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Schiacciata da un violento conflitto con la Francia, l’Inghilterra è alle prese con un’importante decisione politica da prendere, se continuare a combattere al fronte o porre fine una volta per tutte alla guerra. Corre il primo decennio del ‘700, periodo contrassegnato da una situazione politica e militare ai limiti del gestibile, la quale fa da contraltare all’ovattato clima di frivolezza e svago presso la corte della Regina Anna (Olivia Colman), creatura infantile e volubile dedita in modo fedele solo al sollazzo incessante. Al suo fianco la fedelissima e sagace Lady Sarah Churchill (Rachel Weisz), amica intima nonché principale responsabile delle più importanti decisioni politiche a corte. Sarah è la mente del sistema politico e militare dell’Inghilterra, stratega animata da un forte temperamento maschile e da un’innata inclinazione al potere. Il saldo rapporto tra la regina Anna e Sarah Churchill subirà un drastico scossone con il sopraggiungere a corte di Abigail Masham (Emma Stone), giovane dalle radici aristocratiche ora al servizio della corte inglese. La ragazza si dimostrerà da subito un’ottima manovratrice, e assetata di brama otterrà con estrema semplicità il favore della regina, conquistando la sua più totale fiducia a danno della Churchill. Una vera sorpresa l’ultimo film realizzato da Yorgos Lanthimos, presentato alla 75 esima Mostra del Cinema di Venezia e vincitore del Leone d’Argento Gran premio della giuria. Dopo aver diretto un’opera tanto gelida quanto feroce come Il sacrificio del cervo sacro, il regista greco torna dietro la macchina da presa con un approccio sempre denso di cinismo, ma volto in tal caso a cogliere una microrealtà (quella di corte), contornata da numerosi aspetti esilaranti. La regina Anna mostrataci da Lanthimos, è una figura capricciosa ma buona, una donna puerile intrappolata all’interno di un ambiente artificioso e infido. Olivia Colman si dimostra all’altezza di un personaggio sfaccettato e comico, restituendo un ritratto femminile personale e mai discrepante. Ottima prova interpretativa anche per Rachel Weitz ed Emma Stone, entrambe esilaranti e allo stesso modo spietate da sembrar avvinte da sortilegio. The Favourite è pertanto un film che dispone di un ritmo perfetto, scorrevole e coinvolgente, merito sopra ogni cosa di una sceneggiatura robusta. Un dettagliato affresco su una sfida tra donne, un gioco di potere spietato e crudele che fa della brama il suo letale veleno.
Giada Farrace
Manca oramai poco alla notte degli Oscar 2019, una delle cerimonie più importanti del panorama cinematografico mondiale. La consegna delle statuette si terrà il prossimo 24 febbraio, ma in attesa della prestigiosa premiazione scopriamo quali saranno i film e gli attori candidati. Tra i film più nominati in assoluto quest’anno spiccano titoli quali La favorita, Roma, Vice e a gran sorpresa Black Panther, che agli occhi dei più risulta forse fuori contesto in una delle nomination più rilevanti. Muovendo dalla categoria miglior film i candidati sono otto, e rispettivamente BlacKkKlansman di Spike Lee, il sopracitato Black Panther diretto da Ryan Coogler, il fortunato Bohemian Rhapsody, l’eccentrico e pungete The Favourite-La favorita di Lanthimos, l’acclamato Green Book, Roma di Alfonso Cuarón, l’esordio alla regia di Bradley Cooper A star is born ed infine il brillantissimo Vice-L’uomo nell’ombra. Altra fertile categoria è quella della miglior regia che vede quest’anno come nominati Spike Lee, Pawel Pawlikowski, Yorgos Lanthimos, Alfonso Cuarón e Adam McKay. A contendersi la statuetta per il miglior attore protagonista Christian Bale per Vice, Bradley Cooper per A star is Born, Willem Dafoe per Van Gogh-Sulla soglia dell’eternità, Rami Malek per Bohemian Rhapsody e Viggo Mortensen per Green Book.
Nella categoria miglior attrice protagonista in lizza Glenn Close per The Wife, Yalitza Aparicio per Roma, Olivia Colman per La Favorita, Lady Gaga per A star is born e Melissa McCarthy per Can you ever forgive me?. Le cinque candidate per l’oscar alla miglior attrice non protagonista sono invece Amy Adams per Vice, Marina De Tavira per Roma, Regina King per Se la strada potesse parlare, Emma Stone per La favorita e Rachel Weitz anch’essa candidata per La favorita. Per la miglior interpretazione maschile da non protagonista spiccano i nomi di Mahershala Ali per Green Book, Adam Driver per BlacKkKlansman, Sam Elliot per A star is Born, Richard E.Grant per Can you ever forgive me? e Sam Rockwell per Vice. In lizza per la miglior fotografia cinque film che hanno fatto dell’immagine uno dei proprio cardini quali Cold War, La favorita, Il primo uomo, Roma e A star is Born. Tra i nominati per il miglior film in lingua straniera Opera senza autore di Florian Henckel von Donnersmarck, Affari di famiglia di Hirokazu Kore-Heda, Capernaum di Nadine Labaki, Roma di Alfonso Cuarón e Cold War di Pawel Pawlikowski. Anche quest’anno protagonisti indiscussi della corsa alle prestigiose statuette troviamo due film che hanno riscosso grandi consensi alla 75esima edizione della mostra del cinema di Venezia, ossia Roma, film vincitore della kermesse e La favorita, entrambi con il maggior numero di nomination agli oscar. Cedono il passo A star is born e Bohemian Rhapsody con meno candidature, mentre First Man di Chazelle rimane il grande assente di questa edizione. Non rimane altro che attendere il 24 febbraio per conoscere le sorti di una delle edizioni più vivaci e pungenti degli ultimi anni, auspicando che i nostri favoriti abbiano la meglio.
Giada Farrace
Sono due gli elementi che rendono un esperimento cinematografico riuscito e sfaccettato: l’ambizione e il coraggio. Ancora ben pochi film in Italia hanno il pregio di accettare nuove sfide, di mettere in discussione i dettati stilemi della narrazione. Matteo Rovere è uno dei pochi che ha deciso di superare quegli stilemi e di spingersi oltre. Il primo re è il più diretto tentativo di estensione e fusione di nuovi percorsi narrativi. Attingendo ad un’antichissima culla di mitologia e storia, Rovere dirige un film in cui viene raccontato ciò che avvenne prima della fondazione di Roma, prima della nascita dell’impero più vasto e imponente di sempre, ossia quello romano. E’ la storia di due gemelli, Romolo e Remo, che vivono nei pressi del fiume Tevere allevando capre. A seguito di una violenta alluvione, i due si ritroveranno prigionieri sulle rive della città di Albalonga, luogo dei Guerrieri di ferro. Costretti a prendere parte ai tremendi culti della Triplice Dea, Remo e Romolo riusciranno a sfidare la sorte, combattendo contro le guardie e scampando alla morte assieme ad altri fuggitivi. Ma il volere implacabile degli dei riserverà loro un arduo percorso, che avrà fine solo con lo spargimento del sangue fraterno. La narrazione di un racconto mitologico risulta da sempre terreno di difficoltà in virtù dell’enorme quantità di simboli e significati a cui si deve attingere e di cui si deve necessariamente tener conto. Il mondo ricostruito da Matteo Rovere è il risultato di un durissimo lavoro di analisi ed edificazione, messo a punto da un cast tecnico di tutto rilievo. Partendo dai dialoghi, ci si rende conto sin da subito della vastità di sfumature e dell’insormontabilità di una lingua antichissima come il protolatino. Attraverso fonti contemporanee al periodo storico in cui si pensi siano vissuti Romolo e Remo, un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza, ha eseguito un lungo studio sulla lingua fon-dativa, pre-romana. Una sfida complessa che ha poi coinvolto in fase di produzione gli attori protagonisti, alle prese per la prima volta nella loro carriera con un copione in protolatino. Una scommessa vinta sia per Alessandro Borghi che per Alessio Lapice, intensi e coinvolgenti in un quadro scenico che in alcuni momenti ricorda da vicino il viscerale Apocalypto di Gibson. Se infatti vi è un aspetto che più si avvicina al cinema internazionale è proprio quella cura riservata agli scontri fisici nel corso del film. Le scene di combattimento sono rese con rara maestria quasi confondendosi con il cinema hollywoodiano. Ed è un peccato che non siano più presenti nel corso del film, apparendo solo in tre occasioni. Matteo Rovere infatti dirige un’opera selvaggia e spesso cruenta, che avrebbe giovato di più azione e scontri soprattutto nell’ultima parte, che se confrontata con il resto del film risente di penuria di ritmo, accusando una conclusione troppo spedita. La fotografia, impiantata sull’uso della luce naturale, se da un lato restituisce un quadro di impianto naturalistico, dall’altro rende meno vigorosa l’immagine, la quale sovente appare quasi cineamatoriale. Il primo re, in sala a partire dal 31 gennaio, è un film che nonostante alcune debolezze interne, riesce a fondere in modo impeccabile la riflessione sul mito e sull’impenetrabilità del destino, all’azione brutale e feroce. Un lavoro che si lascia apprezzare non solo per il coraggio, ma anche per una spettacolarità ancora aliena nel cinema italiano.
Giada Farrace