Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » I Nostri Corsi » Info
A+ R A-
Info

Info

E-mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Premio Cinema Giovane & Festival delle Opere Prime

Martedì 21 Marzo 2017 21:26 Pubblicato in News
Abbiamo intervistato Pietro Murchio, direttore artistico del Premio Cinema Giovane & Festival delle Opere Prime, manifestazione giunta ormai alla 13esima edizione, che si sta svolgendo all’Auditorium di San Leone Magno (via Bolzano, 38) fino a venerdì 24 marzo. 
La rassegna presenta una selezione di dieci tra i migliori film italiani usciti in sala nel 2016. Sui 45 esordi cinematografici registrati lo scorso anno sono tre i film in concorso che si contendono il Premio: Il più grande sogno di Michele Vannucci, La ragazza del mondo di Marco Danieli, The Pills – sempre meglio che lavorare di Luca Vecchi. Completano il programma sei opere prime selezionate e un film scelto per qualità : Due euro l’ora di Andrea D’Ambrosio, L’universale di Federico Micali, I Cormorani di Fabio Bobbio, Fräulein – una fiaba d’inverno di Caterina Carone, WAX: We Are The X di Lorenzo Corvino, La pelle dell’orso di Marco Segato e La vita possibile di Ivano De Matteo. Il ruolo del pubblico, a inviti gratuiti anche per spettatori ospiti (ritiro coupon con semplice registrazione in Auditorio), sarà fondamentale perché sarà chiamato a votare i film in concorso. Seguiranno numerosi incontri con cast, registi e professionisti del settore.
 
 
Guardando il programma di quest’anno e delle edizioni precedenti il Premio Cinema Giovane mostra particolare attenzione alle opere “invisibili” e spesso con scarsa distribuzione, da cosa nasce la vostra filosofia?
 
“E’ proprio la prima manifestazione italiana dedicata alle opere “invisibili” quando nel 2003  decidiamo di organizzare il primo festival poi svoltosi nel 2004. Ora siamo ormai alla 13esima edizione, essendo partiti proprio dall’idea di celebrare il cinema giovane italiano con un premio ai registi esordienti e agli interpreti giovani e giovanissimi. La manifestazione ha raccolto un buon successo raggiungendo le 80mila presenze. In verità abbiamo premiato anche dei personaggi che poi sono diventati molto famosi come Fausto Brizzi, Saverio Costanzo, Micaela Ramazzotti, Beppe Fiorello, Jasmine Trinca, solo per citarne alcuni. Abbiamo raggiunto un buon livello di visibilità facendo tutto in autosufficienza, confidando che il progetto nasce da un cineclub che è il più consistente d’Italia, il più antico, e la gente accetta anche di vedere volentieri film differenti, con presenze sempre numerose. Quest’anno abbiamo 16 proiezioni di cui 9 sono dedicate a tre opere prime in concorso che vengono ripetute alla mattina per gli studenti e pomeriggio e sera per gli adulti. Alla fine venerdì sera premieremo quell’opera prima che ha ricevuto i voti migliori dal pubblico. 
I registi ma anche gli attori hanno risposto molto bene con la loro partecipazione. Alla prima giornata, quando abbiamo proiettato Il più grande sogno, abbiamo anche avuto il piacere di ospitare per le interviste il protagonista Mirko Frezza e lo sceneggiatore. Il secondo giorno abbiamo avuto Marco Danieli regista de La ragazza del mondo e le giornate successive ci aspetteranno nuovi ospiti. Gli esordienti vengono molto volentieri perché trovano un pubblico che li apprezza nonostante dalla grande distribuzione siano spesso, purtroppo, ignorati.”
 
Sono opere meno mainstream e per questo il vostro è anche un compito molto coraggioso e i giovani fanno una parte davvero fondamentale..
 
“Sì decisamente e i giovani sono parte integrante.
Le proiezioni del mattino, dedicate alle scuole, sono nate inizialmente come una fascia collaterale qualche edizione dopo, nel 2007, anche per merito di un consigliere, una professoressa molto attiva che è riuscita a coinvolgere scuole di Roma e provincia. È tutta un’opera di volontariato fatta da gente appassionata di cinema, da professionisti, come lo sono io, e da altri consiglieri che lo fanno esclusivamente per passione. Senza di questo non esisteremmo e l’aiuto delle istituzioni è veramente molto molto marginale nonostante l’impegno che abbiamo e l’essere divenuti un presidio culturale che dà spazio ai giovani. 
Agli studenti che partecipano la mattina diamo la possibilità di esserne parte attiva, possono scrivere una recensione sui film che hanno visto e nella serata di premiazione premiamo il giovane studente che ha scritto la migliore critica, che poi pubblicheremo sul nostro sito e sulla nostra rivista. 
 
Sempre riguardo le attività complementari abbiamo organizzato un forum con dibattito, mercoledì sera alle 19, vi parteciperanno esperti del settore che dibatteranno sulla tematica del rinnovamento del cinema italiano, soprattutto di quello giovane, che riserva molte speranze.
Venerdì 24 alle 21, invece toccherà alla serata di premiazione. La sede è sempre quella dell’Auditorium di San Leone Magno, in via Bolzano sulla piazza di Santa Costanza, vicino alla fermata B1 della metropolitana e chi vuole venire è ospite.”
 
Il programma nel dettaglio si potrà trovare consultando il sito http://www.cinecircoloromano.it/
 
Chiara Nucera

The Ring 3

Giovedì 16 Marzo 2017 18:54 Pubblicato in Recensioni
Esistono film che hanno la straordinaria capacità di togliere il sonno senza mai mostrare una goccia di sangue, senza eccedere in sequenze splatter. Storie lugubri e ipnotiche, in grado di sedurre anche lo spettatore più scettico per la loro naturale predisposizione al brivido. 
Nel lontano 1991 lo scrittore giapponese Koji Suzuki scrive quello che diventerà uno dei suoi più noti romanzi, Ringu. La storia narrata nel libro ruota attorno all’indagine di Asakawa Kuzuyuki, un giornalista in cerca di risposte sulla misteriosa morte della nipote avvenuta a causa di un attacco cardiaco. Egli scoprirà ben presto che come lei altri ragazzi hanno perso la vita nella stessa modalità ed alla stessa ora. In relazione a questi raccapriccianti decessi c’è una videocassetta, veicolo di una lugubre maledizione capace di provocare cessazione di vita a chiunque la guardi.  Una storia che raccoglierà in poco tempo consensi in tutto il mondo, fino a divenire un manga, e dare vita a una saga di film horror sempre made in Japan. Proprio  nel 1998 esce il primo “Ringu” diretto da Hideo Nakata, destinato a divenire un cult del cinema di genere, spianando la strada a svariati sequel. Nel giro di pochi anni le macabre vicende di Samara seducono anche il territorio d’oltreoceano, e nel 2002 arriva la prima versione made in Usa diretta dal magnetico Gore Verbinski. Il titolo è The ring, e stavolta a indagare sul caso è una donna, Rachel Keller, interpretata da un’intensa Noami Watts. La pellicola convince per la rigorosa cura nel dettaglio, per le ambientazioni, e per la coerenza. Un ottimo remake degno di nota, che lascia il segno, e stuzzica la curiosità anche del pubblico che non conosce la saga giapponese. Il caso di Samara si impianta nell’immaginario degli amanti del cinema horror, terrorizzando un’intera generazione, divenendo fonte d’ ispirazione per molti altri film. 
Così la Paramount Pictures decide di riprovarci, e nel 2017 vede per la prima volta la luce Rings (The ring 3 in Italia), diretto dal giovane regista spagnolo F. Javier Gutiérrez. 
Il lavoro di Gutiérrezz in apparenza si presenta come sequel di The ring 2 (2005), ma nel concreto ha tutte la carte in regola per risultare un remake insapore del primo film del 2002. 
La pellicola, che si allaccia a un leitmotiv di pseudo tensione, è infatti abile solo nel disgustare e stancare per le innumerevoli ingenuità. Lo script è debole ai limiti dell'accettabile, e pone l’accento su un legame piuttosto instabile con il film di Verbinski. Rings ha pertanto le fattezze di una dissertazione approssimativa e sciatta della storia magistralmente narrata nel 2002. L'indagine condotta dai due protagonisti Julia e Holt (Matilda Lutz e Alex Roe), è priva di meticolosità e totalmente incapace a creare situazioni di tensione. Monocorde l'atmosfera che permea la vicenda, come privo di sfaccettature è il personaggio di Samara, maltrattato in termini di particolari ed elementi inquietanti. Eclissata una delle figure più conturbanti del recente cinema horror, Gutiérrez orienta maggiore interesse sulle dinamiche subito precedenti la nascita della strana bambina. Si indaga attorno alle origini e all’identità della madre di Samara, Evelyn, vissuta in una sperduta frazione della California, e protagonista di un'oscura e minacciosa storia.
Forse solo la verità sul passato di Evelyn potrà spezzare la fatale maledizione della cassetta, e placare una volta per tutte l’inarrestabile Samara. 
Ma le ricerche sulla figura di Evelyn e la conseguente ricostruzione del suo passato non vengono restituiti in modo meticoloso e trascinante da poter coinvolgere e inquietare.
Rings tesse una trama di eventi tra loro scollegati e avvolti da uno spesso velo di inverosimiglianza, al punto da intrappolare anche lo spettatore più sprovveduto in un labirinto di noiosa stasi. Un lavoro che purtroppo non riesce a superare la prova, e che non convince neanche un pò.  La paura si genera iniettando piccole dosi di angoscia, giocando per mezzo del turbamento con l'immaginario dello spettatore allo scopo di sorprenderlo  mediante inaspettati shock. Ogni pellicola horror necessita di innumerevoli accorgimenti per non cadere nel banale. Spaventare in mezzi termini, equivarrebbe ad accendere la luce in una notte di tempesta.
 
Giada Farrace

Kong: Skull Island

Giovedì 09 Marzo 2017 16:29 Pubblicato in Recensioni
King Kong, sovrano dell’immaginario collettivo dal 1933 fin da quando dalle mani del maestro Willis O'Brien ne uscì una delle creature in stop-motion più importanti della storia del cinema, torna oggi protagonista in una veste rigenerata, grazie alla buona Cgi dell’Industrial Light&Magic nel nuovo film “reboot” del giovane regista Jordan Vogt-Roberts. L’organizzazione scientifica Monarch, dispendioso reparto degli Stati Uniti alla caccia di creature sconosciute ritenute solo fantasie dalle autorità vigenti, indaga nella regione inesplorata in cui aerei e navi continuano a scomparire, l’Isola dei Teschi. Nella terra dove “Dio non ha finito la creazione”, l'equipe di scienziati e geologi si fa accompagnare dalla squadra Grifone, un gruppo di soldati scanzonati capitananti dal colonnello Packard (Samuel L. Jackason) e da James Conrad (Tom Hiddleston), un ex capitano della S.A.S britannica ‘mercenario’ qualificato a protezione dei civili nelle situazioni ostili. La fotografa di guerra Mason Weaver (Brie Larson) si unisce alla sfortunata spedizione. Superate le nubi dell’ignoto a bordo di elicotteri fatiscenti, nella tradizione, per i nostri eroi si prospetta un viaggio senza precedenti. Presentato senza vergogna dal regista e dal cast come un ‘Monsters Movie’ dove mega lucertoloni, katane giapponesi, indigeni e ‘templi maledetti’ la fanno da padrone, Kong si porta sulle spalle la nostalgia degli anni ‘70 in cui è ambientato. Il montaggio imperfetto e alcune ingenuità nella seconda parte del film si fanno perdonare.  La fotografia omaggia Apocalypse Now (1979) e, come in “Cuore di Tenebra” il romanzo da cui fu tratto di Joseph Conrad (a cui il protagonista di Skull Island “ruba” il cognome), la guerra e la sua inutilità sono al centro di tutta la vicenda. Abituati all’inganno del green screen, si apprezza il fatto che il film sia stato girato in vere location in Vietnam, alle Hawaii e in Australia.  La colonna sonora di Henry Jackman è arricchita da miti senza tempo come “Paranoid” dei Black Sabbath e “Ziggy Stardust” dell’intramontabile Bowie (soltanto due delle nove canzoni di repertorio scelte).  Polvere e  tramonti, tre giorni di avventura “old fashion” nella giungla popolata da creature che si ispirano ai kaiju giapponesi e ne portano le caratteristiche, così da poter immaginare che i prossimi preannunciati seguiti, potrebbero essere la spinta per un futuro scontro fra titani come avvenne in passato (Gamera tai daiakuju Giron-1969). Doveroso il confronto con il più recente  remake del 2005 di Peter Jackson ‘King Kong’, diversissimo sotto tutti i punti di vista. Laddove Jackson puntò su di un’isola chiassosa, dove dinosauri e insetti giganti portavano la sua inconfondibile firma splatter, Jordan si rifà al primissimo Kong, riproponendo scene del classico nell’impianto di una storia totalmente nuova, minimalista, semplice, dove il feroce re dell’isola perde la sua cieca cattiveria primordiale e diventa il simbolo stesso della forza della natura, bellissima e al contempo terribile, a riprova che “il nemico non esiste finché non te lo vai a cercare”. 
Se aspetterete la fine dei titoli di coda non resterete delusi.
 
Francesca Tulli

Autopsy

Mercoledì 08 Marzo 2017 13:41 Pubblicato in Recensioni
L'universo horror ha lungamente esplorato il mondo dei morti per mezzo di pellicole più o meno riuscite. In molti hanno trattato le esperienze post mortem e l'agghiacciante fenomeno della resurrezione degli esseri non vivi, più noti come zombie. Tuttavia pochi lavori di questo genere hanno sapientemente intrapreso la strada del mondo legato alla medicina legale. La figura del cadavere suscita un naturale senso di sgomento in quasi tutti gli esseri umani, conducendo di conseguenza ad uno stato di terrore e ribrezzo. La presenza di numerosi cadaveri contorna sovente l'atmosfera di cimiteri o obitori, ambienti che affascinano per la lugubre caratteristica di essere attorniati dalla morte. Ed è proprio all'interno dell'obitorio Tilden che ha inizio la macabra vicenda narrata dal regista norvegese André Ovredal al suo debutto cinematografico in lingua inglese. Tommy Tilden (Brian Cox)  è un medico legale che esercita da moltissimi anni e che gestisce assieme al figlio Austin (Emile Hirsch) un obitorio collocato proprio al piano inferiore della propria abitazione. Padre e figlio lavorano in simbiosi e con molta passione, un affiatamento che permette loro di vivere e lavorare nel massimo dell’equilibrio mentale. Un giorno lo sceriffo del posto arriva con un caso piuttosto particolare, si tratta del cadavere di una giovane donna in perfetto stato e apparentemente illeso rinvenuto nel seminterrato di un’abitazione protagonista di una scena del crimine. I due dovranno fare i conti con un episodio alquanto anomalo e incongruente, infatti sebbene il cadavere presenti una condizione esteriore di perfetta conservazione, all’interno di esso gli organi sono estremamente danneggiati se non addirittura vessati. Tutti gli elementi a disposizione rimandano ad una morte lenta, dolorosa, procurata da efferrate torture, tuttavia l’impossibilità che queste ultime non abbiano minimamente danneggiato l’involucro esterno pone al centro del caso sempre più interrogativi e perplessità. Nel frattempo fenomeni oscuri avvengono all’interno dell’obitorio, Tommy e Austin Tilder avranno ben presto a che fare con qualcosa di molto più lugubre di uno strano cadavere. Autopsy si presenta come un horror molto diverso, lontano anni luce dalla snervante serialità degli splatter o delle pellicole capaci solamente di saziare il grande pubblico e lasciare a bocca asciutta i veri amatori del genere. André Ovredal realizza un’opera in cui non si rinuncia a tensione e momenti raccapriccianti, ma dove si cerca di canalizzare in modo ricercato il climax proprio nella gestione della suspence. Una prima parte molto particolare e coinvolgente permette di entrare entusiasticamente in un ambiente agghiacciante e allo stesso modo conturbante, quale l’obitorio. La coerenza nell’indagine svolta dai due medici sfiora la perfezione creando un raro momento di curiosità misto a terrore. Autopsy è un film ben realizzato che gode di un ottimo cast, ma che fa della propria forza in maggior misura la capacità di bloccare lo spettatore in uno stato di trepidazione, in cui nulla viene goffamente riposto nel limbo della banalità. 
 
Giada Farrace