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Morte a Sarajevo

Mercoledì 24 Febbraio 2016 14:32 Pubblicato in Recensioni
Non abbiamo ricordo di momenti gioiosi che accumuniamo all’ex Jugoslavia, terra purtroppo maledetta dove il male cova fin da tempi dell'assassinio dell'Arciduca Ferdinando da parte di Gavrilo Princip. Correva l’anno 1914, momento storico di assoluto rilievo, che sancisce l’inizio della prima grande guerra per l’umanità. Nell’Hotel Europa, che fu il centro nevralgico d’accoglienza durante le Olimpiadi Invernali di Sarajevo del 1984, forse unico momento storico di mediatico interesse non belligero, sono in corso i preparativi per la celebrazione del centenario della prima Guerra Mondiale. L’hotel non è in un buon momento economico ed i suoi dipendenti sono pronti a scioperare. Quale momento migliore di questo, per richiamare un po’ di clamore, che consentirebbe ai lavoratori di ottenere lo stipendio che manca da due mesi. Un ferreo direttore sta cercando, in ogni modo possibile, di far saltare la protesta con l’aiuto di una indomita collaboratrice, ahimè figlia della leader del gruppo di manifestanti. Parallelamente agli eventi che avvengono nei corridoi dell’albergo, sulla terrazza si stanno svolgendo una serie di interviste proprio per ricordare la Grande Guerra. Infine per non farci mancare nulla, sono state messe delle telecamere nella suite dove alloggia l’oratore principale, indaffarato a ripetere il suo discorso, che di lì a poco lo vedrà raccontare gli eventi della guerra in Bosnia. 
In questo clima da polveriera, Danis Tanovic, regista delle guerre slave, ha pensato bene di metterci il proprio zampino, dirigendo ed adattando il romanzo “Hotel Europe” di Bernard-Henry Lévy.
 
Il regista premiato con l’Oscar nel 2002 per il memorabile No Man’s Land riceve, per la seconda volta, il Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino. Il primo Orso d’Argento lo vinse nel 2013 con An Episode in the Life of an Iron Picker, pellicola che mostrava i pesanti problemi sanitari della Bosnia-Herzegovina, suo paese d’origine.
 
Morte a Sarajevo non fa altro che mettere in evidenza i pregi ed i difetti di un regista accurato come Tanovic. Cineasta capace di guizzi di grazia e raffinatezza con la macchina da presa, che qui però, ancora una volta, sembra un po’ troppo legato al suo linguaggio. Modus operandi che alla lunga non disturba, ma di fondo non stupisce più come in passato. Rimane comunque un buon sapore, un’essenza di compiuto. Risplendente lucidità nel fotografare i sogni e gli incubi politici di una terra tribolata e senza pace. Si scorge anche la sua mano di esperto documentarista. Attraverso le voci delle interviste mette sul tavolo l’oggettivo che ha disintegrato la Jugoslavia. Con la sua onestà ci regala un “Birdman” incentrato sull’incomunicabilità atavica tra razze.
 
Sviscerando la sceneggiatura, che si sviluppa in una mattinata, si mettono in evidenza la disarmonie odierne del popolo slavo. Dal latino medievale “slavus”, che significa schiavo. Proprio come lo sono le popolazioni, schiave di se stesse. Senza comunicazione. Dialogo obbligato a stare alla base di un muro del quale non si vede la fine. Nei gironi danteschi dell’Hotel Europa risiede il messaggio asciutto e senza fronzoli di come le incomprensioni riescono a sferrare il proprio attacco e di come sotto forma di virus si sono fatte largo nella gente comune.
 
Consigliato a chi piace l’enfatizzazione, segno distinguibile di Danis Tanovic. La storia della Jugoslavia attraverso i suoi discussi monumenti. Anch’essi simboli di destini certi e prestabiliti, come quelli che usa l’autore, che con acume e sagacia imbastisce situazioni delle quali si può presagire l’esito e puntualmente diventano realtà.  
 
 
David Siena

Quando hai 17 anni

Sabato 20 Febbraio 2016 14:21 Pubblicato in Recensioni
L’adolescenza, si sa, è uno dei momenti della vita in cui si cresce a braccetto con la confusione. Esplodono sentimenti sconosciuti e si vive una libertà selvaggia. Una Babele di stati d’animo disordinati, che ci portano a godere di qualcosa di non maturo, ma per questo non necessariamente aspro o sbagliato. Anzi, in quel vivere con spavaldo coraggio si impara a conoscere se stessi con sempre meno vincoli. Ecco, il film di Téchiné (L’Età acerba e La mia stagione preferita tra i suoi lavori più rappresentativi) riesce nell’intento di spezzare quei nodi psicologici, proponendoci una parabola autentica, dove anche la lotta ed un pugno in faccia sembrano essere qualcosa di logico e necessario.
 
Queste turbolenze sono al centro del rapporto tra Damien (Kacey Mottet Klein) e Tom (Corentin Fila). Entrambe vivono in un paese ai piedi dei Pirenei: il primo con la madre Marianne (Sandrine Kiberlain, vista nel sorprendente Polisse), che cerca di sopperire alle mancanze del padre, militare in perenne trasferta; il secondo è figlio adottivo di contadini che non abitano in città. La casa di Tom è sperduta tra le montagne, dove i genitori gestiscono una florida fattoria. Ogni giorno il ragazzo deve fare molta strada per recarsi a scuola. Quando la madre rimane incinta la soluzione più plausibile è quella di alloggiare, fino al termine dell’anno scolastico, con Marianne e Damien. I due diciassettenni sotto lo stesso tetto non si sopportano più di tanto, le scintille erano già partite a scuola e continuano con vigore a casa. Potrebbe essere un problema razziale, dato che Tom ha la pelle mulatta, ma sotto la cenere brucia qualcos’altro: un sentimento innominabile, che fa paura e spaventa i due adolescenti.
 
Quand on a 17 ans vive sulla forza bruta ed allo stesso tempo libera della narrazione di Téchiné e Céline Sciamma. Qui non si fa moralismo, ma si indaga con realismo ed autenticità nel nucleo dei sentimenti più reconditi dei ragazzi d’oggi. Usando l’anno scolastico come strada maestra del film possiamo scoprire, insieme ai due giovani, la loro tendenza sessuale con la rispettiva esplorazione, resa intima da una regia presente, ma non soffocante. Una storia che al suo interno ci mostra personaggi genuini, che vivono in simbiosi con la natura che li circonda e ne influenza i comportamenti. Tom e Damien assorbono quel senso di grezzo e di incolto e lo portano nel loro rapporto. Bravura del settantaduenne Téchité nel confezionare un opera semplice, che si fa notare per la sua legittima naturalità. L’unica nota stonata, che gli si può imputare, è che non cambia mai registro. Perdura nelle sue intenzioni lasciando un po’ indietro l’aspetto emozionale e di pathos, che passa di fianco allo spettatore, ma non lo tocca completamente nel vivo. Appiattimento temporaneo che non fa sorgere a sole caldo il film.
 
Di Quand on a 17 ans si ricorderà di come sia estremamente affascinate scoprire se stessi. Un amore sordo, che finalmente sente qualcosa, anche se solo un leggero soffio di vento sussurrato tra le montagne. Consigliato a chi sa che da sotto alla neve prima o poi apparirà un prato verde. L’autore francese qui mette le basi per coltivarlo e mantenerlo forte, parlando senza barriere e con sincerità ad ognuno degli spettatori in sala. 
 
David Siena
 

Animali fantastici e dove trovarli

Giovedì 17 Novembre 2016 14:24 Pubblicato in Recensioni
Svampito e  anticonvenzionale anche per il mondo magico, Newt Scamander (il premio oscar Eddie Redmayne) è un “magizoologo” esperto di creature fantastiche. Vuole scrivere un saggio“Animali Fantastici e Dove trovarli” che sarà nel futuro un libro di testo per la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts dove studierà il famoso Harry Potter.  J.K. Rowling la celebre scrittrice che con i suoi otto romanzi ha incantato due generazioni (dal 1997) firma una sceneggiatura del tutto inedita, per un progetto che farà da base ad una serie di 5 film. Approdato a New York nel 1926 Scamander, porta con sé una strana valigetta di pelle, all’interno le sue creature bussano, scalciano, fanno versi, smaniano dalla voglia di uscire. Lo Snaso, una sorta di morbido ornitorinco cicciotto, attratto come le gazze da tutto ciò che luccica riesce nella fuga e trascina dietro di sé una serie di mirabolanti conseguenze. Scamander attira l’attenzione del M.A.C.U.S.A. (il Magico Congresso  degli Stati Uniti D’America) e finisce sotto accusa, Tina (Katherine Waterston)  ex Auror (gli incaricati contro le Arti Oscure) vede nel seguire il caso una nuova occasione per riscattarsi e tornare nell’ordine. Intanto Percival Graves (Colin Farrell) spietato investigatore del mondo magico, trama nell’ombra per evitare una guerra tra umani e Babbani, ignari che esista la magia ma sempre più consapevoli che  possa esistere una qualche forza soprannaturale e maligna. Quello che manca alla pellicola diretta da David Yates, regista degli ultimi quattro film di Harry Potter, è la novità. Tutto sembra attingere dal calderone delle idee passate, il senso di déjà vu potrebbe essere voluto perché il mondo della Rowling si deve distinguere da quello degli altri film di genere. L’incredibile e appassionante varietà di creature, realizzate grazie all’aiuto della CGi mischia la giusta dose di tenerezza ad una sottotrama più cupa e, come sempre è accaduto nella saga, più matura e adulta. Al centro il tema della diversità, le inclinazioni non rispettare, le passioni represse e le attitudini castrate che generano mostri. Deliziosamente british, ricrea le atmosfere fumose degli anni ‘20, costumi e scenografie da teatro rendono qualsiasi  elemento di fantasia assolutamente credibile e fruibile per chi conosce bene questo mondo e chi invece ci si affaccia per la prima volta. 
 
Francesca Tulli

Premiere di Bar(n)Out alla Dolce Vita Gallery

Giovedì 24 Novembre 2016 11:24 Pubblicato in News
Venerdì 25 novembre, alle 18.30, la primiere del corto verrà ospitata dalla Dolce Vita Gallery, in via Palermo 41, a Roma, luogo dedicato all’arte e alla fotografia di Marcello Geppetti, grande fotoreporter italiano che ha raccontato gli anni della Dolce Vita come nessun altro. 
 
 
Scardinare la narrazione romanzata della periferia romana, in controtendenza con gli ultimi anni di film e serie tv.  Vivere ai margini è difficile, ma non è la criminalità a vari livelli la soluzione. 
 
Da qui l’idea di Bar(n)Out duepuntoniente: 4 storie e 4 personaggi, tra cui una prostituta, un pappone/spacciatore, un impiegato e un normalissimo ragazzo dell’hinterland della Capitale. Tutti diversi ma tutti spinti da una misteriosa forza di gravità che ha come centro la periferia romana con le sue contraddizioni, le sue regole e la sua schiettezza.
 
La Roma di periferia è ancora protagonista grazie al primo cortometraggio di Valerio Nicolosi, regista e co-sceneggiatore insieme a Paolo Verticchio di  Bar(n)Out duepuntoniente, tratto dall’omonimo libro di racconti e foto, edito da Nuova Cultura e pubblicato qualche anno fa dagli stessi autori. 
 
Valerio e Paolo conoscono molto bene la periferia della Capitale: sono infatti entrambi nati e cresciuti al Tufello, quartiere popolare e proletario situato a Nord Est,  e attraverso le immagini e le parole cercano di raccontare quella parte di mondo in cui vivono o hanno vissuto e che amano, nel bene e nel male. 
 
La serata, moderata dal "padrone di casa" Marco Geppetti, figlio di Marcello Geppetti, saranno presenti il regista e co-sceneggiatore Valerio Nicolosi e lo sceneggiatore Paolo Verticchio.
 
Oltre alla proiezione,  verrà inaugurata anche l’omonima mostra fotografica di Valerio Nicolosi tratta dal libro che dà il titolo al cortometraggio. 
 
 
Bar(n)Out duepuntoniente nei giorni scorsi è stato premiato come “miglior opera” e “miglior attrice” protagonista al Festival Internazionale Feel the Reel di Glasgow ed è in finale al Festival Short to the Point di Bucarest. 
La realizzazione del cortometraggio è stata possibile grazie al supporto tecnico dell'Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani di cui sono membri quasi tutti i componenti della troupe. 
Le spese sono state affrontate grazie ad un crowdfunding lanciato in rete.  
 
 
 
Il teaser del cortometraggio https://vimeo.com/181514205
Il backstage del cortometraggio https://vimeo.com/183285745