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MacroManara in mostra il maestro del fumetto erotico

Lunedì 22 Maggio 2017 12:38 Pubblicato in News
Il Maestro dell’eros Milo Manara è in mostra a Roma  dal 26 maggio al 9 luglio 2017, al MACRO di Testaccio (Piazza Orazio Giustiniani, 4), con «MACROMANARA - Tutto ricominciò con un’estate romana» che ripercorrerà l’intera carriera del fumettista veronese attraverso due percorsi principali:
da una parte una ricca proposta antologica, attraverso la quale si tracceranno tutte le grandi opere degli anni ’70, ’80 e ’90, dalle straordinarie tavole di Giuseppe Bergman a quel Tutto ricomincio con un’estate indiana che lo vide lavorare in coppia con l'amico Hugo Pratt, con il quale - successivamente - realizzò anche El Gaucho. E ancora Lo Scimmiotto, Gulliveriana, le storie del Gioco, di Miele e molto altro!
Dall’altra, la produzione più contemporanea (completa delle commission estere per Stati Uniti e Francia) e il suo rapporto con Roma e il cinema: dalla Cinecittà di Federico Fellini fino ai Borgia e Caravaggio, con una serie di illustrazioni dedicate alle grandi dive cinematografiche che saranno esposte per la prima volta e andranno a comporre un portfolio inedito che Comicon Edizioni presenterà in anteprima all’ARF! Festival.
 
"Dalla morte di Hugo Pratt, il mio migliore amico è Tanino Liberatore, il Michelangelo del fumetto, il fratello eterozigote di Andrea Pazienza, ma davvero frequento pochissime persone. Qualche volta vado in giro per festival, e ci vado soprattutto per rivedere i vecchi amici. Hugo Pratt coltivava la sua libertà interiore a un livello così alto da esserne persino danneggiato. Fu un padre assente, ha lasciato dei vuoti. Ma mi insegnò ad essere LIBERO nel mio lavoro"  
Milo Manara
 
 
MILO MANARA nasce a Luson in provincia di Bolzano il 12 settembre 1945. Debutta alla fine degli anni ’60 come autore di storie erotico-poliziesche sulla collana Genius e subito dopo in Jolanda de Almaviva, serie sexy di grande successo. Negli anni ’70 avvia la collaborazione con il Corriere dei Ragazzi, con una serie di fumetti sceneggiati da Mino Milani, La parola alla Giuria. Nello stesso periodo, sui testi di Alfredo Castelli e Mario Gomboli, realizza Un fascio di bombe. Subito dopo, assieme a Silverio Pisu, Manara da’ vita a Lo scimmiotto e Alessio, il borghese rivoluzionario, che segnano il suo debutto nel fumetto d’autore.
Nel 1978 crea il suo primo personaggio di successo, pubblicato in prima battuta in Francia dalla rivista “A Suivre”: HP e Giuseppe Bergman, dove HP è un chiaro riferimento al suo maestro e mentore Hugo Pratt. Nei primo anni ’80 crea Il Gioco, storia ad alta densità erotica che gli da’ un successo a livello mondiale. Di questo periodo è anche il primo di due lavori su testi di Pratt: Tutto ricominciò con un’estate indiana, seguita anni dopo da El Gaucho. Su sceneggiatura di Castelli, Manaradisegna poi L’Uomo delle nevi per la celebre collana “Un Uomo, un’avventura”. Subito dopo crea Miele, forse il suo personaggio femminile più famoso, protagonista dei volumi Il profumo dell’invisibile e di sei storie brevi intitolate Candid Camera.
Nel 1987 inizia la collaborazione con Federico Fellini, il quale gli chiede le illustrazioni di una sceneggiatura. Da qui Manara, con il consenso del regista, trasforma il testo di Fellini in Viaggio a Tulum, seguito da Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Fanno seguito le trasposizione a fumetti di tre classici della letteratura: Gulliveriana, Kamasutra e L’asino d’oro. Disegna inoltre tre storie di carattere sociale: Ballata in Si bemolle (dedicata al tema dell’usura), Rivoluzione (sull’imbarbarimento generato dalla televisione) e Tre ragazze nella rete (ispirata al mondo di internet). Il decennio si chiude con il ritorno di Giuseppe Bergman con A riveder le stelle.
Nel 2009 la Marvel Comics gli commissiona - in coppia con Chris Claremont - una storia degli X-Men tutta al femminile (Ragazze in fuga) che non è il suo unica excursus nei comics americani, considerando la sua importante collaborazione sul Sandman di Neil Gaiman. Su sceneggiatura di Vincenzo Cerami pubblica Gli occhi di Pandora. Dall’inizio degli anni Duemila, Manara lavora al progetto Il pittore e la modella, un viaggio nella storia dell’arte pittorica. Su testi di Alejandro Jodorowsky disegna poi un fumetto sulla casata de i Borgia. Nel 2008 sigla un accedo con il Napoli Comicon per la cura e la gestione di tutte le sue mostre in Italia e all’estero e pubblica per Panini il primo volume di Caravaggio.
Nel 2015 è nominato, per l’insieme della sua Opera, Magister di Napoli COMICON, dove presenta il primo di due volumi della storia del Caravaggio, per Panini Comics. Nel giugno 2016 realizza 25 acquerelli con protagonista Brigitte Bardot, primo autore a ritrarre l’attrice francese negli ultimi 20 anni, e attualmente è al lavoro sui bozzetti per una statua dell’iconica attrice francese, che sarà installata a Saint Tropez a settembre 2017.
 
 
La Mostra è aperta dal martedì alla domenica dalle 12.30 alle 19.30
Chiuso il lunedì.
 
Durante i giorni di Arf! Festival
(venerdì 26, giovedì 27 e venerdì 28 maggio)
la mostra sarà aperta al pubblico dalle 10.00 alle 20
 
 
 

I Peggiori

Mercoledì 17 Maggio 2017 08:41 Pubblicato in Recensioni
Due fratelli squattrinati e senza prospettive (Vincenzo Alfieri e Lino Guanciale), si trovano nella situazione di dover provvedere alla sorellina tredicenne (Sara Tancredi). Quando in piena crisi economica i soldi per far fronte a tutte le necessità vengono meno, mettono su un'attività poco ortodossa ma molto fantasiosa: vestiti i panni di due improbabili “eroi a pagamento”, sputtaneranno in rete i classici furbetti del quartierino, diventando gli idoli di tutti gli oppressi. 
 
I Peggiori, opera prima dell'appena più che trentenne Vincenzo Alfieri, nasce nella mente del regista quando era ancora uno studente liceale.
Questo lavoro, seppur non del tutto innovativo per il cinema italiano, risulta abbastanza singolare. La storia accattivante, strizza l'occhio a tutti quei simboli con cui la generazione degli anni '80 è cresciuta, contaminandosi con gli usi più comuni e attuali della tecnologia (social, microcamere, sovraesposizione video..), divenendo un bel mix di commedia, prodotto cucito su un tessuto sociale urbano di lunga e variegata tradizione narrativa con tipiche chiavi comiche e location ben codificate, e il nuovissimo (per l'Italia) cinecomic. 
Una scorrevole sceneggiatura, collaborazione a più mani di Alfieri, Alessandro Aronadio, Renato Sannio, Giorgio Caruso e Raffaele Verzillo, arricchita con dialoghi mordenti, nemmeno troppo prevedibili e gag spesso esilaranti, gioca col pubblico annullando la distanza imposta dallo schermo. 
Gran punto a favore è la scelta del cast, con attori azzeccati, convincenti e trascinanti anche nei ruoli marginali. Tra le partecipazioni spiccano quelle di Biagio Izzo e Francesco Paolantoni, in una chiave atipica rispetto a quella in cui siamo abituati a vederli, più cinici e noir. Ma l'accento è posto su Guanciale che è mattatore in scena, tutto sembra gravitare attorno a lui caricandolo forse anche un po' troppo di aspettative per consentirgli di vivere il ruolo con una maggiore spensieratezza. Lo stesso Alfieri si relega in un gradino inferiore, divenendo spalla dello scapestrato fratello. 
La storia dei supereroi scalcinati, generati da un contesto in cui diventeranno scintille deflagranti, circoscritti in una metropoli che fagocita chi ci vive, è già stata battuta.
Indubbi sono gli echi di prodotti quali Lo Chiamavano Jeeg Robot e Kick-Ass, ma il tutto viene ripreso in una forma differente, più leggera, spiritosa e autoironica, capace di conferire un carattere ben definito che non fa continuamente scattare il confronto. 
I Peggiori ha il merito di ribattere forte sulla sua natura di progetto contenuto, dove sì personaggi e storie erano già comparsi in forme analoghe, ma nel quale i luoghi e la narrazione conservano un'anima propria.
Diviene così parte di quei film profondamente italiani, con lo sguardo rivolto oltre oceano, ma immersi nelle nostre periferie dalle quali attingono a piene mani l'essenza. Il Centro Direzionale di Napoli può sembrare una Gotham City qualsiasi con dei palazzoni di specchi che si stagliano sopra cantieri a cielo aperto in una distesa di ferro e cemento; questo Alfieri l'ha ben capito, allontanando finalmente l'immaginario dal classico cliché a cui eravamo ormai assuefatti, quello delle Vele di Scampia e della Gomorra da Saviano in poi, restituendo un'identità alla città e regalandoci ugualmente delle belle sorprese.
 
Chiara Nucera 
 
 

Moglie e Marito

Mercoledì 12 Aprile 2017 13:26 Pubblicato in Recensioni
Con empatia si intende comunemente quella capacità di immedesimazione e compenetrazione nei confronti dei sentimenti altrui. Di derivazione greca, il termine empatia significa alla lettera “sentire dentro”, ed era utilizzato in antichità per descrivere il rapporto di stretta partecipazione emotiva che congiungeva pubblico e cantore. Attraverso tale atteggiamento si è come riflessi in uno specchio, condividendo lo stato d'animo di chi è di fronte, quasi fosse la propria rappresentazione. Una capacità che appartiene a pochi eletti, e che costituisce una vera ricchezza d'animo. In assenza di empatia ci si allontana da chi ci circonda, finendo per ignorare alcuni tra i più importanti aspetti delle nostre relazioni, quali la tolleranza e la complicità. E’ cio che accade a Sofia e Andrea, moglie e marito da ben dieci anni, ma oramai lontani anni luce da quel rapporto saldo e vivace dei primi tempi. In una continua altalena di incomprensioni e polemiche, i due pensano al divorzio. Tuttavia, a seguito di un esperimento scientifico di Andrea, i coniugi si ritroveranno a fare i conti con una situazione alquanto fuori dal comune: Andrea è nel corpo di Sofia, e Sofia in quello di Andrea. Fino a quando Andrea non riuscirà a trovare una soluzione per risolvere questo inconveniente l’uno dovrà adattarsi alla vita e ai ritmi dell’altro. Due realtà diametralmente opposte si invertiranno dando origine a innumerevoli disastri e situazioni esilaranti. Moglie e Marito è apparentemente una semplice commedia imperniata sull’equivoco. Tuttavia, quello diretto da Simone Godano è molto più che un piacevole film su uno scambio di identità. L’immersione  l’uno nella vita dell’altra, è un’esperienza che cambierà per sempre il rapporto di Sofia e Andrea, dapprima fievole e quasi cristallizzato. Costretti in un corpo e in una vita che non appartiene loro, giungeranno a comprendere più da vicino cosa popola l’esistenza del partner, e cosa significhi davvero cambiare il proprio punto di vista.  L’incompresione nella coppia deriva pertanto dall’assurda pretesa che l’altro sia conforme alla nostra immagine, che rispecchi molti aspetti che appartengono alla nostra indole. Un’ambizione inattuabile che porta quasi sempre a litigi e conseguenti contrasti nel rapporto, al pericolo di non capirsi più come prima, finendo per sentirsi sconosciuti. Moglie e Marito è una riflessione su come la negligenza e l’individualismo possano trasformare le nostre relazioni, e allo stesso tempo una commedia romantica che utilizza l’ elemento “supernatural” allo scopo di approfondire due inversi punti di vista. La coppia Favino Smutniak funziona perfettamente, divertendo con estrema disinvoltura e smisurata naturalezza. Nelle sale dal 12 aprile, Moglie e Marito è un film che delizia senza mai sovraccaricare, in cui l’incompatibilità diviene  terreno di confronto.
 
Giada Farrace 

Alien Covenant

Giovedì 11 Maggio 2017 13:05 Pubblicato in Recensioni

Trentotto anni fa, lo stesso regista Ridley Scott, esplorava le remote regioni dello spazio attraverso le disavventure della nave Nostromo. Prima ancora di introdurre l’umanità dentro le pagine scritte da Philip K. Dick con Bladerunner (1982), portò a compimento Alien (1978), introducendo nell’immaginario collettivo una nuova concezione di fantascienza, costruendo androidi capaci di empatia e creature eleganti, feroci e letali. Disegnato dall’artista surreale svizzero H.R. Giger a cui dobbiamo le note sembianze disturbanti, organiche e allo stesso tempo impregnate di erotismo della creatura e sceneggiato dal geniale Dan O’Bannon, che dichiarò di aver “rubato” l’idea per il soggetto “non in particolare a qualcuno ma un po’ a tutti” (e di quei ‘tutti’ ricordiamo ‘Il pianeta proibito’ e ‘Terrore nello spazio’), Alien ha avuto una discendenza di tre riconosciuti seguiti e due prequel, Prometheus (2012) e la continuazione Alien Covenant (2017). La missione di colonizzazione della Covenant, che con sé trasporta il futuro dell’umanità, viene bruscamente fermata da una anomalia. L’equipaggio, costretto ad interrompere il riposo accelerato indotto dal crio-sonno, perde il suo capitano. Daniels (Katherine Waterston), moglie del compianto capitano ed  esperta di terraformazione, assieme al resto della crew è costretta ad accettare come nuovo comandante Cristopher Oram (Billy Curdup) avventato, ingenuo e pieno di sé. Davanti alla prospettiva di trascorrere anni per riprendere una rotta sicura, scelgono di accorciare il viaggio e atterrare su di un pianeta abitabile, un paradiso apparentemente incontaminato, mossa che si rivelerà azzardata. Al centro della vicenda l’androide interpretato da Michael Fassbender, affettato, efficiente, l’occhio filosofico all’interno dell’impianto  scenico. Diverso dall’infido Ash del primo film, meno umano di Bishop eroe del secondo Aliens: Scontro Finale, ci mostra due facce diverse. Il film gode di una inconfondibile fotografia, l’estetica di Alien non può essere standardizzata o confusa con quella di nessuna altra saga. L’orrore già provato, la pelle d’oca già sentita, l’inevitabile sensazione di tensione che con una dinamica familiare ci riporta indietro di anni, genera una confusa sensazione di dèjà vu, mescolanza di nostalgia ed effetto remake. Manca un personaggio chiave con la forza trascinante che Sigourney Weaver, metteva nel ruolo di Ripley, non si riesce a provare una vera empatia per nessuno dei protagonisti umani, se non una simpatia per Daniels che ricorda per look e caparbietà la nostra ‘Astro’Samantha Cristoforetti. La creature stesse, soffrono della mancanza di perfezione creata dai pupazzi di Rambaldi, resa troppo veloce dalla CGi: nei movimenti meno ‘aracnide’ e più ‘dinosauro’. Nonostante questi difetti, il film riesce, attraverso geniali citazioni e mantenendo il mistero sulle figure degli Ingegneri, nella sua missione:  dare una efficace spiegazione riguardo le origini di questo essere “non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”. 

Francesca Tulli