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Il cliente

Sabato 21 Maggio 2016 11:17 Pubblicato in Recensioni
Teheran, giorni nostri. Una giovane coppia deve fuggire dalla propria abitazione, causa pericolo imminente di crollo dell’edificio. Costretti a cercare con urgenza un posto dove stare, Emad (Shahab Hosseini) e Rana (Taraneh Alidoosti), chiedono se è possibile dormire per qualche notte nel teatro dove entrambe stanno preparando lo spettacolo “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller. Il responsabile offre loro una sistemazione più comoda: un appartamento lasciato libero da una donna, che con l’intensificarsi della narrazione, scopriremo avere avuto un passato a dir poco permissivo. Un sinistro episodio, che ha come scena del misfatto proprio la nuova casa, cambierà per sempre la vita dei coniugi.
 
Premio per la miglior sceneggiatura ad Asghar Farhadi e miglior attore a Shahab Hosseini (egregia prova da navigato attore teatrale) al Festival di Cannes 2016, dove il film era in concorso per la Palma d’Oro.
 
Asghar Farhadi, regista di A Separation (Golden Globe e Oscar miglior film straniero nel 2012) e di Il Passato, torna a descrivere il proprio paese, un Iran profondamente avvinghiato alla propria cultura. Mondo segnato da una ben definita ideologia, che abbraccia calorosamente la religione. Su questa base elabora, con acume da esperto di teatro, un’intricata drammaturgia affiancando la vita di due giovani innamorati a quella della famiglia protagonista dell’opera di Miller “Morte di un commesso viaggiatore”. Metacinema come base per un revenge movie guidato da un cuore ferito, che non riesce a darsi pace.
 
L’autore iraniano, come ormai da qualche anno a questa parte, ci regala un lungometraggio contraddistinto da una conoscenza profonda del narrare. Efficacia del testo mai celata e resa preziosa dai dialoghi e dal saper descrivere complicati rapporti umani. Si rimane avvinghiati ai dettami della società, che poi sono proprio la causa scatenante del divampare delle frustrazioni. Lo sviluppo del testo è stupefacente, un thriller disseminato di complessi labirinti personali. Viaggi conservatrici con iconici cartelli affissi su ogni protagonista. Un pannello da optometrista stampato addosso con la scritta più visibile che dice: “Vergogna”. Sotto più sfuocate, ma presenti, le parole: fallimento ed insoddisfazione. 
 
Farhadi ci insegna come un piccolo gesto può avere delle conseguenze enormi e modificare la vita di molte persone. Una minuscola fiamma che poco a poco prende aria bruciando tutto quello che si è costruito con amore e perseveranza nella vita. Qui si arriva con un groppo in gola, tensione alle stelle costruita attraverso una impressionante conoscenza delle dinamiche umane, che stordisce e lascia impietriti. Un dettagliato sguardo nell’anima della propria gente tradotto con un linguaggio delle immagini unico ed esaustivo.
Emad ad un certo punto vorrebbe morire perché ha fallito come il commesso viaggiatore, che trova nella morte la riparazione a tutto. La dipartita morale di un docente, aimè troppo idealista.
 
The Salesman è il film da non perdere. Perla di rara bellezza nel palinsesto cinematografico contemporaneo. Ad oggi non è ancora prevista una data di uscita italiana, ma siate pronti ad osservare il mondo frantumato del coraggioso cineasta iraniano, colmo di difficoltà nel gestire la propria famiglia anche quando appartieni ad una classe media ed istruita. La Palma d’oro morale.
 
David Siena
 

Oceania

Giovedì 22 Dicembre 2016 10:53 Pubblicato in Recensioni
Piccola, arruffata nei suoi capelli ricci, incantata dai racconti della sua nonna pazzarella, Vaiana intenerisce il pubblico al primo sguardo. Ron Clemets e John Musker navigatori esperti dell'animazione Disney, autori di Aladdin (1992) e della Sirenetta (1989). Tornano a dirigire le acque incantate dell'oceano in CGi, con un occhio sulle avventure di questa piccola eroina avventata. Il "malvagio" Maui, semidio trasformista che può assumere fattezze animali, ha rubato il cuore alla dea della terra. Vaiana figlia del capo villaggio scelta dal destino, si convince di affrontare l'imminete carestia causata da questa catastrofe, cercando una soluzione oltre il Riff di cascate, dove nessuno si era mai (fino a prova contraria) spinto prima. Vaiana è l'eronia femminile che rispetta i canoni della donna imbattibile, che ora fa presa sul pubblico. Dolce e un po' svitata vive questa Odissea con eccessiva tranquillità, ma fa la conoscenza di personaggi variopinti, rubati a alle atmosfere di "Alla ricerca di Nemo" (2013). Colpisce la qualità grafica del prodotto, solo 5 anni fa, hanno confessato i registi  durante la conferenza stampa, non sarebbe stato possibile animare l'oceano con queste possibilità, nonostante i criteri per realizzare l'acqua siano gli stessi di 27 anni fa: calcolare trasparenza, tonalità di colore e fluidità. La colonna sonora di Mark Mancina ci trascina nel mood e la voce “cantata” di  Vaiana in italiano è di Chiara Grispo, giovanissima sfornata dalla fabbrica di Amici 15. I rimandi musicali però strizzano l'occhio  anche al passato, il granchio Tamatoa, canta un inno a  ciò che  “brilla” ("Shiny") firmato da Lin-Manuel Miranda dichiaratamente ispirato (nella versione originale) al sound di David Bowie. Nota di stra merito, all'utilizzo della animazione tradizionale sui tatuaggi “senzienti” di Maui, che si muovono sul suo petto come i vasi greci nelle coreografie di Hercules (1997). Ci si domanda sempre perché i comprimari svolgano un ruolo importante ma non troppo per dare spazio a eroine femminili troppo piene di sé, e il dubbio resta. La forza di Moana però è nel cantato, nelle atmosfere tropicali, nel bisogno di contatto con la natura che ci fa inevitabilmente arrivare, fare un salto ai tropici a dicembre forse sarebbe troppo ambizioso per molti di noi, ma si esce dalla visione piacevolmente riscaldati da un sole digitale.
 
Francesca Tulli

Rogue One: A Star Wars Story

Giovedì 15 Dicembre 2016 10:32 Pubblicato in Recensioni
"Cantami o diva" di quel pugno di Ribelli coraggiosi, che rubarono i piani custoditi dalla Principessa  Leia per distruggere la Morte Nera, la stazione da battaglia in grado di polverizzare interi pianeti. Gareth Edwards, giovanissimo regista esperto di storia e film bellici, rispettoso, conservatore (nell'accezione positiva),  nostalgico e appasionato fruitore della fantascienza, rimaneggia dagli archivi tutto il materiale inutilizzato nel 1977 per creare “Una Nuova Speranza”, primo film di quella saga che ha cambiato la vita di molti. La fotografia è da urlo, ogni inquadratura dello spazio è inconfondibile . "Guerre Stellari" esce dai dipinti di Ralph McQuarrie, niente che possa ricordare un'altra space opera o storia ambientata nelle profondità dello spazio. Questo è l'apice della vita di un gruppo sfaldato, di personaggi nuovi, diversi l'uno dall'altro, capitanati da  Jyn Erso (Felicity Jones) figlia di uno scienziato che serve suo malgrado una causa più grande e distruttiva, quella del malvagio Impero Galatitco e di Cassian Andor (Diego Luna) spia dell'Intelligence dell' Alleanza Ribelle. Un nucleo di persone che come da tradizione "Si trovarono nel luogo sbagliato nel momento sbagliato e divennero eroi" (incipit della versione a  romanzo di "Una Nuova Speranza" ndr.). Non ci sono cavalieri Jedi, non ci sono supereroi, solo persone che combattono una guerra che non possono vincere,  senza nulla da perdere mossi solo dalla "Speranza". L'Impero in splendida forma, grazie alla presenza di Ben Mendelsohn nei panni del Direttore Orson Krennic, nazisti spietati e non antagonisti macchietta di "un film pomeridiano per dodicenni" (prima di indignarvi sappiate che questa è una definizione data da George Lucas in persona). Nella prima parte d'impatto troviamo creature e droidi, citazioni senza retorica, navi, pianeti, animatroni, maschere e pupazzi a conferma che nel cinema nulla è obsoleto. Abbiamo davanti anche vecchie conoscenze  grazie all'uso della teconologia, siamo nel 2016 e possiamo 'resuscitare' personalità che necessariamente dovevano comparire grazie alla sapienza della ILM (si chiama "Industria della luce e della magia" per una ragione dopotutto) . Questo fa paura, gli attori in carne ed ossa non possono nel futuro lasciare il proprio lavoro alle loro controparti in CGi, ma qui funziona, serve, una spaventosa mistificazione che crea continuità. Seconda parte incredibile, piena di suggestioni per chi conosce questo mondo e chi ci si affaccia per la prima volta. Mescolanza di antico e moderno, sintesi perfetta della precisa concezione di quello che è Star Wars, quando passando dal nulla ad Episodio IV negli anni settanta, c'era il bisogno di film così  almeno quanto spasmodicamente ce n'è oggi. Non sorprende la reazione dei fan, divisi tra l'entusiasmo e la delusione de "Il Risveglio della Forza" (2015) questa volta unanimi e concordi, ci troviamo difronte ad un "miracolo" . Come fu per il bellissimo Mad Max (2015) il film tocca  ogni corda giusta, si passa dal western a Kurosawa, con una crudezza di altri tempi. Esalta commuove e ci fa sentire un tutt'uno con la Forza.
 
Francesca Tulli

Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali

Giovedì 15 Dicembre 2016 10:44 Pubblicato in Recensioni
Jake (Asa Butterfield) è un ragazzo disagiato, preso di mira dai bulli, appassionato della natura e delle meraviglie del mondo, suo padre e sua madre lo mandano in cura da uno psicologo convinti che il problema sia lui e non il brutto mondo dove vive. L'unico a capirlo è suo nonno, sopravvissuto ai mostri dei campi di sterminio in Polonia, a cui racconta della sua strana esperienza con Mrs Peregrine, una bellissima maestra (Eva Green) in una scuola di bambini peculiari in grado di fare cose straordinarie. Questo il soggetto chiave del libro di Ramson Riggs romanzo bestseller in tre parti che con questi presupposti ha attirato la fervente immaginazione di Tim Burton a cui queste tematiche hanno sempre fatto gola.
 
Terribilmente fuori dagli schemi, la casa dei bambini speciali vanta una fotografia eccellente. Ogni dettaglio è la firma inconfondibile del celebre  ed eccentrico regista che, nella prima parte, sfoggia navi fantasma, storie terribili di mostri mangia occhi, orologi che bloccano il tempo, calzette a righe bianche e nere e altri personaggi tipici. Uno per tutti quello di Emma Bloom, leggera come l'aria, bionda con occhi grandi, vestita deliziosamente anni 40 e ancorata a terra da scarponi gotici con le zeppe.
 
Burton unisce una non sensazionale CGI a due scene in stop Motion, lui stesso durante la conferenza stampa ha dichiarato di preferire le tecniche tradizionali, palpabili, reali, ma troppo lente nel processo da realizzare rispetto alle tecnologie moderne.
 
Peregrine ha due fasi sostanziali la prima parte drammatica consumata, sporca e polverosa con la bellezza di Big Fish (2003) e le tematiche della fabbrica del Cioccolato (2005) e una seconda parte apparentemente sconnessa, dove Samuel L. Jackson irrompe con una performance ridicolmente surreale. Se a qualcuno è potuta sembrare banale, la chiusa in realtà è un bel giro su una giostra, castrato forse dall'eccessivo cambio di toni, dal dramma alla comicità, l'assurdo la fa da padrone scostandosi dal romanzo ma restando ad ogni effetto una pellicola stravagante nel pieno stile del maestro. Un film che forse non ha potuto convincere i più ma che verrà forse rivalutato nel futuro come un 'cult' dove c'è molto di più di quello che sembra.
 
Francesca Tulli