Anche la forma segue le stesse intenzioni, perché questo diventa l’ennesimo film recente ad adottare un formato 4:3, ormai tipico nel creare più coinvolgimento nello spettatore, e tutta la vicenda è ambientata in un set praticamente unico, l’interno dell’appartamento di Charlie, a non voler spostare nemmeno fisicamente l’epicentro della narrazione.
The Whale si rivela quindi un film di grande livello, che si inserisce perfettamente nel filone drammatico-psicologico tracciato da Darren Aronosfky lungo tutta la sua filmografia. Egli rimane uno dei pochi artisti in grado di creare personaggi profondamente umani, forti e fragili, con un’autorialità che a volte respinge, ma comunque colpendo l’immaginario dello spettatore, lasciando il segno e generando discussione. Se ne sentiva decisamente la mancanza.
Omar Mourad Agha
L’ultimo lavoro di Alessio Cremonini, regista del precedente “Sulla mia pelle” che raccontava il celebre caso di cronaca di Stefano Cucchi, sposta ora la propria attenzione sul terreno bellico della Siria (già esplorato con il precedente “Border”), al tempo della presa di Kobane da parte dei curdi contro l’esercito del’ISIS, nel 2015.
Lo schermo si illumina con il primo piano della protagonista: Sara Canova (Jasmine Trinca), seduta su un pavimento di una stanza che sembra essere un bagno. S’intuisce poco dell’ambiente ma la camera si sofferma sul suo viso piangente, disperato. Ecco quindi che la scena cambia e ci mostra un flashback di 105 giorni prima, quando la donna che poco prima avevamo visto disperarsi in quel primo piano struggente e senza soluzione, sta intervistando una giovane combattente curda che le mostra fiera i motivi della sua militanza con queste parole: “Combatto per i curdi, per la libertà e per le donne. Perché noi donne siamo il principale nemico dell’Isis. Ma l’Isis non è l’unico problema. In Medio Oriente, se sei una donna, devi imparare a difenderti il prima possibile. Qui, la maggior parte dei regimi è basata sulla sottomissione, sull’oppressione delle donne. È per questo che le uniche persone che possono cambiare questa mentalità sono le donne”.
Si apre, con queste parole, calme, serafiche espresse con la freddezza fiera di una militante risoluta ma al tempo stesso consapevole, uno dei filoni principali della pellicola di Cremonini: il femminile nell’accezione antitetica di una occidentale e una estremista asservita al Califfato islamico.
La narrazione prende forma quando, mentre sta lavorando e sta esplorando una chiesa cristiana abbandonata e semidistrutta, la giornalista viene rapita dall’Isis che ne fa un ostaggio da lì per i successivi 141 giorni. Ma Sara non può abitare nello stesso luogo in cui sono presenti degli uomini, così viene ospitata da Nur (Isabella Nefar), una foreign fighter cresciuta a Londra che ha sposato, oltre che la causa del califfato, anche un mujahidin che la sottomette al suo volere e di cui è perdutamente innamorata.
Le due donne iniziano una convivenza che ne mette in risalto le differenze. Da una parte c’è il femminile occidentale: duro; con un forte senso di riscatto. Indipendente e concreto, che identifica la propria spiritualità senza dover passare necessariamente per il canale della religione.
Dall’altra parte c’è il femminile islamico. Anzi, estremista: asservito all’uomo che è considerato “un essere superiore”. Devoto e manicheo, che non ammette sfumature di confine sulla condotta morale (religiosa): propria e degli altri, a cui non è data possibilità di scelta.
C’è nella pellicola un continuo sguardo divino: la camera scruta dall’alto i personaggi come un Dio inflessibile che mostra il proprio volere senza restrizioni: un infedele decapitato, il sogno della conversione, le preghiere verso la Mecca, sono scene osservate dall’occhio rigoroso del regista che ne esplicita sullo schermo il senso ieratico senza orpelli ma con disincanto. Con discrezione ma autorevolezza.
L’uomo è sopraffatto e lo spettatore si sente parte di questa sopraffazione: la guerra, la punizione divina, il vacillare della speranza della liberazione dalla prigionia, il senso d’impotenza per la spietata uccisione di altri ostaggi... E questa sopraffazione non ha risoluzione, né per i personaggi, né per lo spettatore.
Il regista non vuole necessariamente giungere a una qualsivoglia conclusione. Vuole raccontare, informare senza giudicare- usando le parole della protagonista- un mondo di antinomie e di contraddizioni, in cui la donna è protagonista pur restando nell’ombra sgualcita di un ideale che nulla o poco ha a che vedere con lo stereotipo di genere o con un’appropriazione culturale facilona.
Valeria Volpini