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Mad Max: Fury Road

Lunedì 25 Maggio 2015 23:17 Pubblicato in Recensioni
Il regista australiano George Miller, dopo la sua premiata carriera di film teneri per famiglie, celebra i trent’anni dall’uscita dell’ultimo capitolo della trilogia del “Guerriero della strada” con un nuovo adrenalinico film su Max. Il mondo ucciso dal crudele  Immortal Joe  (Hug Keays-Bryne)  si regge sul bisogno del popolo di avere acqua e latte di madre. Il tiranno vive circondato dai suoi figli deformi,  dal  suo esercito di Figli di guerra e con le sue splendide e giovani mogli nella cittadella . La più impavida, la regina Furiosa (una irriconoscibile Charlize Theron) tenta la fuga. Furiosa si mette in marcia con un manipolo di soldati inconsapevoli della sua decisione, portando con sé altre cinque spaventate fanciulle, con il pretesto di portare il petrolio a destinazione, tenta un disperato viaggio alla ricerca del “Luogo verde “, paradiso dove ha visto la luce prima che la rapissero e la portassero in quell’inferno  di carne e sabbia. Max (Tom Hardy)  ha memoria di quando veniva considerato un uomo, ricorda gli occhi di sua figlia chiedergli aiuto e il senso di colpa lo segue nella sua nuova misera condizione. Appeso in una gabbia con una maschera di ferro sulla bocca, è vivo per miracolo. Il suo sangue lo ha salvato, il suo gruppo zero serve ad alimentare le vene dei soldati, è prezioso, come “sacca di sangue”. Il più motivato dei soldati, il giovane Nux (Nicholas Hoult) che cerca la gloria eterna nel Valhalla e il riconoscimento del suo sovrano lega Max allo sperone del suo veicolo mortale e lo spinge nella lotta verso la cattura della ribelle. La disperata fuga della regina diventa presto un inseguimento epico e interminabile nella migliore tradizione di Miller. Per due ore siamo nel deserto a respirare la polvere, a soffrire il caldo vediamo solo disperazione e speranza, motori di fuoco, blindati decorati con le ossa, cingolati con le spine d’acciaio, moto  truccate e sgangherate deviazioni verso il nulla. Se nel primo capitolo della saga Interceptor, che contribuì a forgiare Mel Gibson e consacrarlo alla storia del cinema di genere, Max era un poliziotto giusto  in un mondo di ingiusti, che perdeva il senno per fare giustizia, Tom Hardy lascia questo compito alla sua controparte femminile : è un Max provato, stanco e in cerca di risposte, il suo ruolo è cruciale ma nessuno può rivaleggiare con la  forza d’animo di Furiosa. Privata di un braccio, truccata di cenere, forte come una leonessa che difende la prole e aiutata dalla sua forza d’armi tutta al femminile (ricordate la vecchia signora coraggiosa nel primo film che sparava in grembiule con il fucile?) presenta al cinema una nuova idea di eroina (in questo anche Megan Gale,  la Valchiria ha un certo peso). Fury Road, riprende le atmosfere fantasy dell’85, degli ultimi due film del “pazzo”, con più di 400 ore di girato, bisogna guardarlo consapevoli che tutto quello che si vede è quasi reale. Famosa è diventata la scena del bardo cieco che suona con la chitarra elettrica aggrappato come una marionetta a dei fili e sparato in velocità sul cofano del camion da otto cilindri che si muove a rotazioni di 360°. Tolto qualche filo di sicurezza, gli attori sono stuntman di loro stessi, truccati a pennello (letteralmente) e vestiti di stracci e pelle nera,  da sopravvissuti dell’apocalisse si buttano tra le fiamme e vengono ripresi con quella che il regista ha definito una “paparazzi camera” con zoom da 11.1. Tutto quello che Miller può far vedere lo fa vedere. E’ spietato senza distaccarsi dalla bellezza delle immagini e dalla poesia della musica cattiva di Tom Holkenborg, tra i brani il Dies Irae, il coro della morte. Nessuna sceneggiatura, solo disegni e storyboard per entrare nella storia con più dettagli visivi, le battute del film sono d’impatto e restano nella mente dalla prima schermata raggiungendo l’apice sul finale. Nel 1997 si era pensato ad un fumetto, con le idee cardine di quello che poi sarebbe diventato questo film,  ma non ha mai visto la luce. Miller realizza il suo sogno e mantiene la sua purezza di regista anni Ottanta, un film di ieri con i mezzi di oggi. La parola “capolavoro” è troppo abusata per poterla utilizzare liberamente ma la sensazione che si ha, da amanti del genere,  quando si lascia la sala è quella di non aver visto niente di simile nell’ultimo trentennio. ”Una splendida giornata” per il mondo del futuro.
 
Francesca Tulli
 
 
Quella che si respira è un'aria tesa, preoccupata per le sorti di quello che sarà il Nuovo Cinema Aquila alla fine di questa vicenda. Molti gli interventi significativi alla conferenza stampa indetta ieri, 7 maggio, per spiegare le ragioni della revoca della concessione del cinema all'attuale direzione, le ragioni dalla parte di chi ci lavora, visto che di cose ne sono state dette tante e male, e fare un po' di chiarezza sui fatti. La volontà di far chiarezza si percepisce da subito, dai documenti ufficiali fotocopiati e messi a disposizione di tutti i partecipanti: documenti in cui il cinema risulta essere in regola (fonte documento INAIL del gennaio 2015) con i pagamenti dei contributi di servizi erogati, documenti che testimoniano la volontà di rifondere i restanti contributi ai lavoratori, rateizzando il debito pregresso, già dal maggio dello scorso anno, e la volontà di dimostrare assoluta estraneità ai fatti di Mafia Capitale con un fax di dimissioni immediate e irrevocabili della cooperativa N.C.A. dal consorzio Sol.Co. (vincitore del bando di gestione dell'esercizio).
 
 
Il grande problema, se vogliamo parlare nello specifico di irregolarità, contestato dall'amministrazione comunale, “consiste in una subconcessione, che secondo l'avvocatura del Comune di Roma non andava fatta” spiega Nunzia Castello, assessore alla cultura e alle politiche educative del V municipio, unica rappresentate delle istituzioni presente alla conferenza. L'assessore, da sempre vicina al cinema Aquila, si riferisce alla scissione fra il consorzio Sol.Co., che vinse il bando nel massimo della trasparenza 8 anni fa e la cooperativa sociale N.C.A., costituita dai lavoratori del cinema. La scelta del consorzio di affidare una parte delle attività alla cooperativa nasce dal bisogno di accedere al credito cinematografico indispensabile per la digitaliazzazione delle sale ed erogabile solo ad una cooperativa con una maggioranza di attività cinematografica. Ma se è vero che il Comune vieta a un concessionario di affidare parte della concessione a terzi, è anche vero che la revoca  deve essere preceduta (per legge!) da una diffida da parte del Comune, che intima a ripristinare entro 10 giorni la situazione iniziale. Questo non è successo e la revoca definitiva (notificata lo scorso 27 aprile) è stata una vera doccia fredda per i lavoratori, che entro il 9 giugno dovranno sgomberare la struttura con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza del regolare contratto, mentre l'assessore alla cultura e al turismo della giunta capitolina Giovanna Marinelli ad oggi non ha voluto ricevere personalmente la direzione del cinema. 
 
La situazione sembra perciò sospesa, nell'attesa di un nuovo bando di gara che venga scritto secondo le regole di maggior tutela possibile dei lavoratori e del ruolo culturale del cinema. Ciò che ci si chiede è se questo vuoto che rimarrà tra una gestione e l'altra, ovvero tra un'assegnazione e l'altra, non sia funzionale a qualche fazione politica interessata a nuove egemonie culturali o a spartizioni di nuove fette di potere. Sicuramente è chiaro che tutto questo nasce dal malcontento di alcuni ex lavoratori che hanno scelto la via dura per imporsi sulla direzione, ma certamente questa politica d'attacco va a scapito dei lavoratori rimasti nell'esercizio, che si trovano da un giorno all'altro con la spada di Damocle di un posto di lavoro non più garantito. Alcuni di loro si lamentano che per via di questa situazione ci sono stati ritardi nei pagamenti (nel versamento dei contributi, che comunque la direzione si è impegnata in piena legge a versare nei prossimi 5 anni) e se la situazione non volgerà ad appianarsi hanno seria paura di finire senza stipendio per i prossimi mesi senza alcuna certezza di reintegro. Questa è l'ipotesi peggiore, quella più facilmente concretizzabile e, nonostante le voci rassicuranti di ieri della giunta comunale sul rispetto dei posti di lavoro, il personale non ci crede fino in fondo, rimanendo con un grande interrogativo sul proprio futuro. Anche perché le delibere comunali hanno un senso istituzionale, ma possono essere  benissimo impugnate. 
 
Oltre alla perdita del lavoro, poi cosa ne sarà della diffusione del cinema indipendente nella capitale? dobbiamo ricordarci che dalla sua apertura, dopo essere stato strappato dalle mani della mafia, nella fattispecie da quelle della Banda della Magliana, il Nuovo Cinema Aquila riveste un punto fermo per il cinema indipendente italiano e straniero. Pochi altri esercizi possono vantare una diffusione così ampia di opere, eventi e manifestazioni di forte impatto culturale, con un'attenzione particolare al documentario e all'underground. Un polo d'attrazione unico, ricco e diversificato nella scrupolosa e attenta programmazione. Cambiando la linea dirigente, cosa ne sarà? Una delle paure è proprio che diventi un cinema come un altro, depauperato dal suo valore unico e artistico, un decadimento sociale che si ripercuoterebbe anche e non solo sul fermento cittadino ma nazionale.
 
 
Secondo l'assessore Castello il nuovo bando dovrebbe uscire a giorni, forse proprio la prossima settimana. Ma in queste situazioni il mare di burocrazia è sempre più profondo e rischia di far slittare anche i tempi di assegnazione. 
 
Per quanto riguarda le irregolarità commesse sarà compito del Comune vigilare e dei cittadini assicurarsi che tutto sia fatto in rispetto di leggi e trasparenza, che il grandissimo valore culturale sia mantenuto alto, senza slittamenti o cedimenti. Dal canto suo la direzione sembra determinata, e con lei tutti i lavoratori, ad andare fino in fondo alla vicenda prendendosi ognuno le proprie responsabilità. I dipendenti del Nuovo Cinema Aquila non ci stanno e gridano con forza le loro ragioni affinché l'assessore alla cultura si decida a riceverli, per rivendicare i propri diritti e insieme sciogliere i dubbi mossi dal Comune sulla gestione.
 
 
Chiara Nucera 
Angelo Santini
 
 

Short Skin

Giovedì 23 Aprile 2015 08:55 Pubblicato in Recensioni
Il diciassettenne Edo (Matteo Creatini) soffre fin da piccolo di una malformazione al prepuzio, la cui pelle è troppo stretta e non permette al glande di uscire (la sua “short skin”, appunto)  Mentre intorno a lui tutti 
sembrano parlare solo e ossessivamente di sesso, Edo è timido e impacciato a causa delle sue inadeguatezze fisiche. I suoi genitori premono perché si dichiari a Bianca (Francesca Agostini), la sua vicina di casa tornata da Milano per le vacanze, che però sembra averlo relegato da anni nell’inesorabile abisso 
della friendzone. 
 
Una storia semplice raccontata con garbo ed eleganza, senza mai cadere nella deriva scollacciata del college movie à la American Pie; il polpo usato dal protagonista per le sue singolari pratiche masturbatorie (sotto suggerimento dell’amico Arturo) ricorda sì la torta di mele del cult di Paul e Chris Weitz, ma anche l’anguria “trombata” per scommessa da Paolo Cioni in Fino a qui tutto bene. 
Si sorride non solo per l’inadeguatezza del protagonista, ma anche per le nevrosi dei suoi comprimari, che vedono nel sesso l’unico obiettivo e mezzo per autoaffermarsi: che siano le pulsioni tardo-adolescenziali del compagnone Arturo, le scappatelle del padre fedifrago o le smanie voyeuristiche della sorellina Olivia, che vuole a tutti i costi far accoppiare il cane di casa. Ma la problematica sessuale è solo il tipico pretesto per rappresentare il passaggio all’età adulta e una riflessione su quello che trasforma un maschio in un uomo, 
sovvertendo qualsivoglia stereotipo machista. 
Duccio Chiarini, al suo primo lungometraggio di finzione dopo il documentario Hit the road nonna, sfodera la delicatezza comune a molti cineasti toscani della generazione post-Virzì, da Francesco Lagi con Missione di pace a Roan Johnson con il già citato Fino a qui tutto bene, in una commedia dallo stile più europeo (passatemi la definizione) ma profondamente radicata nell’immaginario toscano (pisano in particolare) sia nel linguaggio che nelle influenze. 
“Avevo appena letto il fumetto di Gipi LMVDN – racconta il regista, che cura la sceneggiatura insieme a Ottavia Madeddu e Miroslav Mandic – e quella storia di fragilità maschile raccontata in maniera così delicata mi aveva riportato alla mente una serie di disavventure sessuali vissute da adolescente che mi sembrava potessero diventare un film”.
Realizzato nell’ambito della Biennale College, Short Skin è stato presentato prima alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica poi al Festival del Cinema di Berlino. Distribuito dalla Good Films, il film esce nelle sale italiane il 23 aprile, mentre è prevista l’uscita anche in Francia, Regno Unito, Australia 
e Hong Kong. 
 
Angelo Santini
 

Avengers: Age of Ultron

Martedì 21 Aprile 2015 21:45 Pubblicato in Recensioni
Joss Whedon torna  a dirigere il team di super eroi con super problemi della casa delle idee Marvel, questa volta al completo. Dopo il successo planetario del capitolo del 2012 “The Avengers: Assemble”, che fu il primo blockbuster a riunire tutti i protagonisti in un unico esplosivo team, con ironia e semplicità tenta un approccio più maturo sulla linea di Captain America 2: The Winter Soldier. Ancora una volta troviamo gli stessi volti: La Vedova Nera (Scarlett Johansson) la  femme fatale del gruppo, impegnata a cantare “la ninna nanna a Hulk” per renderlo efficace in battaglia e innocuo alla sua trasformazione nel Dottor Bruce Banner (Mark Ruffalo), di cui si sta inevitabilmente innamorando; Thor (Chris Hemsworth) il semi-dio del Tuono, ufficialmente in ritiro sulla terra con il consenso del “Re di Asgard”; Captain America (Chris Evans), il soldato potenziato ancora fuori dal suo tempo; Occhio di Falco (Jeremy Renner), l’arciere eroe finalmente messo in luce, e l’immancabile Tony Stark (Robert Downey Junior) alias Iron Man, tormentato dal suo mastodontico ego che prende  forma e, involontariamente, diventa “Ultron” un robotico assassino integralista nell'adempimento della sua missione di  pace. Lo SHIELD, l’organizzazione a protezione della terra, anche in questo capitolo è  tenuto in scacco dall'Hydra, l’indipendente divisione filo nazista che opera in segreto dagli anni quaranta, ne fanno parte i due fratelli gemelli potenziati Wanda (Elizabeth Olsen) e Pietro Maximoff  (Aaron Taylor-Johnson), nei comics i figli di Magneto degli X Men, “Lui è veloce, lei è inquietante” così spaventosa da poter alterare la realtà e creare incubi e visioni nella testa di chiunque sia fatto di carne e sangue. Visivamente ineccepibile, l’azione domina il film, lasciando spazio a romanticherie (discutibili) e riflessioni semplici ma efficaci. Le cose belle non sono fatte per durare, il coraggio e la forza si nascondono anche nelle persone più insicure. Nel primo film la battaglia finale si combatteva a New York, questa volta in Russia, in un paese immaginario che (orgoglio nazionale) è in verità la Valle d'Aosta, le comparse sono tutte del posto, al centro della scenografia è il riconoscibilissimo Forte di Bard. Danny Elfman mixa la colonna sonora creando un orecchiabile compromesso tra il tema musicale portante e la musica classica. Il film non è esente da tagli di girato (nei trailer c’è sempre di più) e buchi di trama, il più grosso problema del Marvel Movieverse continua a persistere, ma nel complesso è un film ironico e godibile, la strada è giusta, per comporre il puzzle che la casa delle idee ha in mente da qui al 2018. Non lasciate la sala dopo i titoli di coda e ne avrete una assaggio.  
 
Francesca Tulli