Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » I Nostri Corsi » Info
A+ R A-
Info

Info

E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Faya Dayi

Lunedì 11 Luglio 2022 20:38 Pubblicato in Recensioni
Faya Dayi primo lungometraggio di Jessica Beshir scrittrice, regista, produttrice, direttrice della fotografia di origini messicane ed etiopi, è un vero e proprio viaggio alla scoperta del territorio etiope che ha fatto della coltivazione, commercio ed esportazione di khat, minuscola foglia dalle proprietà stupefacenti,l’ossatura della propria economia.
 
Il film è una mera descrizione di quello che avviene in questo Stato africano e, anche se non trapela alcun giudizio morale, tutta la narrazione è avvolta da una spessa coltre di rassegnazione come se fosse già scritto il destino di questo popolo e non ci sia possibilità di riscatto per i suoi abitanti se non nella fuga verso altri Paesi. Le immagini sono sempre in bianco e nero ed evocano proprio luci e ombre di un popolo dove regna sopraffazione e arretratezza. Solo una scena di un braciere acceso è a colori e simbolicamente potrebbe rappresentare la speranza delle giovani generazioni in un futuro migliore. La regista si sofferma quasi sempre su dettagli, su parti del corpo che compiono azioni di cura, di lavoro, ma anche gesti ripetitivi che fanno pensare ad una arcaica catena di montaggio che tiene in scacco tutti: giovani, donne e uomini anziani.  Queste inquadrature così strette costringono lo spettatore a spiare da un ipotetico buco della serratura qualcosa di lontano e non facilmente comprensibile a chi non vive la stessa storia e si nutre della stessa cultura.  Faya Dayi, il cui titolo riprende quello della canzone intonata dai braccianti durante la mietitura del raccolto di questa minuscola foglia, ci introduce in un mondo dai forti contrasti: sacro e profano, legale e proibito, natura incontaminata e degrado.   Le leggende etiopi narrano che il khat fu scoperto dagli imam sufi in cerca dell'eternità. Oramai invece, questa pianta rappresenta un giogo al quale sono legati gli abitanti che non hanno altre alternative per sopravvivere e nemmeno altre risorse per evadere da una realtà opprimente. Il film è un racconto sincero di una condizione poco nota alle masse e ha il sapore di una storia che affonda le radici nel mito che si tramanda di generazione in generazione.
 
Virna Castiglioni

Prodotto da Flat Parioli e TNM Produzioni, arriva nei cinema il 21 Luglio 2022 The Slaughter – La mattanza, nuovo horror diretto da Dario Germani, regista di Antropophagus II.

Sceneggiato da Antonio Tentori, autore di script per maestri della Settima arte di paura italiana quali Lucio FulciJoe D’Amato Dario ArgentoThe Slaughter – La mattanza vede nel cast Tonia De MiccoSamuel KayNadia RahmanJanice QuinolRoberto Luigi MauriJason PrempehTashi Higgins Fabrizio Bordignon.

 

Quattro ragazze, Sara, Alice, Laurie e Cindy, e tre ragazzi, Riccardo, Jason e Norman, decidono di trascorrere una notte di sballo all’interno di un grande stabilimento cinematografico di sviluppo e stampa. In una sala di proiezione assistono ad una pellicola intitolata The Slaughter, che mostra in soggettiva la festa di alcuni giovani interrotta da un individuo che, con il volto nascosto dalla maschera di una bambola, uccide tutti. I ragazzi ignorano di essere controllati, seguiti e ripresi da qualcuno, fino al momento in cui fa la sua apparizione una figura sfoggiante la stessa maschera del killer visto nel filmato. È soltanto l’inizio di un’angosciante notte di terrore.

 

Il regista dichiara: “The Slaughter – La mattanza inscena una notte di sesso e droga nel tempio del cinema, considerando che stiamo parlando di un laboratorio di sviluppo e stampa. La prima cosa che ho pensato è stata quella di far aggiungere allo sceneggiatore battute riguardanti film appartenenti ad un periodo importante per il cinema italiano di genere. Quindi sentirete i nomi di registi cult quali Lucio Fulci e Bruno Mattei. A tal proposito, è stata importante la consulenza di Claudio Fragasso, autore di tanto horror e di titoli noti come Palermo Milano solo andata e il suo sequel, il quale ricordava film per film le uccisioni. In più, poi, abbiamo una componente demoniaca che richiama altre pellicole. Dopo Antropophagus II, questo è un film tramite cui abbiamo voluto proseguire il nostro omaggio a quella celluloide stracult, ma stavolta calcando meno la mano sul gore. Tra l’altro, abbiamo avuto la fortuna di avere attori di madrelingua inglese molto bravi, alcuni oltretutto qui alla loro prima prova".

Cura la fotografia di The Slaughter – La mattanza lo stesso Germani, reduce proprio dal successo di critica di Antropophagus II, che ha suscitato non poco interesse da parte degli acquirenti internazionali.

Il montaggio del film è di Marco Iacomelli ed Edoardo Viterbori, la colonna sonora a firma di Antonino Politano, i costumi sono di Antonella Balsamo, le scenografie di Antonio Di GiovanniDavid Bracci si occupa degli effetti speciali di trucco.

Distribuito da Flat ParioliThe Slaughter – La mattanza è prodotto da Pierpaolo Marcelli e vede in vesti di organizzatore generale Gianni Paolucci... per una tranquilla estate di terrore made in Italy!

 

Reduce dal lungometraggio horror Custodes, distribuito da Saturnia Pictures srl e disponibile in streaming su HODTV, la giovane cineasta Lea Borniotto si prepara al percorso festivaliero della sua nuova opera realizzata con il team Alienside StudioVindex Flamma, interamente girata sul territorio toscano con alcune riprese effettuate presso il Museo della tortura e dell’inquisizione di San Gimignano.

 

 

Sceneggiato dalla stessa Borniotto insieme ad Edoardo NerviVindex Flamma è un cortometraggio fantasy dark mirato a denunciare le traversie e le persecuzioni che le donne hanno subìto durante il periodo medievale e, in particolare, i femminicidi dell'epoca, giustificati attraverso l'assurda e maschilista “caccia alle streghe”.

 

Un mini film che racconta l’inganno ingegnato dal Dio Bafometto sotto l’aspetto di un essere mutaforma intento ad aiutare i soggetti di sesso femminile nell’avere la loro vendetta sui crudeli e sadici preti dell’epoca.

“Con questo corto, per i cui dialoghi mi sono ispirata al cinema di Quentin Tarantino, voglio mostrare la stupidità delle credenze religiose nell’epoca medievale e denunciare apertamente gli orrori commessi dall’inquisizione nei confronti delle donne" dichiara la regista. In quanto l‘obiettivo di Vindex Flamma, completamente recitato in latino ecclesiastico con la supervisione del latinista Alan Jess, è spingere lo spettatore a riflettere su quanto la società odierna sia ancora popolata da superstizioni e atteggiamenti maschilisti.

Interpretato da Lea Vera BorniottoLuca ChikovaniMartina Sissi Palladini, Michele Veccia, Roberto Dal BenLorenzo CrovettoAlessio Cherubini, in collaborazione con l’agenzia Imacrew, Vindex Flamma è prodotto da Saturnia PicturesIpnotica FilmEverglades Film e Miami No Face Production, in collaborazione con Roswellfilm e Wazoo.

Cura la fotografia di Vindex Flamma Edoardo Nervi, mentre il montaggio è di Andrea D’Emilio, la supervisione alla regia di ,Alberto Gangi e la colonna sonora di Ginevra Nervi. Si occupano della realizzazione di accessori e costumi Roberto Molinelli,  Artemisia Casoni e Roberta Limardo.

I produttori esecutivi sono Giuseppe M. AndreaniAlberto De Venezia Stefano Giuliani, con produzione creativa di Massimo Paolucci.

 

Elvis

Mercoledì 22 Giugno 2022 20:29 Pubblicato in Recensioni

È ancora ben salda la passione per la musica trasposta sullo schermo del regista australiano Baz Luhrmann che sceglie, per il suo ultimo lavoro, di depositare nelle sale la storia della vita e del mito di Elvis Aaron Presley.

Non è facile riuscire a traslare, con i limiti di un medium, tutta la grandiosità di un'icona immortale della musica e, quando un regista sceglie di cimentarsi in tale obiettivo, rischia di scontrarsi con la semiotica dell'idolatria.

Il mito di Elvis è ancora oggi imperituro. Ha pochi eguali nella storia della musica e forse anche dell'arte in generale. Parlare di un personaggio di questo tipo e scegliere cosa rappresentare e come disegnarlo non è quindi una scelta facile.

Luhrmann sceglie un attore professionalmente giovane (August Butler), con pochi film al suo attivo, capace di travalicare la dimensione del tempo e dello spazio e incantare lo spettatore, con un inganno consapevole che rende sfumati i contorni di realtà e fantasia.
La musica è il linguaggio del film, più delle parole della sceneggiatura piuttosto asciutta, in un valzer di due ore e quaranta che il protagonista e la sua arte ballano senza sosta, tra suggestioni pop ed episodi di ascesa e discesa personale della fragile anima del protagonista.

La voce narrante è quella del Colonnello Parker (Tom Hanks) storico manager di Elvis, reo di aver sfruttato l’immagine e i guadagni del suo cliente senza alcuno scrupolo, per tutta la vita dell’artista, senza dargli la possibilità di svincolarsi e interpretando il ruolo di un padre putativo dispotico, approfittando del flebile ruolo del padre reale nella vita del re del rock.

La figura dell’antagonista, così profondamente e spregevolmente umana e radicata nella centralità del conformismo americano degli anni 50, identifica la contrapposizione tra l’umano e il divino Elvis, il supereroe. L’amore per i fumetti e la grafica da storyboard,  permeano l’immagine del protagonista fin dalle prime sequenze. La rappresentazione di una icona che sfiora l’idolatria divina partendo da una condizione misera e così profondamente terrena è immaginifica e riesce a unire l’aspetto pop e l’aspetto divino, in una coalescenza coerente con la storia personale ed artistica del protagonista.

Il primo incontro di Elvis con la musica è una epifania maestosa: il risultato di un’estasi mistica, una chiamata verso il sacro, il ritrovamento di un’anima e del suo “daimon”, con una danza estatica afroamericana in cui gospel, country, rock, rockabilly, si mescolano grazie alla sua voce e al suo ancheggiare perverso ed erotico.

La rivoluzione culturale che ha innescato la presenza di Elvis sulla scena dell’arte mondiale passa per tematiche di matrice sociale, sessuale, razziale, oltre che naturalmente musicale. L’ascesa e la discesa di un uomo e la nascita di un mito immortale che nell’immaginario collettivo è la matrice di uno stile, oltre che di un genere. E Luhrmann lo sottolinea, lo evidenzia in ogni scena, persino nelle più drammatiche, in un carillon di colori, di sfarzi, di luccichii che accecano lo spettatore ma non lo incantano. C’è, nella voce del Colonnello, la continua sentinella del baratro, il prodromo del exitus, l’inevitabile epilogo per rendere tale il mito. E poco importa se nella scintillante carrozzeria di una cadillac rosa si ha l’impressione di essere felici. Quello che si manifesta come realizzazione di un’ambizione è forse, a volte, il riflesso di chi è il fruitore del talento rivoluzionario di un artista iconico: il disperato bisogno di esprimere e dissetarsi dell’amore del pubblico. Tanto da morirne.

 

Valeria Volpini