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È stato battuto il primo ciak de Il giardino dei sogni perduti, nuova opera della regista di Prato Sasha Alessandra Carlesi, autrice degli short film Rosa blu, Novel, Stavolta tocca a me e del lungometraggio thriller Le grida del silenzio, distribuito nei cinema nel 2018 da Saturnia pictures e Ipnotica produzioni e ora disponibile su Sky suspense e Now Tv.
Sasha Alessandra Carlesi dichiara: “L’aborto è il tema portante di questo cortometraggio, che non lo condanna, né lo sostiene, ma offre allo spettatore modo di riflettere sull’argomento senza giudicarlo. I protagonisti sono tre attori in cui credo molto e rappresentano perfettamente l’idea che avevo dei personaggi”: la giovanissima Martina Palladini, molto sensibile alle tematiche sociali, il poliedrico Ciro Buono e l’affermatissima Patrizia Pellegrino”.
In un giardino meraviglioso si muovono e si raccontano diversi personaggi. Sono adulti ma hanno le movenze di bambini. Tre di essi, Michelle (Martina Palladini), Vincenzo (Ciro
Buono) e Francesca (Patrizia Pellegrino), iniziano a parlare mentre attraversano questo luogo magico, ci raccontano i loro sogni. Chi sarebbero stati, cosa “sarebbero” diventati. Sarebbero! Spostandosi da un luogo per raggiungerne un altro dove si raduneranno tutti assieme in un grande girotondo scopriamo che questi adulti, così candidi e puliti, non sono altro che bambini mai nati, che hanno assunto la forma umana dei loro sogni, di ciò che sarebbero stati se venuti al mondo: una veterinaria, un manager, un’attrice di varietà. Ci racconteranno di sé, ma anche della loro non nascita, e attraverso le loro parole capiremo da dove provenivano e dove non sono potuti arrivare. Ora vivono nel proprio Eden onirico, in armonia con gli altri e dall’alto osservano noi esseri umani, piccoli, sulla Terra.
Provando dunque ad immaginare come sarebbe stata la vita dei tre protagonisti mai nati, Il giardino dei sogni perduti intende essere un viaggio onirico tutt’altro che volto a fornire un giudizio di merito sulla validità dell’aborto, ma mirato a portare la discussione oltre, prendendo in considerazione anche le situazioni personali delle madri dei tre bimbi protagonisti e delle motivazioni profonde che le hanno spinte ad un’interruzione di gravidanza. Un atto necessario e che dà diritto di scelta e libertà alle donne? oppure una pratica non consona che interrompe qualcosa di intoccabile?
Il giardino dei sogni perduti è prodotto da Saturnia pictures, Ipnotica produzioni e Miami No Face srl, con Roswellfilm, Everglades Film e Wazoo come produttori associati, Massimo Paolucci in qualità di produttore creativo e Alberto De Venezia, Giuseppe Milazzo Andreani e Stefano Giuliani in vesti di produttori esecutivi.
Marko Carbone è il direttore della fotografia, Andrea D’Emilio si occuperà dell’editing, i costumi sono di Antonella Balsamo, le scenografie di Tonino Di Giovanni e le musiche originali saranno composte da Massimiliano Lazzaretti.
Insieme a Martina Palladini, Ciro Buono e Patrizia Pellegrino fanno parte del cast Valerio Paolucci e Andrea De Dominicis.
Finalmente arriva nelle sale il seguito di uno dei cult più apprezzati degli anni ’80, quel Top Gun che ha fatto sognare di volare a velocità folli e schivare missili intere generazioni di spettatori.
Pronto ormai da un paio d’anni, la sua uscita è stata posticipata in attesa di una situazione che potesse garantire un ritorno economico più stabile rispetto a quello possibile nel precedente periodo pandemico, ben più critico di quello attuale, e gli incassi delle hit uscite recentemente fanno ben sperare la Paramount Pictures.
L’espediente narrativo per giustificare il ritorno di Maverick nella celebre scuola Top Gun è quello di addestrare una squadriglia di giovani assi per una missione molto pericolosa. Oltre alla difficoltà insita nell’operazione stessa, la presenza tra le file di piloti del figlio del compianto Goose renderà i rapporti tra istruttore e allievi ancora più complicati del previsto.
Non è una sopresa che il film poggi interamente sulle spalle del celebre attore hollywoodiano, che nel tentativo di ricreare il cameratismo richiesto ricorrerà a mezzi più o meno tollerati dai superiori, ovviamente incapaci di opporsi al carisma del golden boy.
Anche il regista Joseph Kosinski ci mette del proprio nel confezionare un film su misura alla star, avendoci già lavorato nell’interessante Oblivion, ed essendosi già confrontato con un blockbuster di una major in Tron Legacy.
In questa situazione il suo lavoro ci regala emozionanti inquadrature tra i cieli e primi piani da torcicollo all’interno dei cockpit degli aerei.
Come anticipato precedentemente si avverte tutta la necessità di rientrare dei costi sostenuti perchè lo sforzo produttivo nel ricreare le coreografie a schermo è senza dubbio lampante. Trascina chi osserva nel mezzo dello spettacolo di un intrattenimento da pop-corn nel senso più pieno e divertente dell’espressione.
Per il resto il film cerca di incanalarsi sulle strade già battute dall’originale, cercando di ricreare un gruppo affiatato di piloti per cui parteggiare, e usando situazioni fuori dalla cabina di pilotaggio che rievocano sensazioni di deja-vù.
Gli interpreti cambiano, qua Jennifer Connelly in luogo di Kelly McGillis, ma le dinamiche rimangono funzionali, il tutto accompagnato da sonorità anch’esse affini al capostipite, riarrangiate da artisti d’eccezione quali Hans Zimmer e Lady Gaga.
E’ da sottolinare anche una cura ricercata nei dettagli e nomenclature di aerei e situazioni di volo, che impreziosiscono ulteriormente la visione all’appassionato di aeronautica, per tutti gli altri invece rimane un film in grado di tenere attaccati alla poltrona e con la mente oltre la velocità del suono per due ore abbondandi, e non è affatto poco.
Omar Mourad Agha
Il nuovo film Pixar si ricollega al mondo dei giocattoli di Toy Story riportando uno dei suoi due protagonisti principali al centro della scena, a 3 anni di distanza dal quarto capitolo.
Lo space ranger Buzz Lightyear prende parte quindi ad un’avventura spaziale che funge di fatto da prequel, giustificando il motivo per cui Andy decise di farsi regalare il celeberrimo giocattolo nel capostipite della saga.
Dimenticate perciò i movimenti limitati e plasticosi che intenerivano e a loro modo impreziosivano gli episodi regolari, in questo caso abbiamo davanti agli occhi un perfetto esempio di science-fiction, che sovente strizza l’occhio ai più classici esempi del genere e ogni tanto cerca di aggiungere anche qualcosa di personale direttamente dai grandi predecessori nati in casa.
Specialmente la prima metà dell’opera mostra scene da film di grande livello, arrivando ad emozionare come lo studio di proprietà topoliniana non ha fatto che nei suoi capolavori. Una sequenza in particolare sembra uscita direttamente dal folgorante e commovente prologo di Up.
Ma è anche con i continui rimandi ai già citati capisaldi del genere, tra cui pietre miliari come Alien e Terminator, e l’inserimento di momenti di brillante umorismo, che questo film trova tutto il suo valore.
Un perfetto esempio di questo concetto è condensato in un nuovo personaggio, il pupazzoso aiutante di Buzz dalle sembianze di un gatto. E’ un supercomputer multifunzione che tra una fusa e l’altra è in grado di risolvere ogni situazione al pari di un miagolante R2-D2, e con regolarità ruba la scena con improvvisa ilarità.
Il seguito mostra invece il fianco ad un leggero appiattimento nell’originalità delle situazioni o semplicemente nel dipanarsi della trama.
La figura dell’antagonista, problema soprattutto nell’ultima corrente di prodotti dello studio, viene risolto con un colpo di scena già visto e rivisto in questi contesti, sebbene rimanga sempre funzionale, ma la sua gestione tradisce una certa semplificazione che accompagna l’avventura fino all’epilogo.
Ad ogni modo il ritmo rimane molto dinamico, garantendo quindi un ottimo intrattenimento grazie anche al sempre eccellente livello tecnico che contraddistingue le opere Pixar. Decisamente il meglio per quanto riguarda effetti di luce e particellari, così come nella creazione dei personaggi e ambientazioni ricchi di cura e dettagli.
In definitiva l’ultima opera della saga di Woody e Buzz è un degno esponente della casa che ha elargito calibri di assoluto livello, e sebbene non riesca a mantenersi costante su vette che brevemente tocca, regala una visione di comunque pregevole fattura.
Omar Mourad Agha
Con questo capitolo si conclude la seconda trilogia di un franchise iniziato nel lontano 1993 con l’acclamato capostipite di Steven Spielberg, e tratto dalla penna del compianto Michael Crichton.
Una saga che ha attraversato tre decadi e che per il momento tuttavia non ha ulteriori piani futuri per il grande schermo.
Già il cast suggeriva un’idea di chiusura del cerchio, col ritorno dei protagonisti originali Alan Grant (Sam Neill), Ellie Sattler (Laura Dern), e Ian Malcolm (Jeff Goldblum) al fianco dei “nuovi” Owen Grady (Chris Pratt) e Claire Deering (Bryce Dallas Howard).
Con così tanti comprimari si rende necessario creare più linee narrative, che si muovono all’interno di un quadro di crisi alimentare, tema più che mai attuale, innescata da un’invasione di locuste fameliche e dalla solita multinazionale senza scrupoli.
I dinosauri, altrettanto importanti nella storia del brand, dopo la libertà strappata nel secondo capitolo, hanno invece trovato una parvenza di convivenza con l’uomo in opportune riserve naturali o all’interno dei normali ecosistemi animali.
Se già dalla sinossi si fa fatica ad inserire tutti gli elementi all’interno di un quadro coeso, il film non fa molto per mitigare questa sensazione, lasciando un intreccio piuttosto debole quando si tratta di far convergere tutte le direzioni.
Colin Trevorrow, il regista di questo secondo ciclo preistorico, si affida ad altro per tenere in piedi l’interesse dello spettatore, creando sequenze, anche se slegate, con un alto tasso di spettacolarità ed adrenalina, forse però troppo simili ad altri franchise più consoni quali 007 o Mission Impossible.
In altre circostanze, soprattutto dove è coinvolto il cast originale, si cercano invece atmosfere più affini all’indimenticato primo film, in un’operazione nostalgia già utilizzata per l’inizio di questa nuova trilogia, e che funziona ancora solo in virtù dell’estrema qualità del materiale di partenza.
Anche la colonna sonora si rifà al mitico tema di John Williams, in questo caso riarrangiato dal sempre bravo Michael Giacchino.
Le prove del cast sono in linea con quelle dei precedenti capitoli, senza infamia nè particolare lode, e cercano di mascherare la fragilità della scrittura e delle altre componenti del film, che ha tuttavia il merito di passare velocemente lungo le oltre 2h e 20’ che ne compongono la durata.
In tutto ciò, loro, i dinosauri, vera attrattiva e perno attorno cui ha sempre ruotato l’aspettativa della visione, sembrano quasi relegati al ruolo di comprimari sullo sfondo, dei riempitivi tra gli spazi larghi del tessuto narrativo, ed è un peccato che creature ormai diventate iconiche non siano state sfruttate meglio.
Tirando le fila del discorso, il problema principale di quest’opera, ed in generale di questa nuova trilogia, è il fatto che il regista non sia riuscito a dare un’idea chiara di cosa fare con tutto il materiale a sua disposizione, e ha pensato bene di salvarsi provando a seguire le orme tracciate dall’illustre predecessore. Se però questa è la direzione, ben venga una pausa e una riflessione più profonda sul futuro di questa saga; qualora si volesse riportare in vita queste affascinanti creature un’altra volta, che sia per un autore che voglia contribuire significativamente alla loro mitologia, anzichè uno che si accontenta del compitino.
Omar Mourad Agha