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Everything Everywhere All at Once

Mercoledì 05 Ottobre 2022 11:08 Pubblicato in Recensioni
Multiverso è il termine che gli scienziati usano per descrivere l’idea che al di là dell’universo osservabile possano esistere infiniti universi coesistenti fuori dal nostro spaziotempo. Il film diretto dal duo di registi “The Daniels” Daniel Kwan e Daniel Scheinert prende spunto da questa possibilità e la esplora in profondità  portandola all’estremizzazione.
 
Protagonista del film è Evelyn Quan Wang, un’americana di origini cinesi proprietaria di una lavanderia a gettoni che gestisce con il marito Waymond. In lotta perenne con le tasse e il fisco e prossima, suo malgrado, al divorzio, incapace di accettare pienamente l'omosessualità della figlia Joy, mentre si trova al cospetto di un'agente dell'agenzia delle entrate americane (interpretata da una strepitosa Jamie Lee Curtis) entra in una dimensione altra e da lì attraverso azioni senza senso e sempre più strane riuscirà ad attraversare molteplici mondi paralleli.  
La  trama del film è caotica e intricatissima e si divide in tre macrocapitoli ("Everything", "Everywhere", "All at Once"). Evelyn oltre a scoprire una serie lunga di altri mondi paralleli impara le arti marziali, a sopravvivere ad assalti, a conoscere le proprie potenzialità nascoste ma anche i punti deboli e le fragilità di chi la circonda.
 
La trama è originale ma anche molto complessa.  Si è costretti, per l’intera durata, a seguire con totale concentrazione tutto quello che avviene, pena la perdita di quel granello di senso che permette di capire dove si voglia andare a parare.
 
In realtà i combattimenti, le mosse di arti marziali, le immagini che si sovrappongono in un vortice sempre più convulso, i flash-black che riportano la protagonista indietro nel tempo quando le scelte di vita potevano essere diverse e avrebbero comportato sviluppi personali di altro tipo sono funzionali per asserire che esistono svariate possibilità che la vita ci pone davanti e che vivere implica sempre scegliere, convivere con i rimpianti, con i rimorsi, con le perdite ma anche che le opportunità che si palesano all’orizzonte sono le migliori possibili per se stessi.
 
Il film in apparenza leggero, eccessivo e inverosimile nasconde invece anche un livello di riflessione profondo che sorprende in positivo.
 
Virna Castiglioni

Anna Frank e il diario segreto

Venerdì 30 Settembre 2022 10:47 Pubblicato in Recensioni

"Chi non conosce la storia è destinata a ripeterla" diceva il politico e filosofo britannico Edmund Burke, già nella seconda metà del '700. Una frase che, incisa in trenta lingue diverse, campeggia su un monumento nel campo di sterminio di Dachau perché faccia da monito.
Ari Folman, regista e sceneggiatore israeliano con un personale passato legato alla Shoah (i nonni furono deportati ad Auschwitz la stessa settimana in cui la famiglia Frank entrò nel campo di Bergen-Belsen) dopo "Valzer con Bashir"  del 2008 sulla guerra in Libano degli anni ottanta si cimenta nuovamente con il genere di animazione e propone la sua personale versione del celeberrimo diario di Anna Frank.
A parlarci è Kitty, l'amica immaginaria destinataria del diario che Anna scrisse mentre si trovava nascosta in una soffitta insieme alla sua famiglia per sfuggire alla deportazione nazista.
Tutto il film è giocato su due piani temporali differenti che si alternano con grande equilibrio: il passato vissuto da Anna che torna in vita  grazie alle pagine del diario lette da Kitty e i nostri giorni che la vedono muoversi nella Amsterdam odierna alla ricerca della sua amica perduta che scoprirà essere morta proprio in un campo di concentramento.
Il film risulta molto delicato nonostante il tema cupo trattato e si conclude con una bella azione che lascia intravedere una speranza legata soprattutto alle nuove generazioni che sono abituate a vivere in un mondo multietnico e che trovano normale confrontarsi con popolazioni dalle provenienze più disparate. Nella pellicola sono presenti molte suggestioni e una su tutte potrebbe essere considerata la vera posizione espressa dal cineasta. Anna ama il cinema e, prigioniera nel sottotetto,  conserva i poster dei suoi attori preferiti che nei suoi sogni diventano gli eroi e le eroine che possono cambiare in meglio il destino delle persone, proprio perché  il cinema è una forma di espressione potente che raggiunge chiunque senza distinzione alcuna e ha la forza di formare le coscienze, di influenzare i comportamenti, di imprimere con forza messaggi positivi. Questo film dai manifesti intenti pedagogici ha tutte le caratteristiche per diventare un valido supporto didattico per le scuole di ogni ordine e grado perché attraverso la magia del cinema di animazione si possa far conoscere questa storia dolorosa e buia anche ai bambini e si imprima  il prima possibile in loro il dovere di impegnarsi perché non possa mai più accadere una tale atrocità.
Non a caso questa pellicola è la prima ad essere sostenuta dall'Anne Frank Fonds di Basilea e in partnership con l'UNESCO, dalla Claims Conference e dalla Fondazione della Memoria della Shoah.

Virna Castiglioni

Omicidio nel West End

Giovedì 29 Settembre 2022 16:00 Pubblicato in Recensioni

Un godibile giallo è il primo lungometraggio diretto dal regista Tom George, che porta sul grande schermo la verve di una commedia tipicamente anni ‘50 ma dai sapori moderni.

Il film si apre in una sala teatrale, dove sul palco sta andando in scena la centesima replica di “Trappola per topi” di Agatha Christie. Lo spettacolo ha un così clamoroso successo che si sta pensando di farne un film diretto da Leo Kopernick   (Adrien Brody) che è anche uno degli illustri invitati alla festa dopo lo spettacolo. Ed è in quell’occasione che, dietro le quinte, viene clamorosamente e misteriosamente ucciso. Toccherà all’ispettore Stoppard (Sam Rockwell) e all’agente Stalker (Saoirse Ronan) indagare sul caso.

Il mistero nel mistero, il gioco cinematografico di virare una ipotesi verso una conclusione e poi renderla inesatta, gestendo le immagini e la trama come un carillon di indizi forniti agli spettatori e ai poliziotti indagatori centellinandoli, rende la pellicola ritmata e incalzante. Il mondo è quello del giallo, del thriller, ma i toni sono da commedia. Leggeri.

Così come i generi si mischiano e si sovrappongono, anche i media si rincorrono: il cinema e il teatro fanno sfoggio di divertenti antinomie, portando sullo schermo continui colpi di scena.

E se il ritmo è incalzante, a volte la narrazione sfugge allo sguardo dello spettatore, che cerca continuamente il filo conduttore delle continue dinamiche che si presentano sullo schermo.

I costumi, i colori, le ambientazioni e anche qualche strumento visivo (come lo split screen) rendono omaggio a un tipo di racconto che ricorda i toni dei film degli anni ‘50, sentendone forse un poco il peso. Questa dicotomia tra comedy moderna e giallo britannico, seppure godibile, è infatti riuscita a metà.

Gli attori portano sullo schermo personaggi credibili e caratterizzati, facilitando lo spettatore a riconoscerne la personalità che non sembra importare alla narrazione ma la rende espediente per veicolare la trama verso i continui indizi che si presentano sullo schermo. Anzi, i personaggi sono quasi bidimensionali, funzionali al caso d’indagine.

Nonostante i difetti di fruizione, il film non annoia e l’epilogo è inaspettato e risponde alle regole del giallo, più della storia lo precede.

 

Valeria Volpini

Smile

Giovedì 29 Settembre 2022 12:58 Pubblicato in Recensioni
Un'entità malvagia che si impossessa di chi ha subito un trauma ma non ha avuto la forza d'animo per rielaborarlo: questa l' originale idea di fondo di Smile, lungometraggio d'esordio di Parker Finn tratto dal cortometraggio dello stesso regista dal titolo “Laura non ha dormito” (2020).
Il titolo di questo horror psicologico rimanda ad un gesto di allegria e benevolenza ma il sorriso è solo un ghigno malefico e quando compare sul volto la persona alla quale è indirizzato è destinata alla morte.
Lodevole l'interpretazione di Sonie Bacon nei panni della protagonista, una giovane donna psichiatra all'apparenza serena e risolta ma invece tormentata e infelice nel profondo. Il suicidio di una sua paziente mentre si trova al suo cospetto innesca una catena maledetta di eventi che riporteranno in superficie il suo personale trauma vissuto durante l'infanzia che ha covato sotto la cenere senza mai spegnersi del tutto (la morte della madre, suicida anch'essa).
Il film presenta uno sviluppo coerente che determina, scena dopo scena, un crescendo progressivo che arriva in finale al suo apice però i continui e ripetuti jumpscares banalizzano e rendono prevedibile il racconto. Molto più interessante sarebbe stato intervallare le effettive sequenze in cui succede quello che ci si aspetta debba accadere con altre dove si crea suspence ma poi di fatto non succede quello si credeva dovesse capitare. Il film cerca di tenere insieme sia il genere puramente horror (ed è la parte meglio riuscita) con quello più psicologico (e qui ancora non ci siamo del tutto). In linea di massima questo film supera la prova perché incute spavento, disturba, inquieta e lascia con il fiato sospeso fino alla fine che non è definitiva ma lascia intendere un possibile sequel. Invece la parte più psicologica che affronta il tema della malattia mentale, il trauma infantile, il senso di colpa, la solitudine e l'emarginazione avrebbero avuto bisogno di un approfondimento che non si è stati in grado di realizzare del tutto. Nel complesso un film che non delude ma con ampi spazi di miglioramento.
 
Virna Castiglioni