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Spectre

Venerdì 13 Novembre 2015 14:38 Pubblicato in Recensioni
“Spectre” non è la copia-carbone di “Skyfall” e questo è un bene.
Il film procede sui binari del più marcato classicismo, senza però diventare mai stantio, prova ne è il primo lungo piano-sequenza a Città del Messico, durante El Dia de los Muertos.
I morti sono vivi, come recita la didascalia, e festanti calacas danzano, ignari del loro ruolo di preludio tragico.
Anche Bond è mascherato, e naturalmente accompagnato da gentil donzella, ma il suo volto scheletrito, dal quale emerge l'azzurro intenso degli occhi, è quello di un uomo che non ha bisogno di celarsi per banchettare con la morte.
I riferimenti ai Bond passati, ormai rivisti e corretti, piaccia o meno, nella faccia segnata e intensa, e nel fisico massiccio di Craig, rappresentano probabilmente il tentativo di riallacciarsi alla tradizione dell'agente con licenza di uccidere.
Dopo l'azzardo freudiano di Skyfall, film con una prima parte strepitosa e una seconda senz'altro potente, ma troppo debitrice, complice la fotografia cupissima di Deakins, qui sostituito da Van Hoytema, capace di tratteggiare con naturalismo il caldissimo e il freddissimo della luce, all'immaginario nolaniano dell'uomo pipistrello, Spectre rimette i tasselli al loro posto, non senza qualche intralcio narrativo o caduta di ritmo.
Bond, incredibile fenice, vero man of steel senza tema di kryptonite, deve vedersela con i tentacoli piovreschi della Spectre, guidata dall'enigmatico Franz Oberhauser aka Ernst Stavro Blofeld, uno che ha qualche conticino in sospeso con l'agente segreto, fin dalla più tenera età.
Lo interpreta Christoph Waltz in modo a tratti struggente, per il breve tempo scenico che gli è concesso. 
La cadenza leggermente enfatica della voce, in alcuni momenti della versione italiana, non inficia affatto la calibrata tensione del suo sguardo, quello di un uomo, non quello di un villain, termine banale e schematico che infatti l'attore austriaco detesta.
Ma, come Lynch ci ha insegnato, i gufi non sono quello che sembrano, e qualche insospettabile (o quasi) fa il gioco sporco anche nei pressi dell'MI6, capitanato, dopo la morte della M come Madre, dal Mallory di Ralph Fiennes, misurato e perfettamente in parte.
Tornano anche Q (Ben Whishaw, uno dei talenti più prodigiosi della sua generazione e non solo) e la deliziosa Naomie Harris, nel ruolo di Miss Moneypenny, più solerti a esaudire le richieste di James che quelle del loro diretto superiore.
E naturalmente ci sono le donne, diverse, almeno per un particolare che non si può svelare senza dire troppo della trama del film, da quelle alle quali l'immaginario bondesco ci ha abituati: Monica, basta la parola, fa fatica a doppiarsi – migliore infatti in inglese - ma è ugualmente una figura divina.
Il suo breve intermezzo, carezzato da una fotografia che, per contrapposizione tra gli scuri e i gialli-arancio, rimanda a un'Antonia Zarate di Goya e sottolineato, lentamente, dalla cura estatica che la M.d.P. tributa soltanto alle dive, segue la parte romana del film, una grande bellezza action che affresca di amore e rispetto mai cartolineschi la città. Lucia, questo il nome del personaggio, è statuaria, è pura presenza, appena scalfita dalla passionalità di Bond che la inchioda, la sfiora con le labbra, la indaga, nella pelle candida, e poi la contempla, bellissima e eterna, probabilmente salvifica.
La seconda figura femminile introdotta da “Spectre” gioca invece una partita completamente diversa e non potrebbe non essere così. 
Siamo dalle parti di Eva Green, la prima cosiddetta Bond girl dell'era Craig, l'unica realmente amata dall'uomo, più incline, come da tradizione, a intrattenersi fugacemente nelle alcove delle moltissime splendide fanciulle che incontra, che ai sentimentalismi. 
Si può pregustare persino, come già era successo con la Vesper Lynd di Casinò Royale, un retrogusto malevolo nella giovane dottoressa, dal nome proustiano, tutt'altro che succube al fascino da sciupafemmine dell'agente segreto. 
All'insegna delle omissioni è caratterizzata infatti la recitazione di Lea Seydoux, provocante, ma ambigua, magari complice: e se l'identità del vero deus ex machina della Spectre subisse un ribaltamento di genere?
O forse sono solo suggestioni, chissà.
Naturalmente, pur con tutti gli svecchiamenti, per lo zoccolo duro dei fan della prima ora, talvolta quasi eretici, che si vogliono, al centro dell'azione drammatica resta Daniel Craig, a conti fatti e al di là di ogni pregiudizio iniziale, il miglior Bond dai tempi di Sean Connery, sempre più alla ricerca di un'umanità oltre i simboli – non c'è verso che riesca a bersi in pace un vodka martini – qui finalmente ironico, quale sa benissimo essere, granitico e seducente, umbratile, ma non scontroso: l'attore dimostra che la calaca è solo una maschera e, se dietro c'è il fior fiore della tecnica Guildhall, gli stereotipi vanno buttati nel gabinetto, per saltare un passaggio, stessa sorte che l'agente auspica per il frullato probiotico che vorrebbero appioppargli e che non fa in tempo neppure ad assaggiare, per cause di forza maggiore, ma un po' anche per difendere la propria integrità!
Del resto lui è Bond, James Bond (e speriamo lo resti per un altro film!).
 
Ilaria Mainardi
 
Grande apertura con “In Jackson Heights” di Frederick Wiseman, Evento Speciale “Showbiz”
 
Inizia oggi a Roma fino al 15 novembre, tra il cinema Farnese Persol e il Cineclub Detour, l’ottava edizione del Visioni Fuori Raccordo Film Festival che si propone di promuovere e valorizzare i migliori documentari italiani dell’ultimo anno, con il contributo della Regione Lazio e il patrocinio del Comune di Roma.  
 
 
Dodici i documentari in CONCORSO tra cui 2 anteprime assolute e 5 anteprime romane che indagano il rapporto tra il cinema e la metropoli intesa in senso ampio con le sue migrazioni, molteplici identità e diversi confini.  Offrono uno sguardo sulla città e le sue aree periferiche: Habitat – Note personali di Emiliano Dante, MaldiMare di Matteo Bastianelli e Napolislam di Ernesto Pagano. Particolare attenzione viene riposta verso i luoghi della malattia e dell’emarginazione: La malattia del desiderio di Claudia Brignone, The Perfect Circle di Claudia Tosi e Roma Termini di Bartolomeo Pampaloni. Molti documentari scelgono la dimensione autobiografica del diario conoscitivo: Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte, Ogni preziosa giornata di Francesco Adolini; Samsara Diary di Ram Pace. Infine alcuni autori si concentrano sul ritratto umano tratteggiando un affresco corale in Uomini Proibiti di Angelita Fiore, un confronto individuale Dal ritorno di Giovanni Cioni o un incontro interculturale Doris e Hong di Leonardo Cinieri Lombroso. Tutti i registi presenteranno i documentari in sala.
FUORI CONCORSO il festival propone, nella sezione PANORAMA INTERNAZIONALE, due prime visioni, dopo la Mostra del Cinema di Venezia: “In Jackson Heights”, del regista statunitense Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera nel 2014, documentario su una delle comunità etnicamente e culturalmente più eterogenee degli Stati Uniti e del mondo, che aprirà la kermesse l’11 novembre alle 20.30 al cinema Farnese Persol e “The Event” del regista ucraino Sergei Loznitsa (“I ponti di Sarajevo”, “Maidan”) sul fallito colpo di Stato del 1991 in Russia che portò alla fine del potere sovietico. 
Due gli EVENTI SPECIALI dopo la presentazione alla Festa del cinema di Roma, il docufilm “Showbiz” di Luca Ferrari, che presenterà il film in sala, prodotto da Kimera Film e  Valerio Mastandrea e due cortometraggi “Quasi eroi” e “Se avessi le parole” di Giovanni Piperno scritti e interpretati coinvolgendo i ragazzi della periferia romana con il progetto Tor Sapienza Film Lab. 
LA GIURIA che assegnerà il premio al miglior documentario  è composta da personalità che si sono distinte nella realizzazione, studio e divulgazione del genere cinematografico documentaristico. La regista  Valentina Zucco Pedicini, la direttrice della fotografia e documentarista Sabrina Varani e Fabio Mancini dal 2013 commissioning editor del programma DOC3 su RaiTre. Le attività dei giurati saranno riperse e i video trasmessi on-line per garantire la massima trasparenza dei lavori. “Visioni Fuori Raccordo appare quanto mai fondamentale – precisa il direttore Luca Ricciardi – nel contesto attuale italiano in cui, anche se il documentario sembra ormai sdoganato e finalmente considerato cinema tout court, sono sempre pochi e coraggiosi i distributori che si dedicano al genere e ancor meno gli spazi che gli riservano i palinsesti televisivi. A questo proposito –continua Ricciardi -  un festival come il nostro garantisce visibilità e riflessioni  attorno al grande sviluppo del documentario italiano degli ultimi anni e consente al pubblico di conoscere opere internazionali altrimenti assenti dal sistema distributivo”. 
 
Maggiori informazioni e il programma nel dettaglio consultando http://www.fuoriraccordo.it/

Il Metacinema e Mad Max a Horror Maximo.

Martedì 27 Ottobre 2015 16:57 Pubblicato in News
Nel week end più pauroso dell'anno, in occasione di Horror Maximo, convention dell'horror e del fantastico ormai giunta alla 5a edizione, preparatevi ad assistere alle presentazioni di Il Metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg, De Palma di Chiara Nucera, sabato 31 dalle ore 16.30, e Mad Max Trilogy. Dal nomadismo al cyborg di Alessandro Neri, domenica 1 novembre dalle ore 16.30 .
 
La manifestazione si terrà a Roma al Casale Falchetti, Viale della Primavera 319/B
 
Numerosissimi gli ospiti che interverranno alla manifestazione, tra i quali I Manetti Bros che incontreranno il pubblico sabato 31 dalle 18, in un dibattito moderato da Chiara Nucera, e Umberto Lenzi che ritirerà il Premio Horror Maximo alla Carriera, domenica 1 novembre dalle 20.30 . 
Gli incontri sono gratuiti, aperti a tutti... e riservati a stomaci forti! 
 
 
Il metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg, De Palma è il titolo del recente volume di Chiara Nucera, edito nella collana Spaghetti Horror delle Edizioni Umanistiche Scientifiche - EUS (pp. 143 euro 16,90). La filosofia platonica e aristotelica, il teatro greco e le teorie psicanalitiche di Freud e del suo allievo Rank, il concetto di doppio e di molteplicità del reale, nella vita e nel cinema: da questi elementi e sulle loro tracce l’autrice articola un’interessante e meticolosa analisi del modo in cui tre maestri del cinema, David Cronenberg, Brian De Palma e David Lynch, strutturano un nuovo rapporto tra schermo e corpo dello spettatore, partendo da punti di vista diversi e arrivando alla formulazione di tre diversi tipi di realtà. Traendo alimento anche dalle riflessioni di Nietzsche, Bazin, Pasolini e Hitchcock, Nucera conduce un ragionamento preciso e appassionato, al termine del quale il cinema si conferma o si rivela come " … moltitudine di specchi nei quali ci riflettiamo, di soglie varcate che ci trasportano in altre dimensioni, come quella che Alice attraversa per arrivare nel Paese delle Meraviglie … ".
Andrea Corrado per dgCinews, periodico della Direzione Generale Cinema 
Responsabile di Redazione Maria Di Lauro
 
 
Mad Max Trilogy. Dal nomadismo al Cyborg. Il lavoro di Alessandro Neri analizza a 360° il mondo di Mad Max, un futuro prossimo con molti riferimenti alla contemporaneità: da una parte la presenza di Tina Turner, i giubbotti di pelle, le pettinature punk e la colonna sonora di Brian May; dall’altra invece, i teppisti assetati di sangue e di benzina, ci rimandano verso la caduta dell’impero ro-mano e l’invasione dei barbari. Per enfatizzare il periodo di barbarie, il regista George Miller crea una mescolanza di stili e look: le sfide su fuori strada sempre più simili a carri armati ricordano i duelli tra cavalieri; Mad Max si trasforma così negli ‘80 in moda, gadget e il post-moderno diventa fashon, cool esercitando, ad esempio, molta influenza nel panorama musicale dell’epoca in cui molte band di successo hanno la pettinatura e i vestiti come i cattivi di Mad Max.
Uscito ad Aprile 2015 è edito da EUS Edizioni.
 
 
Per maggiori informazioni sul programma consultare il calendario della manifestazione https://www.facebook.com/HORROR-MAXIMO-149095111835092/

Non Essere Cattivo. Laboratorio: Come produrre un film da Oscar

Martedì 27 Ottobre 2015 16:40 Pubblicato in News
Parte il 30 ottobre , alle ore 9, presso il dipartimento di Storia dell'arte e spettacolo, in via dei volsci 122, il laboratorio di produzione cinematografica curato da Simone Isola, produttore del film di Claudio Caligari, “Non essere cattivo”, film selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2015. A integrare le lezioni frontali sono previste esercitazioni con gli studenti. Il laboratorio che si svilupperà in sei appuntamenti  ciascuno della durata di due ore, è gratuito ed è rivolto prevalentemente agli studenti del Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo.
 
 
Simone Isola è tra i fondatori della KimeraFilm, casa di produzione nata nel 2009 e rapidamente emersa come una delle realtà più interessanti del panorama italiano degli ultimi anni. Impegnata nella produzione di film di finzione e di documentari, KimeraFilm sta affrontando un percorso di crescita, caratterizzato dalla profonda convinzione che l'approccio autoriale e quello commerciale al mezzo audiovisivo possano viaggiare di pari passo. Nel 2014 per KimeraFilm esce in sala “La mia classe” di Daniele Gaglianone con Valerio Mastandrea, candidato ai Nastri d'Argento 2014 nella categoria docu-fiction; per la stessa edizione della prestigiosa manifestazione vince una menzione speciale “Bertolucci on Bertolucci” di Luca Guadagnino e Walter Fasano. Alla Mostra del cinema di Venezia 2015 KimeraFilm presenta “Non essere cattivo”, selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar.  
E’ proprio affrontando in dettaglio il caso di studio di “Non essere cattivo” che il laboratorio si propone di fornire agli studenti le nozioni di base della professione di produttore cinematografico, dalla creazione del progetto alla costruzione del set, dal casting alla distribuzione e alla campagna di lancio.
 
“Non essere cattivo” 
Opera postuma del regista cult Claudio Caligari, già autore di “Amore tossico” (1983) e “L’odore della notte” (1998), “Non essere cattivo” è il racconto di una periferia degradata e senza via d’uscita, segnando un ritorno a temi e atmosfere care al regista. In questa Ostia anni Novanta, sotto la lente d'ingrandimento c'è la fenomenologia della tossicodipendenza nei due “Accattoni in discoteca”, come li definiva Caligari nelle sue note di regia, Cesare e Vittorio, interpretati efficacemente da Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Con la candidatura agli Oscar, l’eco del successo conseguito in patria è arrivato anche a Hollywood, dove il prossimo 14 gennaio si deciderà la cinquina in lizza per il premio al Miglior film straniero.