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Tarantino a CinecittA' fino al 13 marzo

Lunedì 25 Gennaio 2016 16:37 Pubblicato in News

Quentin Tarantino a Cinecittà per l'anteprima di "The Hateful Eight" : la versione integrale in 70mm al Teatro 5 aperto al pubblico fino al 13 marzo 

 

 
Si svolgerà il 28 Gennaio a Cinecittà Studios, nel mitico Teatro 5, regno di Federico Fellini, l’anteprima italiana di THE HATEFUL EIGHT, il nuovo ed attesissimo film di Quentin Tarantino, che sarà a Roma con il neo vincitore del Golden Globe, del Critic’s Choice Award e candidato all’Oscar per la colonna sonora del film, Ennio Morricone, accompagnato dagli interpreti Kurt Russell e Michael Madsen e il produttore Harvey Weinstein.
Il film evento ha infatti ricevuto tre nomination all’Oscar nelle categorie: Migliore attrice non protagonista (Jennifer Jason Leigh), Migliore Colonna Sonora Originale (Ennio Morricone) e Miglior Fotografia (Robert Richardson).
THE HATEFUL EIGHT, un'esclusiva per l'Italia Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema, arriva nella versione 70 mm da 188 minuti già vista in America: rispetto alla versione in digitale, che sarà nelle sale italiane a partire dal 4 febbraio distribuito da 01 Distribution, sarà proiettata una versione che contiene 3.48 minuti di overture del Maestro Morricone e un intervallo di 12 minuti, come ai tempi del grande cinema di Ben Hur.
La serata, caratterizzata dal numero 8 (otto i personaggi per l’ottavo film del regista di Pulp Fiction), vedrà la partecipazione di 888 invitati, così come ha voluto Tarantino. Il Teatro 5 sarà suddiviso in due parti uguali: nella zona dedicata alla proiezione, gli scenografi di Cinecittà, sotto la guida di Tonino Zera, hanno realizzato una grande platea a perimetro rettangolare con una struttura a gradinata, rispettando una curva di visibilità ottimale da ogni punto di osservazione e rivestita in moquette di colore nero, dove saranno posizionate le 888 sedute realizzate mediante poltrone classiche di tipo cinematografico, un mega-schermo di 21,00 mt x 8,00 metri atto a valorizzare in ampiezza, profondità, definizione e spettacolarità dell’immagine le potenzialità tecniche del 70mm.
In corrispondenza del percorso d’ingresso degli spettatori sarà realizzata una grande scenografia innevata, con riferimenti espliciti e spettacolari alla trama del film in modo da far vivere al pubblico tutte le suggestioni non solo virtuali ma anche reali del racconto di Tarantino. Al centro vi sarà la locanda, dove tutto accade. Sono infatti otto i maledetti protagonisti di questa storia, ambientata qualche anno dopo la Guerra civile, che a causa di una bufera di neve dovranno sostare nello stesso rifugio. Otto viaggiatori sconosciuti e poco raccomandabili, che si renderanno ben presto conto di quanto sarà difficile per ognuno di loro raggiungere la meta…
Grazie a 01Distribution, distribuzione italiana del film, la programmazione in 70 mm del Teatro 5 proseguirà per il pubblico per l’intero mese di Febbraio (fino al 28), dando il via alla rassegna del “Cinecittà Winter Film Show”, iniziativa di Cinecittà Studios e Cinecittà si Mostra che nasce come un omaggio al cinema di Quentin Tarantino e Sergio Leone e che vedrà ripetersi ogni anno con anteprime e retrospettive dedicate al grande Cinema. Cinecittà Studios sarà il luogo di riferimento del centro-sud Italia per chi vuole immergersi nell’esperienza della visione integrale nel formato voluto da Quentin Tarantino per il suo ultimo lavoro. Le altre sale in Italia equipaggiate con tecnologie ad hoc per la proiezione in pellicola 70 mm sono la Multisala Arcadia di Melzo (Mi) e il Cinema Lumierè di Bologna.
“Il Winter Film Show è un’ulteriore iniziativa che valorizza il patrimonio di spazi, strutture e competenze di Cinecittà, rendendo omaggio ai maestri del Cinema, a cominciare da Sergio Leone cui abbiamo dedicato una sezione della mostra ‘Girando a Cinecittà’ - spiega l’ad di Cinecittà Studios Giuseppe Basso. Grazie alla disponibilità della Leone Film Group e di 01 Distribuition possiamo celebrare Tarantino nel migliore dei modi e condividere con il grande pubblico questa magia che vivremo nel Teatro 5 che, dal 5 Febbraio, si arricchirà di ulteriori proiezioni nella più piccola Sala Fellini. Ai più importanti successi di Tarantino si aggiungerà una scelta dei western di Sergio Leone, riferimento fondamentale per il cineasta statunitense”.
 
Per tutte le informazioni sui biglietti, visite guidate e orari proiezioni consultare il sito  www.cinecittasimostra.it

La Corrispondenza

Lunedì 25 Gennaio 2016 16:00 Pubblicato in Recensioni

Giuseppe Tornatore non ha mai nascosto di essere romantico. Com’era stato per “La migliore offerta” lascia gli scenari affollati di Baarìa per dirigere un film da camera con pochi attori. Amy (Olga Kurylenko) è una studentessa fuori corso, che arrotonda facendo la stuntman, giovanissima amante di Ed (Jeremy Irons) professore della sua materia preferita: Astronomia. I due divisi dalla lontananza e dalla loro relazione segreta hanno poco tempo da trascorrere insieme e avviano una lunga corrispondenza, fatta di mail, lettere, pacchetti misteriosi, sms criptici. Nell’aula magna della loro università, Amy, durante una conferenza, apprende una notizia che le cambia la vita e la corrispondenza assume una forma del tutto diversa. L’intera pellicola è una lunga riflessione sul mistero che avvolge l’esistenza terrena, ricevere una lettera non significa necessariamente parlare con il corrispondente, essere amati non vuol dire necessariamente toccarsi, baciarsi, fare l’amore, certe volte basta un segno del proprio passaggio, come le stelle che una volta estinte lasciano dietro di se l’esplosione che genera una supernova. Fa sorridere l’efficienza dei servizi postali della sbandierata “TNT” il famoso marchio di corrieri veloci, che fa da “sponsor” al film. Paradossale è anche l’uso della tecnologia, troviamo CD rom che gettati nel fuoco vengono letti da un Haker-Smanettone improbabile con amici nei servizi segreti, schede di memoria che funzionano dopo essere state gettate in acqua, Videocamere vuote con tracce di “vita” nella memoria, non si esclude che in casi particolari questo possa essere “verosimile” ma non con questa “semplicità” e frequenza. Il Maestro Morricone musica la malinconia e l’aspetto più intimo della vicenda. Delle Location è straordinaria l’isola Piemontese di San Giulio (nel film “Borgo Ventoso”) una italianissima “Mont-Saint-Michel” immersa nell’acqua del lago d’Orta. Astronomia, teoria delle stringhe, Multiversi, lo studio degli astri e delle stelle sono il principale espediente per raccontare questo dramma, che sembra concludersi nel migliore dei modi fino alla discutibile direzione che prende il finale. Romantico e surreale, diverso nella forma dagli altri film del regista, ma contraddistinto dalla stessa tenerezza. Lento, un po’ ingenuo ma nel complesso dignitoso. 

 
Francesca Tulli

Ti Guardo. Desde Alla'

Giovedì 10 Settembre 2015 11:02 Pubblicato in Recensioni
Ti Guardo, titolo italiano di Desde Alla’, vincitore del Leone D’oro alla Mostra del Cinema di Venezia edizione 72, è un film complesso, che porta in sé una tematica forte. Nel suo dna ci sono segni di grande autoralità ed anche piccoli cali di stile, ma non possiamo che complimentarci con gli autori della storia: Guillermo Arriaga (Amores Perros - 2000, 21 Grammi – 2003, tra i suoi lavori più riusciti) e Lorenzo Vigas, per aver costruito un’opera intensa, partendo da situazioni di dolore personale ed intimo per poi allargare la visione ad un dolore universale, che accomuna tutto il genere umano.
 
Armando (Alfredo Castro, Post Mortem - 2010), uomo sulla cinquantina, lavora in proprio. Nel suo laboratorio costruisce e ripara protesi dentali. Meticoloso e preciso, il suo modo di vivere va in contrasto con la città in cui risiede, una Caracas degradata, caotica e colma di delinquenza. In questo mondo al contrario, lui riesce a mimetizzarsi perfettamente. Porta nel suo cuore tremende ferite, figlie di un’esistenza che ha molto in comune con la contemporaneità pazza e deviata. Sfoga le sue ansie e paure guardando dei ragazzotti spogliarsi nella sua casa. Voyeurismo come vizio, che lo porta ad incontrare Elder (Luis Silva, all’esordio cinematografico), giovane ladruncolo che lavora in uno sfasciacarrozze. In un primo momento la loro unione stenta ad ingranare, in quanto il ragazzo, dichiaratamente omofobo, lo sfrutta solo per il denaro e le comodità che hanno un deciso sapore paterno. 
Questa situazione umana al limite, resa più fastidiosa dall’entrata in scena del padre di Armando, portatore di nefasti ricordi, trova un punto d’unione inaspettato. Forte e debole allo stesso tempo. Armando e Elder intraprendono un rapporto umano e curativo. L’uno cerca di guarire l’altro dal proprio disagio personale e la componente fisica avrà anch’essa un ruolo fondamentale nella storia.
 
Al timone della pellicola troviamo il neofita Lorenzo Vigas, che fa uso esclusivo dei primi piani. L’obbiettivo si fissa sui due personaggi principali, lasciando i dialoghi fuori campo. Quando il primo piano è su Armando tutto il resto non è a fuoco, come la sua vita, un sorta di mondo tra le nubi. Intimità morbosa, che in alcuni tratti però rallenta il ritmo del film. Staticità, che suo malgrado non rovina la splendida sceneggiatura e la potenza del messaggio. Sicuramente un po’ più di frenesia con la macchina da presa, per intenderci una regia alla A.G. Inarritu (Babel – 2006), avrebbe reso il film memorabile, al limite del capolavoro. 
 
La narrazione si sviluppa in modo lineare, non intrecciandosi com’è solito fare nei suoi lavori Guillermo Arriaga. Lo scrittore messicano lavora con egregia maestria sulla sensibilità ed imbastisce una relazione impossibile, che colpisce al cuore e fa riflettere sulla natura dell’essere umano. Osserva vite segnate dalla sofferenza, che percorrono un binario che devia inaspettatamente la propria via per poi riprendere il sentiero delle proprie origini. Destino segnato, che sembra essere un macigno inscalfibile. Figlio dell’esperienza del dolore, che non si può cancellare. Analisi spietata di matematica precisione. Memorabile è l’attimo nel quale il fato, linea retta, si spezza. Non è un baratro, ma un soffio di vento impercettibile che pulisce l’anima. Unione pacifica e riparatrice tra Armando e Elder, che esplode in una composta gioia di vivere. Dura pochissimo, ma è presente ed Arriaga è superbo a portarci lì, dentro quell’emozione.
 
Desde alla’ è un recipiente traboccante di scene iconografiche, alle quali non si può rimanere indifferenti. Scaldano il nostro spirito in profondità e portano il calore fino sulla nostra pelle. Lo scoglio che non può arginare il mare è il desiderio sessuale di Armando nei confronti di Elder, che non può essere completamente sopito. La vettura acquistata da Elder e sistemata da lui stesso con cura. Macchina, che non potrà mai tornare come nuova, trova il suo riflesso nella condizione malfamata del ragazzo.
Poderosa è anche la speculare inquadratura, pressoché identica, tra amore etero e omosessuale. La mia preferita ha come soggetto una semplice statuina di ceramica. Intrinseco a quell’oggetto sono riassunte tre situazioni focali e cariche di sentimento della pellicola: il furto, la rabbia e la voglia di un legame duraturo.
 
Dal punto di vista artistico i due attori protagonisti entrano nella parte con realismo. Si avvicinano troppo e non mancano di farcelo vedere e sentire in ogni fotogramma. Soprattutto la dedizione di Alfredo Castro, attore feticcio dell’eccellente regista cileno Pablo Larrain (No. I giorni dell’arcobaleno - 2012), al suo concavo personaggio è stupefacente.
 
Il film di Lorenzo Vigas, ci insegna come sia impossibile sfuggire alla propria natura e come ci si possa avvicinare a sconfiggere il dolore senza però mai metterlo a tacere. Urla che tornano nell’intimo e che nostro malgrado ognuno di noi ha sentito riecheggiare, almeno una volta, nella propria anima. Perché se viviamo, dobbiamo essere pronti a convivere con le problematiche figlie dell’esistenza: lutto, molestie, situazioni disagiate, mancanza di un vero amore, difficoltà nel dichiararsi diversi, problematiche famigliari, di integrazione e malattie incurabili. Desde alla’ racconta con tatto ed amore le conseguenze di tutto questo. Leone d’Oro meritato.
 
David Siena

Revenant

Lunedì 18 Gennaio 2016 16:27 Pubblicato in Recensioni
1823. L’esploratore Hugh Glass, vedovo e padre di un mezzosangue indiano, viene assunto come guida per una battuta di caccia alla ricerca di pelli e pellicce tra gli Stati americani di Montana, North Dakota e South Dakota. Tra i suoi compagni è quello che più di tutti conosce le vergini terre americane, in cui soldati, mercenari e cacciatori si inoltrano per scopi commerciali, provocando sanguinosi conflitti con le tribù indigene. Dopo essere stato brutalmente attaccato da un grizzly, Glass rimane in fin di vita. Fitzgerald (Tom Hardy), il più arrogante della compagnia, si offre di rimanere con lui e di dargli degna sepoltura quando sarà il momento, ma lo abbandona fra la vita e la morte dopo averlo derubato del suo bene più caro.
Tratto da una storia vera, il film racconta l’epica avventura di un uomo che cerca di sopravvivere nelle terre impervie di un’America inesplorata grazie alla straordinaria forza del proprio spirito. 
 
È difficile parlare di The Revenant senza accennare alla sua programmatica corsa agli Oscar. Il film di Alejandro González Iñárritu, fresco di 12 nomination, sembra pensato apposta per replicare lo straordinario successo di Birdman, vincitore di 4 statuette tra cui miglior film e miglior regia.  
Il personaggio di Glass è un vestito cucito su misura per il premio come miglior attore. Un’opportunità irripetibile - costruita ad hoc - per permettere al bravissimo Di Caprio di stringere finalmente fra le dita la prestigiosa statuetta, dopo 4 nomination andate a vuoto e la pressione di un'opinione pubblica che ironizza sulle sue vittorie mutilate. 
«Per quanto riguarda gli attori la malattia paga» commentò cinicamente il critico Gianni Canova dopo le vittorie dello scorso anno: Eddie Redmayne, miglior attore protagonista nel biopic su Stephen Hawking e  Julianne Moore, miglior attrice nel ruolo struggente di una donna malata di Alzheimer in Still Alice. 
Anche senza malattie e disabilità permanenti, Di Caprio mette il suo corpo a dura prova nella performance più difficile di tutta la sua carriera. Nell’arco dei 9 interminabili mesi di lavorazione l’attore ha rischiato più volte l’ipotermia a causa della temperatura di 40 grandi sotto zero  - motivo che ha spinto diversi membri della troupe ad abbandonare le riprese -, indossato pellicce di orso e d’alce dal peso di 45 kg, mangiato fegato di bisonte crudo e dormito nella carcassa di un cavallo morto. Il suo personaggio si limita per tutto il tempo a subire una serie di sfortunati eventi, come un cartoon che non muore mai; roba che in confronto quello di Sandra Bullock nello spazio profondo di Gravity sembra un tranquillo weekend a Pescasseroli. 
 
Ma il film è anche una vetrina espositiva per Iñárritu, irrefrenabile forza della natura, e il superbo direttore della fotografia Emmanuel Lubezki (Oscar per Gravity e Birdman).
In Birdman, attraverso il lungo piano sequenza simulato e un pragmatico uso di effetti digitali, il regista messicano era riuscito a ricreare il fascino illusorio ed inspiegabile tipico del cinema delle origini. Quella magia che non troviamo nemmeno nei blockbuster più pirotecnici, dove la spettacolarità è un trucco dichiarato che non lascia spazio alla fantasia. Davanti a quei virtuosissimi movimenti di macchina, nel buio della sala, ci si chiede spesso «Ma come cazzo hanno fatto?». Interrogativo alla base dell’essenza stessa del cinema e non troppo lontano da quello degli spettatori di fronte ai primi capolavori di Méliès. 
 
In The Revenant Iñárritu e Lubezki si spingono addirittura oltre; lasciano i Kaufman Astoria Studios di New York – dove si svolsero interamente le riprese di Birdman – per le location incontaminate di Alberta, Canada e Argentina, dove, seguendo l’influenza di Herzog, «filmano l’impossibile», sfruttando questa volta solo luce naturale. 
La macchina da presa, attraverso i fluidi long take, sta letteralmente addosso al protagonista, mentre il suo respiro appanna l’obiettivo e gli schizzi di sangue macchiano lo schermo. 
La lettura politica dei conflitti fra nativi americani e invasori europei e quella spirituale, legata agli inserti onirici di Glass vagamente Malickiani e al suo desiderio di vendetta, risultano complementari nella potente messa in scena del rapporto fra l’uomo e la natura; dove gli alberi - la natura -  protendono verso il cielo, come le frecce infuocate scoccate dai nativi, civiltà nettamente superiore dei mercenari colonizzatori – l’uomo - che invece strisciano al suolo come vermi. 
Una gioia per gli occhi e poco più.
 
Angelo Santini