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Wonder Woman

Giovedì 01 Giugno 2017 14:49 Pubblicato in Recensioni
Nella segreta e remota Isola di Themyscira, la principessa delle amazzoni Diana cresce addestrata a divenire una temibile guerriera, in un ambiente paradisiaco costellato da armonia e pace. Tutto a Themyscira scorre seguendo un preciso ritmo quotidiano fino a quando l’aereo del pilota americano Steve Trevor precipita a largo delle sponde dell’isola, attirando l’attenzione della giovane Diana. La principessa accorre subito in aiuto del ragazzo, salvandolo dall’annegamento. Steve racconterà presso le amazzoni di un conflitto scoppiato nel mondo esterno, una guerra brutale e inarrestabile capace di mietere vittime senza sosta, distruggendo città e villaggi. Diana convinta di poter porre fine a tal ferocia decide di abbandonare l’isola guidata da Steve.  Soltanto combattendo coraggiosamente Diana scoprirà appieno i suoi straordinari poteri, arrivando a scontrarsi con una forza oscura, la più pericolosa di tutte.  Basato sui personaggi della DC, Wonder Woman è un film diretto dalla carismatica Patty Jenkis (Monster, The killing), primo lavoro per il grande schermo sulla Superoina ideata da William Moulton Marston. Accanto alla Jenkins un team di tutto rispetto all’interno del quale spiccano nomi come Matthew Jensen Direttore della fotografia (Chronicle, Il trono di spade), la scenografa Aline Bonetto (Il favoloso mondo di Amelie) e il premio Oscar Martin Walsh (Chicago, Jack Ryan). Lunga attesa e aspettative piuttosto alte nei confronti di un film che aveva tutte le carte in regola per risultare epico e coinvolgente, e che aveva come cardine lo splendore e il magnetismo di una Gal Gadot più in forma che mai. Purtroppo come sovente accade nel cinema più recente, la prova non è stata superata. La promessa di un’avventura appetitosa per gli appassionati e non, è stata sfortunatamente disattesa.  Il film diretto da Patty Jenkins riesce a coinvolgere solamente nella prima parte, dove lo spettatore si trova immerso nel prodigioso mondo delle amazzoni. 
Dopo questa iniziale ed interessante parentesi, l’intensità e la qualità della storia iniziano a cedere il passo ad una costante mancanza di materia, o per essere più precisi, penuria di accadimenti esaltanti.  Le abbondanti (ed eccessive) due ore di film si snodano attorno a dialoghi tiepidi, personaggi con cui si empatizza troppo poco, e scontri costellati da una lunghezza temporale eccedente, che finisce coll’indebolire la già oscillante concentrazione. La Wonder Woman interpretata da Gal Gadot è incantevole, giusta e determinata, ma anch’essa non convince appieno per l’eccessiva mitezza, le manca quella dose di aggressività che bene si accompagna ad un personaggio tenace e fiero come Diana. 
Quello nelle sale dall’ 1 giugno è un film che tradirà in buona parte dei casi le aspettative degli appassionati, incapace nell’adempiere all’agognato compito di intrattenere. 
 
Giada Farrace

The Square

Lunedì 29 Maggio 2017 14:12 Pubblicato in Recensioni
The Square, in concorso al Festival di Cannes 2017, si svolge perlopiù, all’interno del Palazzo Reale di Stoccolma. Edificio ora adibito a museo di arte contemporanea, dopo la scelta della Svezia di abrogare la monarchia. Curatore della galleria è Christian (Claes Bang), padre separato con due figli al seguito. Una nuova installazione è pronta per stupire il pubblico, il suo nome è The Square. Un quadrato luminoso, all’interno del quale, vige l’altruismo e il rispetto del prossimo. Il distinto amministratore delega le pubbliche relazioni ad una stimata compagnia del settore. La pubblicità deve stupire ed attirare un pubblico di tutte le età. Qualcosa però va storto, innescando delle situazioni imbarazzanti e sregolate. Christian, messo pesantemente in discussione, vive una crisi personale colma di dubbi, che fanno vacillare il suo regolare universo.
All’interno del suo quadrato, il regista e sceneggiatore Ruben Ostlund (Forza Maggiore, 2014), ci mette davvero tutto. Supportato dalla sua distinta originalità, ci regala un sorta di cinema 2.0. La sceneggiatura è contraddistinta da innumerevoli mini sequenze con al loro interno altrettanti macro argomenti. Dispersivo? Forse un filo, ma questa sua eccessiva voglia di mettere è sinonimo di un cinema autoriale che non segue una linearità o una figura che si chiude (che contrasta volutamente con la figura geometrica del titolo), ma che vuole puntare il dito sulle incontrollabili e illogiche vite moderne. Prive di una logica densità. Ne conseguono potenti riflessioni, che rendono il film smisuratamente interessante. 
La Palma d’oro 2017 si fa beffe delle ipocrisie della borghesia, deride l’arte contemporanea, alzando, con tanto di fiero sventolio, la bandiera del politicamente scorretto fino alla cima del pennone (e forse ne avevamo veramente bisogno).
Ostlund dimostra maestria con la macchina da presa, la sua è una regia sferzante, fatta di primi piani con voci fuori piano, che costringono lo spettatore a fare focus sul volto del personaggio in questione. Uno sguardo incessante, diretto a mettere a nudo l’individuo. Privarlo della sua intimità.
Evidenti e poderosi sono anche i cambi di registro: si passa dall’esilarante al severo più cupo, come un termometro che da 30 gradi cade repentinamente a meno 20. The Square è un film che estremamente diverte e scuote, e questa forte oscillazione avviene nel tempo di pochi frames. 
Per non parlare di diverse scene che lasciano il segno, tramortiscono le menti con la loro forza devastante. 
Sarebbe un sacrilegio anche solo accennarle, lasciamo a voi il piacere di scoprirle una ad una.
 
Il regista svedese spedisce all’interno del suo cavallo di Troia un Claes Bang in grandissima forma, vero mattatore di tutta questa giostra impazzita. La sua è una recitazione sentita, formale e scombinata all’occorrenza. Argilla che si plasma perfettamente nelle mani/esigenze dell’autore. Christian è sommerso da un’ondata di incertezze. Gli errori sono all’ordine del giorno. E più cade e più non trova la strada del ritorno. Questa débacle è portata sullo schermo con ironia, via preferenziale usata dall’autore per lasciare il segno, senza appesantire.
 
Ora non resta che attendere l’uscita nelle sale italiane di quest’opera caustica e filo esistenzialista, uscita dal Festival più prestigioso al mondo con il premio più ambito. Vince lo scherno made in Svezia, che meritatamente ci connette con noi stessi.
 
David Siena

Fortunata

Mercoledì 24 Maggio 2017 13:42 Pubblicato in Recensioni
La vita di Fortunata (Jasmine Trinca), parrucchiera che sbarca il lunario di porta in porta, è una vita di sacrifici e dolori. Condivide queste pene con la figlia Barbara (Nicole Centanni) di 8 anni, dopo la separazione dal marito violento e despota. Siamo nella periferia di Roma, luogo nel quale Fortunata vuole, con tenacia, realizzare il suo sogno: aprire un negozio di acconciature. Conforto e man forte li trova in Chicano (Alessandro Borghi), anch’egli uomo problematico dalla personalità bipolare. Entrambe sognano una vita felice o almeno dignitosa, in grado di garantirgli un’esistenza che si possa definire normale. Fortunata conosce Patrizio (Stefano Accorsi), psicoterapeuta infantile, che ha in cura la figlia. Sulla sua strada impervia verso la realizzazione non si aspetta di ritrovare un amore vero, ma questo arriva come un ciclone. Amore che fa vacillare tutte le sue certezze. Forse in Patrizio ha trovato chi la può capire veramente e aiutarla a portare in salvo la sua esistenza. In queste travagliate vicende compare anche un personaggio alquanto bizzarro e folkloristico: Lotte (Hanna Schygulla), la madre di Chicano, che porta una sorta di poesia/pazzia all’interno della storia. 
 
Fortunata, presentato al Festival di Cannes edizione 70 nella sezione Un Certain Regard, è un film convenzionale; come lo sono i suoi protagonisti, ben identificati dai loro costumi, che non dismettono mai. E fin a qui nessun problema, anzi, parte con i più buoni auspici il film di Sergio Castellitto, sceneggiato dalla moglie Margaret Mazzantini. Le magagne, purtroppo, diventano ingombranti con l’andar del tempo e più ci si avvicina alla risoluzione, più queste legittimano la propria presenza. Lo spettatore si prende carico di troppi perché, non trovando risposte e conseguentemente l’appeal si perde e cade, giù da una scalinata con un alto grado di pendenza, portando con sei i personaggi, dai quali ci si disaffeziona. Colpevole di tutto questo è lo script, disseminato di svolte discutibili, che interrompono bruscamente gli equilibri creatisi. I buoni propositi iniziali si perdono in una sceneggiatura che cerca la tragedia per forza senza mai trovarla per davvero. La seconda parte della pellicola si spezza e non si ricompone mai. Situazioni non chiare e neppure intuibili si contrappongono ad altre eccessivamente spiegate. Il vero problema di Fortunata non è il moralismo o la direzione ricattatoria che prende, ma è la mancanza di compattezza.  
 
La regia si limita a fare il compitino e questo non basta per coprire le disattenzioni della scrittura. Per raccontare una storia ai margini bisogna analizzare e riflettere sulla violenza subita. Qui sembra tutto un po’ troppo sbrigativo. La scelta drammaturgica, di mischiare eccessivamente le carte, lascia indietro quest’aspetto. Si predilige una strada che cerca l’autorialità, anche con qualche simbolismo di troppo, ma questa non si trova. Il baricentro del film esce fuori bolla e l’avvenuta consapevolezza finale di Fortunata ne risente, arrivando un po’ pasticciata.  
 
Dì contral’altare, la messa in scena è costruita con accuratezza e rispecchia i protagonisti, anzi, sembra un personaggio vivente, sempre al fianco di Fortunata e delle sue amarezze.  Anche l’aspetto recitativo è ben supportato: Jasmine Trinca (miglior attrice Un Certain Regard, torna a Cannes 16 anni dopo La stanza del figlio di Nanni Moretti) intrepreta con passione e sentimento una donna coriacea e caparbia, che sopravvive con viva resistenza ai temporali, che giornalmente gli si abbattono contro.  Menzione speciale anche per Alessandro Borghi: porta sullo schermo, con veridicità, un Chicano con le naturali caratteristiche del depresso e del birbone. 
 
David Siena
 
 
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Sembra che il cinema italiano abbia bisogno di violenza ed esasperazione per regalarci qualcosa di intimamente emozionante che ci faccia uscire dalla sala soddisfatti, temporaneamente lacerati da una cesura delle nostre esistenze immobili seppur nel loro moto nevrotico. 
Sembra, inoltre, che un film drammatico debba necessariamente contenere una vibrante scena di sesso fra un uomo e una donna non consenziente (si chiama stupro, anche se lei non ha gridato troppo forte) per caricarsi di un senso tragico che getti luce su un’umanità proletaria e dolente in una società disumanizzata. 
Sembra, infine, che il film anziché “parlato” debba essere urlato, sparato sopra le righe, come i sentimenti buttati in piazza nei talk show televisivi, perché i pieni continuano a contare sempre di più dei vuoti.
 “Fortunata”, ultima fatica della coppia Mazzantini-Castellitto, rientra purtroppo in questo quadro nefasto, e rischia di ritagliarsi anche un posto di rilievo nel cinema italiano contemporaneo dopo il successo di Jasmin Trinca (peraltro impeccabile nel ruolo), migliore attrice della sezione “Un Certain Regard” di Cannes 2017. 
Per Castellitto “Fortunata è una Madame Bovary delle borgate romane”. Per chi scrive tale comparazione appare quanto mai superba per descrivere, invece, una disumana galleria di casi umani al limiti del verosimile dilaniati da traumi infantili, malattie psicologiche, segreti nascosti, violenze quotidiane, povertà e misera . Osservati – ed è questo l’elemento più scorretto e fastidioso – da un occhio (e un portafoglio) alto-borghese che, saldamente attaccato alla sua zona di confort – si prende la bega di scendere nelle periferie romane per cercare di capire, pur non capendo, come si muovono queste vite strane, cosa pensano, cosa si dicono, di cosa sono fatte le loro giornate. Per poi mettere in atto un’altra operazione spiacevole, ovvero appioppare sulle spalle di questa povera gente una montagna di casini personali e pubblici, conditi da colpi di scena tranchant e da quel pizzico di marciume umano, troppo umano. 
Ma veniamo ai dettagli. Fortunata (insulso dibattito intorno al nome ripreso in più parti del film) è una donna sui 30, rimasta orfana da bambina, che campa come può con un lavoro di parrucchiera a domicilio a nero. Ha una figlia di 8 anni e un ex marito (Edoardo Pesce) dal quale non è ancora formalmente divorziata. Vive ancora nella casa di lui, il quale si permette infatti di andare e venire quando e come vuole, di aggredirla verbalmente e sessualmente, mentre lei sopporta in assenza di alternative. Suo amico e compagno di avventure e sventure è Chicano (Alessandro Borghi), ragazzo tossicodipendente, affetto da disturbo bipolare, disoccupato e con un madre ormai devastata dal morbo di Alzheimer. Questo quadro parla da sé a chi ha un’idea di cosa significhi costruire dei personaggi armonici e bilanciati seppur nelle loro idiosincrasie e problematiche. Ma vale la pena addentrarsi brevemente nel cuore della storia per aggiungere altri tasselli ad un mondo di umiliati e offesi che non hanno tuttavia nulla del capolavoro russo. Proprio mentre Fortunata accarezza l’idea di chiedere i soldi in prestito ai nuovi strozzini – i cinesi –  per realizzare il sogno di un negozio di parrucchiera tutto suo (da gestire insieme a Chicano), arrivano i servizi sociali che la ingiungono a ricorrere ad un consulto psichiatrico per sua figlia. Avviene così l’incontro con Patrizio (Stefano Accorsi), psicoterapeuta dolce e a modo, che sarà il detonatore di una tragica serie di eventi a catena con rivelazione finale. 
Ci sono due mondi in “Fortunata”: quello di Patrizio, dei buoni, delle istituzioni e della lingua italiana standard da una parte e quello di Fortunata-Franco-Chicano, della borgata sporca e del romanesco, dall’altra. Due mondi rigorosamente separati nonostante i tentativi di accesso del primo sui secondi attraverso la “variabile dell’amore” che tutto può e tutto deve. Ma è proprio questo incontro impossibile, che vorrebbe essere la miccia di iniziazione di una “educazione sentimentale di periferia” (come la chiama Castellitto), ad essere prevedibile e artificioso, vanificando i successivi incastri della sceneggiatura. 
Al di là dei personaggi-marionette, fastidiosi per quanto ridicoli (che stanno in piedi grazie alle buonissime performances di Jasmin Trinca, Alessandro Borghi ed Edoardo Pesce); al di là di una colonna sonora che sceglie il pop più abusato di “Friday I’m in Love”, “Have you Ever Seen the Rain” e dulcis in fundo “Vivere” di Vasco Rossi. Al di là della prosaica metafora di Antigone, ripetuta fino allo sfinimento, e dello sbagliatissimo cliché della donna-fonte di guai di cui si nutre una vasta cultura maschilista…Al di là di tutto questo, è la mancanza del “sentimento” verso i personaggi (“L’impegno è in primo luogo un sentimento, il sentire nel profondo la sofferenza di chi non ha voce” scriveva Dario Fo), di un autentico pathos non ridotto al patetismo, a pesare di più durante la visione del film. Troppa presunzione e troppo poco rispetto, insomma. 
Non mancano le scene ben realizzate (come la soggettiva sulla figura possente e sfumata di Fortunata che entra in acqua), alcuni efficaci momenti di messa in scena drammaturgica (come nella scena in cui Fortunata rivela il suo segreto inconfessabile nello spazio senza uscite delle carceri), le riprese “ad altezza umana” che inseguono da vicinissimo pianti e sorrisi, una buona fotografia delle Roma di borgata, asfissiante di giorno e colpevole di notte. Eppure è un po’ poco per un regista e una sceneggiatrice al loro quarto film insieme, che sono letteralmente adorati da una certa critica e da un certo pubblico. Davvero troppo poco.
 
Elisa Fiorucci

Globi d'Oro 2017. Annunciate le candidature

Martedì 30 Maggio 2017 14:02 Pubblicato in News
L’Associazione della Stampa Estera è lieta di annunciare le cinquine dei Globi d’Oro 2017, i premi della Stampa Estera ai film italiani arrivati alla 57a edizione.
I vincitori saranno svelati durante la cerimonia di premiazione a inviti che si terrà mercoledì 14 giugno a Villa Medici.
L’ Associazione della Stampa Estera annuncia inoltre il Globo d‘Oro alla Carriera al regista Dario Argento e il Gran Premio della Stampa Estera a Restaurare il cielo di Tommaso Santi. Entrambi i premi saranno consegnati durante la cerimonia del 14 giugno.
 
 
GLOBO D’ORO ALLA CARRIERA a DARIO ARGENTO 
 
L’Associazione della Stampa Estera in Italia conferisce quest’anno il suo Premio alla Carriera a Dario Argento, maestro indiscusso della suspense e del brivido. Dario Argento definisce se stesso «il più grande assassino del cinema italiano» per i suoi 90 omicidi eccellenti in quasi cinquant’anni di carriera. Con un tocco d'ironia e con raffinata maestria ha saputo tenere gli spettatori col fiato sospeso fino all’ultimo.
Molto amato all’estero, firma le sue opere mettendo in scena le sue mani, come faceva Hitchcock con il suo profilo. A lui chiediamo di non smettere mai di terrorizzarci.
 
GRAN PREMIO DELLA STAMPA ESTERA a RESTAURARE IL CIELO di Tommaso Santi
 
Talvolta le favole escono dai film, si fanno spazio nella realtà e mostrano che c’è “un mondo possibile”. Un mondo dove intesa, accordo e collaborazione fanno sì che eccellenza artigiana e tradizione italiana arrivino a restaurare un pezzo della storia comune dell’umanità. 
Fatti che, di per se, sono già un piccolo miracolo. 
 
 
CANDIDATURE DELLA 57a EDIZIONE DEI GLOBI D’ORO
 
 
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
 
Blue Screen di Riccardo Bolo e Alessandro Arfuso
Buffet di Alessandro D’Ambrosi, Santa De Santis
Confino di Nico Bonomolo
Penalty di Aldo Iuliano
Uno scatto d’autore di Consuelo Pascali
 
MIGLIOR DOCUMENTARIO*
 
60 - Ieri Oggi Domani di Giorgio Treves
Cacciatore di paesaggi di Fabio Toncelli
Cinque mo(N)di di Giancarlo Soldi
Il pugile del Duce di Tony Saccucci
Italian Offshore di Marcello Brecciaroli, Manuele Bonaccorsi, Salvatore Altiero
Liberami di Federica Di Giacomo
L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria
Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri
Uberto degli Specchi di Marco Mensa, Elisa Mereghetti
Via della Conciliazione di Raffaele Brunetti, Piergiorgio Curzi
 
MIGLIOR OPERA PRIMA
 
Chi salverà le rose di Cesare Furesi
La pelle dell’orso di Marco Segato
La ragazza del mondo di Marco Danieli
Le ultime cose di Irene Dionisio
Our War di Benedetta Argentieri, Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia
 
MIGLIORE COMMEDIA
 
Beata ignoranza di Massimiliano Bruno
Che vuoi che sia di Edoardo Leo
In guerra per amore di Pierfrancesco Diliberto
Lasciati andare di Francesco Amato
Questione di Karma di Edoardo Falcone
 
MIGLIORE SCENEGGIATURA
 
Fai bei sogni  - Marco Bellocchio, Edoardo Albinati, Valia Santella
La pazza gioia - Paolo Virzì, Francesca Archibugi
La ragazza del mondo - Marco Danieli, Antonio Manca
La tenerezza - Gianni Amelio, Alberto Taraglio
Veloce come il vento - Matteo Rovere, Francesca Manieri, Filippo Gravino
 
MIGLIORE ATTRICE
 
Valeria Ciangottini per Cronaca di una passione
Angela e Marianna Fontana per Indivisibili
Isabella Ragonese per Il padre d’Italia
Micaela Ramazzotti per La tenerezza
Sara Serraiocco per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE ATTORE
 
Stefano Accorsi per Veloce come il vento
Renato Carpentieri per La tenerezza
Carlo Delle Piane per Chi salverà le rose
Luca Marinelli per Il padre d’Italia
Michele Riondino per La ragazza del mondo
 
MIGLIORE MUSICA
 
Enzo Avitabile per Indivisibili
Nino D’Angelo per Falchi
Stefano Di Battista per Sole Cuore Amore
Andrea Farri per Lasciati andare
Marcello Peghin per Chi salverà le rose
 
MIGLIOR FOTOGRAFIA
 
Maurizio Calvesi per Questione di Karma
Vincenzo Carpineta per La stoffa dei sogni
Daniele Ciprì per In guerra per amore
Daria D’Antonio per La pelle dell’orso
Michele D’Attanasio per Veloce come il vento
 
MIGLIOR FILM
 
Fai bei sogni di Marco Bellocchio
Indivisibili di Edoardo De Angelis
La pazza gioia di Paolo Virzì
La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu
La tenerezza di Gianni Amelio
 
 
 
* Per la prima volta nella storia dei Globi d’Oro, l’Associazione della Stampa Estera ha preferito creare una decina, invece di una cinquina, per la sezione documentari tenendo conto della grande crescita e 
qualità delle produzioni di questo genere in Italia durante l’anno 2016/2017.