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Ciak d'oro. Tutti i premiati

Sabato 09 Giugno 2018 00:29 Pubblicato in News
I Ciak d'oro 2018, premi del magazine diretto da Piera Detassis (votati da 100 giornalisti e critici e da una giuria di lettori), si sono divisi quest'anno tra un musical innovativo e spiazzante, in salsa napoletana, e un film autoriale dal respiro internazionale: miglior Film è Chiamami col tuo nome – Luca Guadagnino, mentre il premio come Miglior Regia viene vinto da Manetti Bros. – Ammore e Malavita.
Il film di Guadagnino si è aggiudicato anche i premi per il Miglior Montaggio e il Miglior Manifesto. Ad “Ammore e Malavita” si aggiunge il premio Migliore Colonna Sonora, Miglior canzone originale, Migliore attrice non protagonista (Claudia Gerini) e Ciak d’oro Colpo Di Fulmine assegnato a Serena Rossi per la sua “straordinaria interpretazione della bella Fatima”.
 
 
Il premio per le Migliore Attrice Protagonista va Paola Cortellesi e quello Miglior Attore Protagonista a Antonio Albanese, entrambi per il film “Come il gatto in tangenziale”. Il premio Migliore Attore non protagonista va a Massimo Ghini con “A casa tutti bene”.
 
Per  Napoli Velata di Ferzan Ozpetek va il  Ciak d’oro Miglior Scenografia e Migliori Costumi. Premiato anche a Cuori Puri di Roberto De Paolis con il ‘Ciak-Alice Giovani’ e il ‘Ciak d’oro’ Migliore Opera Prima.
 
Mentre le altre ambite statuette sono andate per la categoria di: Miglior Fotografia a Luca Bigazzi – Sicilian Ghost Story,  Miglior Montaggio a Susanna Nicchiarelli – Nico,1988,  Miglior Produttore
Maria Carolina Terzi e Luciano Stella di Mad Entertainment , Paolo Del Broccodi Rai Cinema – Gatta Cenerentola.
 
I premi speciali vanno a Luciano Ligabue, il Superciak d’Oro per il film “Made in Italy” e Salvatore Esposito, Speciale Serial Movie per la serie tv Gomorra.
 
 

Shoplifters

Sabato 19 Maggio 2018 00:15 Pubblicato in Recensioni
Da qualche parte in Tokyo, Osamu Shibata (Lily Franky) e sua moglie Nobuyo (Sakura Ando) vivono una vita di stenti. Purtroppo Osamu ha solo dei lavori occasionali. La vera foraggiatrice di casa è la nonna (Kirin Kiki) con la sua pensione, ma da sola non riesce a sopperire alle molte mancanze. Perciò, per arrotondare, Osamu e il figlio Shota (Kairi Jō) si dedicano a piccoli furti nei supermercati della zona. Vizio scomodo, ma che gli garantisce la sopravvivenza. Padre e figlio sono dei maestri nel raggirare la sorveglianza e hanno anche l’ardire di prendersela con se stessi, perché si sono dimenticati di rubare lo shampoo. Un giorno trovano sulla loro strada una piccola senzatetto, la sperduta ed impaurita Yuri (Miyu Sasaki). Hanno la brillante idea di portala a casa con loro, visto che la famiglia di sangue della bambina sembra essere violenta e non molto attenta alle esigenze d’affetto della piccola. Contro ogni previsione, la piccola Yuri viene adottata dai poveri Osamu, ma questo non avviene ufficialmente e anche se per fin di bene, è dichiaratamente un sequestro. Ora il loro nucleo famigliare è più coeso che mai. Solo un malaugurato evento metterà a rischio l’integrità del legame creatosi.
 
La sinossi appena stesa è quella di una meritevole Palma d’Oro, o almeno quella di un racconto che ha messo d’accordo tutti gli addetti ai lavori. La Presidente di Giuria Cate Blanchett ha motivato così la decisione del giurì: “Siamo stati completamente travolti da Shoplifters. Le performances degli attori si sono intrecciate alla perfezione con le intenzioni registiche.” Tutto vero, perché Hirokazu Kore-eda (già vincitore del Premio della Giuria 2013 con Father & Son e molto simile a Shoplifters), che qui non solo dirige, ma scrive e cura il montaggio, ci dona un’opera dal doppio risvolto. Crime story sottosopra, vista dai buoni propositi. Lo sguardo del regista demonizza quello che per logica è male e riflette sulle conseguenze di prove di affetto in un ambiente dove i legami di sangue non esistono. La vera famiglia rimane sempre e solo quella genetica o può essere quella che ci ha veramente a cuore? La risposta arriva grazie alla messa in scena: l’intera famiglia chiusa in 4 mura, che sembrano 4 metri quadri. Lì, saldamente vicini gli uni agli altri, stretti ma uniti, unione che si eleva a felicità. Corroborato da attori genuini e sul pezzo, Kore-eda conferma le sue ottime doti di regista: spicca la forma e la facilità nella gestione di un argomento delicato come questo. Leggerezza e scorrevolezza sono il fiore all’occhiello di Shoplifters. 
 
La narrazione è corposa, ma lo spettatore non ha un compito arduo per portarla a termine. Anche grazie ad una regia dolce e classica, che mette in scena un mondo fatto di bugie a fin di bene, menzogne che comunque avranno voce e porteranno delle conseguenze. Tutto quello che la macchina da presa inquadra lo inquadra con finezza, si allontana consapevolmente dai cliché, privilegiando un realismo che riconosce i gesti quotidiani, capaci di autenticità e mai di vergogna. La telecamera del regista non viene usata per giudicare, ma per sorprendere. 
E non aspettatevi di piangere a dirotto. L’eccesso non è nel dna di Kore-eda. 
 
Il regista giapponese ancora una volta si sofferma su storie di famiglia. La pellicola vuole anche essere una piena rivalutazione dei padri e del senso di famiglia, criticati nel suo Little Sister del 2015. Shoplifters ha un non so ché di poetico tra le sue righe. Ha la grazia di una farfalla, priva di inestetismi dopo una gestazione dolorosa ed oscura. Vola tra i fiori più colorati e profumati, orgogliosa della sua bellezza. Senza preoccuparsi della difficoltà, che è insita nel vivere.
 
David Siena
 

Marcello Fonte e Edoardo Pesce ai Nastri d'Argento

Mercoledì 30 Maggio 2018 19:03 Pubblicato in Full Screen

Per la cerimonia dell'assegnazione delle nomination ai Nastri d'Argento 2018, Marcello Fonte ed Edoardo Pesce salgono sul palco nominati ex aequo come miglior attore protagonista per Dogman di Matteo Garrone.

Ghost Stories

Giovedì 19 Aprile 2018 13:50 Pubblicato in Recensioni
L’uomo nutre da sempre un’insaziabile curiosità nei confronti dell’ignoto. Un interesse coltivato da numerosissime culture mediante una vasta gamma di mitologie i cui racconti trovano tuttora ampio spazio nell’immaginario collettivo. La spinta verso il mistero deriva da un’irrefrenabile volontà di scoperta  nonché dalla profonda curiosità di confrontarsi con qualcosa che sfugge ad ogni tentativo di catalogazione: il paranormale. In Ghost Stories il professor Goodman, un accademico dal forte senso critico e dall’innato scettiscismo nei riguardi del paranormale, conduce un noto programma televisivo in cui si occupa principalmente di smascherare alcuni fenomeni legati alla sfera dell’occulto, quali sedute spiritiche e contatti con strane entità conturbanti. Goodman dovrà ora confrontarsi con tre casi molto particolari, che metteranno a dura prova il suo fervente scetticismo. Misurandosi con situazioni inspiegabili, il professore si troverà in una condizione di incertezza e ambiguità circa la natura effettiva di tali fenomeni paranormali. La sua irremovibile convinzione verrà pertanto scossa da eventi che sfuggiranno radicalmente allo scibile. La fiamma del dubbio inizierà ad ardere progressivamente, insinuandosi persino nelle convinzioni più assodate come quelle legate alla sfera dell’aldilà. Il film, è la trasposizione cinematografica di una fortunatissima pièce teatrale horror andata in scena a Londra qualche anno fa. Un successo oltre ogni aspettativa che ha contribuito a rendere i due registi consapevoli di avere tra le mani uno spettacolo brillante destinato ad approdare su grande schermo. Il risultato di questa trasposizione è un film strutturato in modo impeccabile, interpretato abilmente da un cast di attori di tutto rispetto composto da Alex Lawther, Andy Nyman (che è anche uno dei due registi) e Martin Freeman. Andy Nyman e Jeremy Dyson dirigono pertanto un’opera che intrattiene senza perdere mai credibilità, un omaggio sincero a quel cinema horror coerente e macabro che tanto manca in questi ultimi anni. Ghost Stories, forse il più atteso horror della stagione, riesce a fare leva sulle delicate e complesse corde del conturbante, canalizzando in modo sapiente anche il più piccolo frammento di tensione attraverso una struttura episodica agile e magnetica. 
 
Giada Farrace