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Il verdetto

Giovedì 18 Ottobre 2018 15:55 Pubblicato in Recensioni
Con Children Act si fa riferimento alle funzioni attribuite a tribunali, enti locali, e genitori per la tutela e garanzia del benessere dei minori. Questa legge emanata dal parlamento inglese nel 1989, definisce pertanto le direttive atte alla promozione di interventi sanitari in situazioni di necessità. Fiona Maye (Emma Thompson), giudice severo e leale, svolge la sua professione nell’assoluta lucidità delle proprie facoltà. Assumendo il pieno onere di alcune sentenze spinose e di ampia risonanza, la donna vive la sua vita tra la Royal Court of Justice di Londra e l’appartamento che divide con il marito, Jack (Stanley Tucci). Una quotidianità lavorativa intensa e frenetica che fagocita in modo totale la donna, e che con il tempo genera una frattura all’interno delle mura domestiche, portando con sé un temporaneo allontanamento del marito, da sempre innamorato di Fiona, ma continuamente trascurato dalla stessa. La critica situazione coniugale farà ben presto da sfondo ad uno dei casi più impegnativi che il giudice Maye dovrà affrontare. Si tratta infatti della questione che riguarda il diciassettenne Adam Henry (Fionn Whitehead), un testimone di Geova affetto da una grave forma di leucemia che rifiuta l’assistenza medica. La vita di Adam, sospesa su un filo fragilissimo, sarebbe fuori pericolo se si facesse ricorso a delle trasfusioni di sangue, ma il rifiuto del ragazzo e della comunità religiosa è netto. Il destino di Adam è nelle mani di Fiona, la quale perplessa e coinvolta in questa complicata vicenda, decide di andare a trovare il ragazzo in ospedale, agendo in modo inconsueto rispetto alla norma. L’incontro dei due genera una connessione singolare ed intensa, una sfida contro le convinzioni più radicate che porterà entrambi a rivalutare quale sia il reale valore del bene e del male. Il Verdetto, in originale The Children Act, è un film tratto dall’omonimo romanzo scritto da Ian McEwan, uno degli autori più brillanti e capaci del panorama letterario contemporaneo. La trasposizione cinematografica diretta da Robert Eyre, regista del thriller L’ombra del sospetto (2008) e dell’acclamato Diario di uno scandalo (2006), rimane fedele in molti aspetti al romanzo di McEwan, concentrandosi in modo piuttosto particolare sul personaggio di Fiona. Il ritratto femminile che ne emerge è dei più sfaccettati e intensi, donando alla storia narrata un respiro coinvolgente e denso di emozione. Il merito va ad un caso delicato e interessante come quello trattato, ma soprattutto ad una magistrale interpretazione di Emma Thompson che ammalia lo spettatore dall’inizio alla fine. La performance della Thompson supera lo schermo, andando oltre la storia narrata, cogliendo quel fitto tessuto di sentimenti che permea il suo personaggio, autoritario ma allo stesso modo dotato di una rara sensibilità. Attraverso i suoi occhi lo spettatore percepisce e comprende le sfumature dell’animo umano, i contrasti e le innumerevoli inquietudini. La scena del concerto di Natale è tra le più intense, capace di regalare un puro momento di cinema, alimentato dalla sfolgorante luce emanata dall’attrice. Il film si rivela pertanto un lavoro sincero e asciutto, fondato essenzialmente su un linguaggio piuttosto classico, forse meno appariscente rispetto al cinema contemporaneo, in cui si cerca di sperimentare sempre nuovi espedienti narrativi. In questo caso, la narrazione procede su binari ben precisi e stabili, senza mai portare fuori traccia lo spettatore, ma guidandolo in un racconto che fa della sua limpidezza uno dei migliori pregi, oltre al vigore dei dialoghi e della sceneggiatura (curata dallo stesso McEwan). Il giovane coprotagonista Fionn Whitehead (Dunkirk), è un talento che valorizza il personaggio di Adam, dimostrandosi perfettamente all’altezza del ruolo affidatogli. Il Verdetto, nelle sale italiane a partire dal 18 ottobre e distribuito da Bim, è un film che non passerà inosservato, forte di un impianto narrativo e registico ben saldo, capace come pochi altri film di generare una profonda congiunzione empatica con trama e personaggi.
 
Giada Farrace
 
A meno di una settimana dall’inizio della tredecisma Edizione della Festa del Cinema di Roma si iniziano a delineare i primi contorni di quella che probabilmente sarà una delle edizioni più variopinte e consistenti. Protagonista del manifesto ufficiale della tredicesima edizione della rassegna cinematografica è il magnetico Peter Sellers, immortalato nei panni dell’esilarante Ispettore Clouseau ne “La pantera rosa” (1963). Una scelta iconica dichiaratamente maschile dopo molte edizioni dedicate a protagoniste femminili. Tuttavia, se le donne non appaiono nella locandina ufficiale, esse rimangono protagoniste indiscusse della festa, la quale conta al suo interno 12 titoli di registe provenienti da svariati paesi.
 
 
I titoli in concorso spaziano a livello di tematiche affrontando ora il contesto storico mediante il genere documentario ora gli aspetti più vicini alla società e alle sue dinamiche interne. Con riferimento al documentario, nella selezione ufficiale il lavoro di Giovanni Zoppeddu “Diario di Tonnara”, un inno al cinema del reale sulla scia dell’opera di Vittorio De Seta, che osserva in modo ravvicinato una dinamica comunità di pescatori. Sempre in concorso nella selezione ufficiale l’ultimo film di Michael Moore “Fahrenheit 11\9”, opera nella quale il regista guarda alla realtà odierna con il tipico occhio clinico e sagace che lo contraddistingue, occupandosi stavolta di una data molto significativa per l’attuale società americana: il 9 novembre 2016, giorno dell’elezione del presidente Trump. Di tutt’altro genere il film in concorso diretto da Eli Roth “The house with a clock in its walls”, una commedia fantastica che narra le avventure del giovane Lewis Barnavelt, alle prese con un segreto mondo di magie e misteri. Inaspettata è la presenza nella selezione ufficiale dell’ultimo capitolo dedicato alla saga “Halloween” diretto da David Gordon Green, con protagonisti Jamie Lee Curtis e Judy Greer. Tra i ititoli della selezione ufficiale, direttamente da Toronto la regista messicana Alejandra Màrquez Abella presenta il film “Las Ninas Bien- The good girls”, la drammatica storia di una coppia che vedrà cambiare drasticamente la propria vita a seguito di una grave crisi economica che coinvolgerà tutto il paese. E come non menzionare il film testamento con Robert Redford “The old man & the gun” presentato in concorso dall’attore americano prima del suo ritiro definitivo dalle scene. Diretto da David Lowery, il film distribuito da Bim, è ispirato alla storia vera di Forrest Tucker, uno scaltro rapinatore che innumerevoli volte fu in grado di depistare le autorità, conquistando in breve tempo l’opinione pubblica americana. Un altro italiano in concorso è Edoardo De Angelis che dopo il successo di “Indivisibili”, presentato a Venezia nel 2016 e vincitore del premio Pasinetti, è ora alla Festa del Cinema di Roma con il suo ultimo lavoro, “Il vizio della speranza”. Una storia di rinascita quella narrata da De Angelis, le cui premesse mantengono alte le aspettative nei confronti di un regista che naviga su un fiume di purezza e poesia narrativa. Ad aprire questa tredicesima edizione della rassegna cinematografica romana, il film d’animazione francese “Mia e il leone bianco”, diretto da Gilles de Maistre e presentato in prima mondiale dalla Studio Canal. Come ogni anno, le proiezioni e le conferenze che si svolgeranno all’Auditorium conciliazione di Roma saranno accompagnate da molte altre attività ed iniziative parallele sparse in numerose zone della città. Da segnalare la rassegna alla Casa del Cinema dedicata ai classici del cinema noir, un genere che rivestirà un ruolo da protagonista assoluto in questa tredicesima edizione. Il noir sarà infatti il principale leit motiv quest’anno delle clip che precederanno di norma tutte le proiezioni in sala: un piacevole omaggio a grandi film del passato e del periodo più contemporaneo. Piuttosto corposa è inoltre la lista dei nomi degli Incontri Ravvicinati, si attendono infatti Martin Scorsese, Isabelle Huppert, Cate Blanchett e molti altri ancora. La Festa del Cinema di Roma aprirà pertanto i battenti il prossimo 18 ottobre e abbraccerà un arco temporale di ben dieci giorni, chiudendo il sipario il 28 con la proiezione dell’ultimo film di Paolo Virzì, “Notti magiche”. Non ci resta altro che attendere il 18 ottobre, quando finalmente anche Roma si tingerà di rosso. 
 
 
Giada Farrace

Venom

Giovedì 04 Ottobre 2018 09:36 Pubblicato in Recensioni
San Francisco. Eddie Brocke è un reporter d’assalto sagace e intraprendente, il cui scopo è portare alla luce alcune tra le notizie più scottanti della frastornata realtà cittadina. Frugando nel computer della fidanzata, casualmente scopre dei documenti su alcune morti ingiustificate all’interno del laboratorio di sperimentazione farmaceutica Life Foundation. Brocke decide subito di affrontare la questione di petto, sbattendola istintivamente in faccia durante un’intervista esclusiva al proprietario della società, il freddo Carlton Drake. Ma le cose si complicano, questa avventata mossa si rivela per il giornalista un passo falso recando con sé conseguenze avverse, tra cui l’immediato allontanamento dal posto di lavoro e la rottura con la ragazza. La credibilità della Life Foundation è una fortezza inattaccabile, troppo potente per venire compromessa da un giornalista squinternato. Tuttavia le feroci barbarie all’interno della Life F. tornano ben presto a galla, una stimata dottoressa del centro sperimentale ricontatta Brocke per denunciare una volta per tutte quel che accade all’interno dei laboratori.  Infiltratosi di notte all’interno della struttura, Eddie, oltre a scoprire le tremende gabbie utilizzate per contenere cavie umane, entra inaspettatamente in contatto con uno strano parassita, un viscido sembionte alieno, che finisce con l’insinuarsi nel suo corpo. Da questo momento in poi, la vita di Eddie Brocke subisce un drastico mutamento. Il Venom diretto da Ruben Fleischer, regista di Benvenuti a Zombieland e Gangster Squad, è molto diverso dal tipico film targato Marvel. Prima tra tutte le differenze che rendono questo lavoro anomalo e nettamente fuori dal coro, è la sua volontà di prendersi poco sul serio e di premere pesantemente l’acceleratore. Portare sullo schermo uno dei villain più amati e più conturbanti dell’universo fumettistico, precisamente il 22esimo più spaventoso nella lunga lista dei cento cattivi più terribili di sempre, non era affatto un’impresa semplice. Venom è un personaggio dal duplice aspetto, affascinante e allo stesso modo famelico, ed il suo stesso comportamento riflette un’immagine che diviene veicolo di violenza. L’incontenibile frenesia di questo essere, viene pertanto restituita dal film nel migliore dei modi, ricorrendo ad un montaggio ritmato e schizofrenico, una scarica di adrenalina che non lascia mai spazio a momenti di stasi. La scena dell’inseguimento in moto è tra le migliori di tutto il film, ricca di particolari e densa di tensione come da tempo non si vedevano all’interno di un lavoro Marvel. Tom Hardy dal canto suo, dona una sfaccettatura ironica e trasandata al personaggio di Eddie Brocke, dando vita a sequenze esilaranti, in alcuni casi ai limiti del delirio. Scattante, incontenibile e chiassoso, il lavoro di Fleischer è molto vicino ai classici film fumettistici di un tempo e piuttosto lontano da quel filone di titoli sci-fi di più recente realizzazione, nonostante abbia le medesime premesse. Ad alimentare questo aspetto, la scrittura dei dialoghi e di alcune scene orientate a gestire la tensione in modo crescente, come nei migliori action movies di vecchia generazione. Venom è un film che indubbiamente genererà divisioni e pareri contrastanti in virtù della sua natura bizzarra e stravagante. La stampa estera lo ha definito in più occasioni tiepido e confusionario, alle volte indigeribile. Il Venom interpretato da Tom Hardy infatti risulterà per molti altisonante e fuori dalle righe, ma forse questi non possono considerarsi  i veri e propri difetti del film. Una delle mancanze più inficianti è rappresentata invece dall’assenza di scene dall’impronta più brutale e splatter, indispensabili nell’incorniciare un personaggio quale Venom. Un limite imposto dalla Sony al fine di allargare le soglie di accesso alla visione del film ed escludere definitivamente il divieto ai minori.  Si tratta di un passo falso che non solo ha impoverito la sostanza e le atmosfere del film (sottraendole all’horror), ma che ha purtroppo edulcorato la figura di un villain sanguinario e brutale. 
 
Giada Farrace
 

Sulla mia pelle

Mercoledì 12 Settembre 2018 19:45 Pubblicato in Recensioni
L’immenso potere del cinema risiede nella sua natura intrinseca di paradigma della realtà, nonché cristallizzazione di un evento.   A questo aspetto più prossimo al reale, si addiziona  il germe dell’informazione, quella volontà programmatica di diffondere spiegazioni, considerazioni attorno ad un preciso assunto. Probabilmente l’unico mezzo in grado di arrivare orizzontalmente coinvolgendo migliaia di intelletti, il cinema ha sovente l’onere di farsi cronaca. Rivelare per mezzo del racconto cinematografico un evento realmente accaduto significa dare nuovamente vita ad un episodio che ha avuto peso nell’immaginario collettivo.  Alessio Cremonini esordisce alla regia dirigendo un film su una delle pagine più feroci e dolorose della cronaca nera italiana, ossia la violenta morte di Stefano Cucchi avvenuta il 22 ottobre del 2009. Presentato all’interno della sezione Orizzonti della 75esima Mostra del cinema di Venezia, il film di Cremonini ricostruisce i giorni precedenti la morte del giovane romano avvenuta presso l’ospedale Sandro Pertini. Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 per detenzione e spaccio di stupefacenti, fu sottoposto durante la prima notte di detenzione a pesanti vessazioni da parte delle autorità, danni fisici che provocarono gravi lesioni corporee e un’emorragia alla vescica. Nonostante le precarie condizioni fisiche di Cucchi, la data dell’udienza venne fissata al mese successivo, e il giovane romano fu costretto a trascorrere cinque giorni tra una struttura e l’altra, presentando delle condizioni fisiche in continuo peggioramento. Sulla mia pelle, rappresenta forse uno tra gli esempi più autentici di cinema d’informazione, imperniando il suo punto di appoggio proprio sulla minuziosa ricostruzione dei fatti accaduti a Stefano Cucchi. Prodotto da Netflix, come molti altri film in concorso quest’anno a Venezia (tra cui lo stesso film vincitore Roma), l’opera prima di Cremonini incarna in massimo grado il cine-documentario, un racconto di riedificazione dei sei giorni trascorsi tra l’arresto di Stefano e la sua morte. Un film che mette da parte ogni intromissione soggettiva nel fatto di cronaca, lasciando ampio spazio di riflessione e libertà allo spettatore, che tuttavia, in alcuni momenti, sente l’esigenza di un approccio più personale alla vicenda.Il regista gioca pertanto all’essenziale, centrando tutto sulla linearità. Un minimalismo che fa della sottrazione il proprio principio portante e che reca in sé alcune conseguenze inficianti, una tra tutte l’assenza di un’impronta più ricercata. A vestire i panni di Stefano  un Alessandro Borghi formidabile, che non eccede mai nella sua complessa e aderentissima interpretazione. Borghi restituisce al film un’intensa impronta, il cui impatto emotivo è riscontrabile anche nella stretta somiglianza tra l’attore e Cucchi. Una trasformazione, quella dell’attore romano, espressa sia a livello fisico (per il film dimagrito circa 18 chili), sia a livello vocale (la voce di Borghi  gode quasi di una  totale adesione a quella originale di Cucchi).
Sulla mia pelle, da oggi disponibile su Netflix e presente in contemporanea nelle sale italiane, è un asciutto resoconto, un quadro degli eventi che scorre in modo fluido ed inesorabile, senza però restituire al pubblico quell’aspetto epidermico evocato dal titolo. Un approccio che avrebbe donato ad progetto di tale portata maggior vigore e una sfaccettatura ancor più intima.
 
 
Giada Farrace