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20.000 Days on Earth

Mercoledì 17 Dicembre 2014 23:34 Pubblicato in Recensioni
“I wake. I write. I eat. And I watch tv. This is my twenty-thousandth day on earth”
 
Sono le 7. Nick Cave si sveglia e come ogni mattina si reca nel suo studio, dove passa tra le 8 e le 9 ore al giorno. “L’impiegato del rock”, così ama definirsi, per via dei metodici e rigorosi ritmi di lavoro che si è creato dopo il passato bohémien e il baratro della tossicodipendenza. Uno stile di vita che segna anche il passaggio dai suoni martellanti e post-punk degli esordienti Birthday Party, alle attività recenti più vicine a un cantautorato fatto di contaminazioni fra i generi cardine della tradizione musicale americana - dal gospel al blues - e le atmosfere cupe della new wave. 
 
I filmmakers inglesi Iain Forsyth e Jane Pollard sviscerano la vita privata del musicista, lo filmano in casa con i suoi figli, durante una seduta di psicoterapia, in studio con Warren Ellis e gli altri storici collaboratori. Frammenti di “realtà costruita”, come la chiamano i registi, e situazioni improvvisate seguendo sempre canovacci prestabiliti, in un funambolico equilibrio fra realtà e finzione. 
In 20000 days on earth, infatti, tutto è reale e, allo stesso tempo, tutto è messa in scena. “Questo spazio luccicante, dove la fantasia e la realtà si intersecano. Qui è dove viviamo”
 
I momenti più stimolanti sono senz’altro le traversate per Brighton a bordo della sua Jaguar. Qui la macchina diventa un ventre fertile di liquido amniotico, dove l’ispirazione e i vissuti esterni iniziano a prendere corpo. Gli incontri che fa al suo interno sono reminiscenze di un passato mai passato che acquisiscono corpo e voce. Si alternano sul sedile posteriore le proiezioni di amici e collaboratori: il chitarrista Blixa Bargeld, con cui non parla da quando nel 2003 lasciò i The Bad Seeds, l’attore Ray Winstone, protagonista del film La proposta di John Hillcoat scritto dallo stesso Cave, e Kylie Minogue, con la quale duettò nella hit Where the Wild Roses Grow del 1995. 
"La macchina", confida lo stesso Cave, "è il posto in cui i miei pensieri si materializzano nella forma delle persone che hanno avuto un ruolo nella mia storia". Nel film la divisione degli spazi è funzionale alle fasi del processo creative.
È nello studio che, dopo il suono della sveglia e i suoi rituali quotidiani, Nick Cave raccoglie e da forma ai pezzi trovati per strada, quando il mondo esterno lo invita a uscire, per mostrarsi, dimostrarsi, reinventarsi, e permettere che gli eventi e le persone gli lascino una traccia. Così come i fantasmi evocati in un altro studio, quello dello psichiatra Darian Leader, diventano forma nei percorsi in Jaguar. 
 
Musicista, scrittore, attore e sceneggiatore, Nick Cave gigioneggia negli innesti di voice over e attingendo dal ricco archivio dei suoi ventimila giorni di vita, parla di quel magma brulicante che è il processo creativo come una pura necessiatà biologica. 
Il rischio di apparire autocelebrativi è scontato e inevitabile in una docu-fiction che si regge esclusivamente sulle spalle del protagonista. 
Non esiste mai un momento vuoto, ogni gesto e ogni ombra sono pregni di Nick Cave – accreditato anche come sceneggiatore insieme a Forsyth e Pollard - e lì dove potrebbe esserci del silenzio, questo viene colmato dalla sua musica. Fino alla sequenza finale, in cui all’esibizione live di Jubille Street si alternano funzionalmente frammenti di repertorio degli storici concerti con i Bad Seeds. 
“Perché la memoria è ciò che siamo” dice Cave al suo psichiatra “la tua vera anima e la tua ragione di vita sono legate nella memoria”
 
Un personale punto della situazione su uno dei musicisti più poliedrici degli ultimi cinquant’anni.
 
Angelo Santini, Nicoletta Senzacqua 
 

Bando di ricerca film sul tema della disabilita'

Martedì 09 Dicembre 2014 21:01 Pubblicato in News
Nel quadro della preparazione della nona edizione del festival Handifilm di Rabat che si svolgerà dal 26 al 29 Marzo 2015 a Rabat, l’Associazione Handifilm lancia un bando di ricerca di film per la sua sezione Competizione Ufficiale Internazionale di cortometraggi sul tema della disabilità. Il festival Handifilm di Rabat è una manifestazione cinematografica annuale a carattere artistico e socioculturale. Oltre alla promozione della settima arte, il Festival si prefigge di affrontare la tematica della disabilità attraverso l’organizzazione della proiezione di film seguiti da dibattiti e da diverse attività parallele la cui finalità è la promozione di una cultura accogliente nei confronti di tutte le diversità. Questo festival è organizzato in partenariato con la Commissione marocchina di Aiuto all’Organizzazione dei Festival, il Centro Cinematografico Marocchino e vari altri organismi. I film ammessi al concorso devono: - essere di produzione recente - avere una durata di 20 minuti al massimo - essere centrati sulla tematica della disabilità, scritti, realizzati o interpretati da persone disabili L’iscrizione degli spot è aperta fino al 31 Dicembre 2014.
Le domande devono essere inviate al seguente indirizzo mail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
 

Ad Arte, il teatro sul grande schermo

Martedì 09 Dicembre 2014 20:44 Pubblicato in News
Domani 10 Dicembre, alle ore 18,45  presso la Domus Talenti a  Roma verrà presentato in anteprima il docufilm  di "Ad Arte CalcataTeatroCineFestival", Edizione Zero, rassegna di teatro e cinema di regia e sperimentazione indipendenti, prodotto dall'associazione culturale Dillinger, ideato e diretto da Igor Mattei e Marina Biondi.    
Il video vuole raccontare per emozioni e narrare per immagini quanto è avvenuto durante la prima edizione del festival, svoltasi nel luglio del 2014 a Calcata, particolare cittadina della Tuscia viterbese, di straordinaria bellezza e incanto, costruita nel tufo, e “salvata” dallo spopolamento e dall’abbandono grazie ad un’ondata di artisti negli anni ’70/'80, e che mantiene e vuole evidenziare il suo carattere di borgo storico e vivo di attività culturali anche oggi, soprattutto con un occhio sulle future generazioni.
E’ da questo mood che prende spunto il CalcataTeatroCineFestival, una rassegna di teatro e cinema di regia e sperimentazione indipendenti che ha lo scopo di dare visibilità a spettacoli e compagnie teatrali indipendenti e fuori dai consueti circuiti stabiliti, che portano in scena opere edite o originali di valido interesse culturale e soprattutto con l’obiettivo di promuovere una cultura per il teatro e verso le arti performative spesso sottovalutate, poco evidenziate e promosse, e soprattutto mal supportate dalle istituzioni che tagliano o negano quelle poche risorse economiche possibili al mantenimento in vita di certe realtà di grande valore culturale e soprattutto sociale per il Paese. 
La proiezione del video si terrà mercoledì 10 Dicembre alle ore 18,45 alla Domus Talenti, in via Quattro Fontane, e sarà un’occasione per capire meglio la passione e la determinazione che ci sono dietro i progetti culturali auto-finanziati e per discutere del presente e imminente “futuro” del teatro italiano.
 
 

Magic in the Moonlight

Giovedì 04 Dicembre 2014 13:38 Pubblicato in Recensioni
All’età di 79 anni l’indiscusso genio della commedia americana torna dietro la macchina da presa, ritrovando, almeno in parte, lo smalto di un tempo, dopo il pessimo To Rome with love e il discreto Blue Jasmine – quest’ultimo comunque tutto sulle spalle di una strepitosa Cate Blanchett. Il suo graduale allontanamento da Hollywood, in favore delle tanto amate location europee, lo porta questa volta nella Francia meridionale del 1928. 
Magic in the Moonlight racconta la storia del celebre illusionista Stanley (Colin Firth), in arte Wei Ling Soo, che viene ingaggiato dall’amico e collega Howard (Simon McBurney) per smascherare Sophie (Emma Stone) giovane e attraente sensitiva, sospettata di intenzioni fraudolente ai danni di una facoltosa famiglia della Costa Azzurra. 
Stanley, cinico e distaccato, concepisce la propria professione di illusionista come un’architettata messa in scena, ripudia categoricamente l’irrazionale e non nasconde da subito un certo scetticismo nei confronti dei presunti poteri di Sophie. Ma non passa molto tempo prima che l’arrogante resistenza del protagonista cominci a vacillare; esso rimane profondamente impressionato dagli occhioni e dalle capacità della ragazza, la quale rivela particolari della vita privata dell’uomo che non avrebbe mai potuto conoscere. 
Tra i due nasce una tenera intesa, poi l’amore, che porterà Stanley a mettere in discussione tutti i principi razionali sui quali aveva fondato una vita intera. “La tediosa e tragica realtà della vita” lascia spazio al mistero dell’amore e alla magia della luna. Almeno apparentemente. 
 
Nel suo 46° film da regista Allen decide di non apparire – le sue ultime prove da interprete non sono brillanti, nemmeno nell’atteso Gigolò per caso di Turturro – ma incarna in Stanley/Colin Firth una sorta di suo alter-ego britannico; entrambi sono degli illusionisti, in quanto anche il cinema è prima di tutto finzione, messa in scena. Come l’elefante in una stanza che si volatilizza improvvisamente. 
Ogni volta, quando un mio film ha successo, mi chiedo: come ho fatto a fregarli ancora?, disse una volta il regista. 
Inoltre ad accomunarli è lo stesso senso di scetticismo nei confronti dell’ultra-terreno; Allen, infatti, non ha mai nascosto il proprio ateismo. Attraverso la ragazza che mette in dubbio le salde convinzioni del protagonista, è come se anche Allen, sulla soglia degli 80 anni, volesse per un momento mettere in dubbio sé stesso. 
Ma l’amore è un’altra cosa. 
Quello esiste, anche se razionalmente ancora inspiegabile – sia per Allen che per Stanley. 
Come spesso accade nei finali dei suoi film, anche qui il protagonista trova solo una risposta parziale alle proprie domande. Come se per Allen la chiave della vita fosse proprio non smettere mai di porsi domande. Tenere alimentato il dubbio è l’unico modo per andare avanti e ce lo conferma la sua filmografia prolifica, che, nonostante gli alti e bassi dell’ultimo decennio, continua, di tanto in tanto, ad arricchirsi di commedie gradevoli come Magic in the moonlight. 
Nonostante la location il film risente poco delle atmosfere francesi, a differenza del nostalgico Midnight in Paris. 
Magic in the moonlight è piuttosto un film molto inglese, per via dello humor sottile tipicamente britannico di Colin Firth e dell’amata zia Vanessa (Eileen Atkins) che è il vero endoscheletro del film. Un ritorno brillante per il regista – la sua ultima commedia veramente lodevole era Basta che funzioni del 2009 – che nonostante la veneranda età continua con costante stacanovismo a partorire un film all’anno, come se fare cinema fosse per lui una necessità biologica ormai da molto tempo.  Presentato in Italia durante il 32° Torino film Festival Magic in the Moonlight è nelle sale dal 4 dicembre. 
 
Angelo Santini