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4021. Anteprima al Cinema Flavio

Mercoledì 01 Febbraio 2017 21:44 Pubblicato in News
Si terrà giovedì 2 febbraio 2017 al Cinema Flavio (Via Giovanni Mario Crescimbeni, 19, Roma) alle ore 21.00, la proiezione in anteprima di "4021”, film indipendente no-budget scritto e diretto da Viviana Lentini, da un’idea di Simone Pulcini. L'idea nasce dalla necessità di raccontare una realtà lavorativa difficile realmente affrontata dal protagonista Simone Pulcini. Una storia ispirata a una realtà vera ma condita di intrecci inaspettati e tanta fantasia. Il film verrà proiettato dal 2 all’8 febbraio 2017 presso il Cinema Flavio. 
 
 
“4021” racconta la storia dell’agente di commercio codice “4021”, un ragazzo solo e disperato che sta per mettere fine alla sua vita in una spiaggia vicino Roma. Ma qualcosa dentro di lui lo ferma. Una voce, una sensazione, arrivate a strappargli via il coraggio o la sua totale assenza. “4021” passa in macchina, in giro per Roma, la maggior parte del suo tempo: vendere prodotti alimentari e incassare le fatture dai clienti che serve è il suo obiettivo quotidiano. Il ristoratore Agostino, suo fedelissimo cliente da anni, deve saldargli le fatture della merce acquistata molti mesi prima e per le quali l'agente 4021 si è fatto garante con la propria azienda; nonostante le sue innumerevoli promesse, anche questa volta Agostino sembra non volerne sentir parlare di saldare il suo debito. Per entrambi, questa, non sarà una comune giornata...
 
“4021” è un dramma farcito di scene divertenti ed esilaranti intervallate da monologhi ricchi di sensibilità, che ci svela l’ancora presente riflesso della crisi sociale nella testa e nel cuore di un giovane uomo che potrebbe essere uno di noi. Tra i protagonisti del film, oltre a Simone Pulcini, anche la giovane Elisa Billi (Il paradiso delle signore), Mirko Frezza (Il più grande sogno) e Luca Di Capua (Zio Gianni, The Pills – Sempre meglio che lavorare). 
 

Berlinale 2017: i film in concorso

Sabato 21 Gennaio 2017 18:08 Pubblicato in News
Berlinale 2017 ci dà qualche anticipazione su quello che sarà il programma ufficiale rivelandoci i nomi dei film in concorso che parteciperanno alla kermesse dall' 9 al 18 febbraio prossimi. 
Tra gli autori più attesi Aki Kaurismaki e la presenza di Richard Gere, Penelope Cruz e Samuel L. Jackson ma spicca la mancanza di opere italiane nel programma. 
 
 
Ana, mon amour di Călin Peter Netzer (Romania, Germania, Francia)
On the Beach at Night Alone di Hong Sangsoo (Corea del Sud)
Beuys di Andres Veiel (Germania) documentario 
Colo di Teresa Villaverde (Portogallo, Francia)
The Dinner di Oren Moverman (USA)
Django di Etienne Comar (Francia) opera prima
El bar di Álex de la Iglesia (Spagna) – fuori concorso
Félicité di Alain Gomis (Francia, Senegal, Belgio, Germania, Libano)
Final Portrait di Stanley Tucci (UK, Francia) fuori concorso
Have a Nice Day di Liu Jian (Repubblica Popolare Cinese) - animazione 
Helle Nächte di Thomas Arslan (Germania, Norvegia)
Joaquim di Marcelo Gomes (Brasile, Portogallo)
Logan di James Mangold (USA) – fuori concorso 
Mr. Long di Sabu (Giappone, Hong Kong, Taiwan, Germania)
The Party di Sally Potter (UK)
Spoor di Agnieszka Holland (Polonia, Germania, Repubblica Ceca, Svezia, Repubblica Slovacca)
Return to Montauk di Volker Schlöndorff (Francia, Germania, Irlanda)
Sage femme di Martin Provost (Francia, Belgio) fuori concorso 
T2 Trainspotting di Danny Boyle (UK) fuori concorso 
On Body and Soul di Ildikó Enyedi (Ungheria)
The Other Side of Hope di Aki Kaurismäki (Finlandia, Germania)
Una mujer fantástica di Sebastián Lelio (Cile, Usa, Germania, Spagna)
Viceroy’s House di Gurinder Chadha (India, UK) fuori concorso
Wilde Maus di Josef Hader (Austria) – opera prima
 
Il Presidente della Giuria, che succederà a Meryl Streep, sarà il regista, nomination agli Oscar, Paul Verhoeven. 
 
Tra gli autori più attesi spicca il finlandese Aki Kaurismaki, padre del ‘Miracolo a Le Havre’, con un film dalla tematica attualissima incentrata sull’incontro tra un semplice cittadino e un uomo in cerca di asilo. Tra le star spiccano invece Richard Gere, in ‘The Dinner’ di Oren Moverman, Penelope Cruz in ‘La Reina de Espana’ di Fernando Trueba e Samuel L. Jackson in qualità di voce narrante in ‘I am not your negro’. 
 
Maggiori informazioni sul sito www.berlinale.de

Arrival

Sabato 10 Settembre 2016 15:55 Pubblicato in Recensioni
Arrival di Denis Villeneuve (Sicario - 2015, la Donna che canta - 2010) era tra i film più attesi della Mostra di Venezia edizione 73. Con grandi aspettative è sbarcato al Lido e ci è restato a pieni meriti. Il regista canadese, ancora una volta, ci ipnotizza trasmettendo una tensione che dal primo all’ultimo minuto fa mancare il fiato. Troppo celebrale e con la croce di essere un sci-fi, per entrare nel palmares dei premi. Peccato perché sarebbe stata l’occasione per andare oltre le barriere e razionalizzare che il cinema odierno è qualcosa di più di una telecamera fissa e che la genialità sta anche in altri mondi. 
 
Improvvisamente arrivano sul pianeta Terra diverse navi aliene. Questi mezzi extraterrestri hanno la forma  di una melanzana gigante e fluttuano a pochi metri dal suolo. Una paura collettiva accomuna tutti i paesi del mondo, che si vedono costretti ad organizzarsi per difendersi. Prima di intraprendere una strada bellicosa, gli stati più potenti cercano di stabilire un contatto con questi esseri. Il colonnello Weber degli Stati Uniti (Forest Whitaker) chiede aiuto a Louise Banks (Amy Adams), affermata linguista che già in passato aveva collaborato con il governo. Decifrare il linguaggio degli ospiti sarà impresa ardua anche per la migliore. Trepidazione e curiosità invadono l’animo della donna nel momento del contatto con gli eptapodi. Il dono di Louise sta nel tradurre l’intraducibile e dentro questo c’è qualcosa per se stessa e anche per noi.
Il resto è tutto da scoprire, compresi gli ignoti e sorprendenti viaggi che la pellicola ci regala.
 
Il film e tratto dall'antologia di racconti Stories of Your Life di Ted Chiang. Eric Heisserer ne ha curato l’adattamento cinematografico in perfetta coesione con lo stile di Villeneuve, riuscendo con un perfetto equilibrio nella narrazione, a nascondere gli indizi che portano all’apertura della scatola finale. Una sorta di M. Night Shaymalan elegante.
 
Il fiore all’occhiello di Arrival è senza dubbio, come già accennato in precedenza, la regia chirurgica del talento canadese. Uno sci-fi raro, forse unico, con contaminazioni nolaniane che si fanno largo in quello che si può definire un trip completo. La direzione è focalizzata e concentrata. Con pochissimo materiale costruisce un climax che ascende ad elevate quote di trazione, rimanendoci ed espandendosi scena dopo scena.  
Villeneuve ha una visione di per sé aliena, non umana, un occhio scrutatore che si differenzia dal parco dei registi contemporanei. Tende a dare, ma anche ad avere: confeziona film per tutti e strizza l’occhio all’autorialità. La sua conforme illeggibilità è uno dei suoi segni distintivi. Qui inserisce inquietanti momenti horror, che by-passano le classiche cornici della fantascienza per ricrearla a sua immagine e somiglianza.
 
L’invasione aliena può essere anche vista come metafora degli avvenimenti sconvolgenti che la terra sta subendo negli ultimi 15 anni, dopo il nefasto 11 settembre 2001. Argomento attualizzato in chiave cine-fantascientifica. Quest’atmosfera di terrore e paura è resa più vivida grazie anche alla colonna sonora dell’islandese Jóhann Jóhannsson (compositore che ha curato buona parte dei film di Villeneuve). Il tema musicale è un vero protagonista, sempre presente al fianco della linguista e del matematico Ian (Jeremy Renner), trasmette dentro e fuori lo schermo disagio ed un’aliena inquietudine.
 
Nemici o amici? I grossi poliponi protagonisti di Arrival si riveleranno solo nel mese di Gennaio al pubblico italiano. Nel frattempo si possono solo lodare tutte le incognite del caso. Rebus magistralmente gestito che gioca con il tempo e la consapevolezza. Le scelte consapevoli sono esattamente il centro dell’attenzione di questa pellicola, decisioni che non hanno un giusto o sbagliato universalmente riconosciuto e nella loro accettazione risiede l’essenza della vita, bella o brutta che sia.
 
David Siena

Silence

Mercoledì 11 Gennaio 2017 22:47 Pubblicato in Recensioni
Silenzio, grilli e cicale, questa è la musica estiva che accompagna ancora oggi la campagna Giapponese, il silenzio di “Dio” è al centro del romanzo scritto da Shusaku Endo “Chinmoku” (in italiano “Silenzio”) del 1966, oggi adattato da Martin Scorsese nel suo omonimo film. Due giovanissimi Gesuiti portoghesi, Padre Sebastiao Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Francisco Garrpe (Adam Driver) con la guida di un lunatico giapponese convertito Kichijiro (Yosuke Kubozuka), partono per le sperdute isole del Sol Levante alla ricerca del loro maestro Padre Ferreira (Liam Neeson), convinti che le voci sul fatto che egli abbia abiurato siano solo calunnie. Trovano un paese dove i Cristiani vengono perseguitati, uccisi, come ai tempi dell’antica Roma, costretti a rinnegare il proprio dio e mandati a morire, in nome di una religione improntata anni prima di cui non conoscono neanche il vero dogma. Quello che doveva essere una missione di soccorso, diventa la disperata ricerca di “predicare il vangelo ad ogni creatura” anche a coloro che non possono comprenderlo per una distanza culturale oltre che logicamente, linguistica. Ne esce un ritratto storico ma anche indirettamente attuale del Giappone, che spiega le vere ragioni sul perché questa evangelizzazione non abbia funzionato. Tutt’oggi l’approccio alle religioni occidentali resta in Oriente difficile da interpretare nel giusto modo (eccezion fatta per alcuni, ne è un esempio l’autore del libro). Con le sue tre ore di durata, il film passa dall’essere interessante al somigliare ad un documentario. Girato a Taiwan (nei teatri della CMPC) dove lo scenografo italiano Dante Ferretti ha ricostruito il Giappone del XVII secolo le locations risultano credibili ma monotone. La totale assenza di colonna sonora, crea un’atmosfera per riflettere ma viene spezzata dalla narrazione e dai pensieri in prima persona del protagonista che accompagnano lo spettatore senza permettere la totale immersione. La crudezza delle torture inflitte ai fedeli viene rappresentata senza la macabra voglia di stupire, permettendo la visione del film a tutti, anche a scopo didattico. Non c’è dubbio sul fatto che una storia così (il romanzo è un bestseller) avrebbe prima o poi attirato l’attenzione del cinema e sarebbe stata tradotta in un film, Scorsese si dimostra un professore valente ma quello che manca è la tenerezza, la pellicola non fa commuovere. Jay Cocks, lo sceneggiatore a cui dallo stesso regista sono state affidate sfide ben più difficili e riuscitissime nel corso degli anni (per citarne una ‘L’età dell’innocenza’ nel 1993), qui si trova a dover adattare un testo forse troppo rigoroso a dimostrazione che la traslazione da un'opera giapponese ad un un film americano è ancora difficile, perfino per un premio Oscar.
 
Francesca Tulli