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Quella che si respira è un'aria tesa, preoccupata per le sorti di quello che sarà il Nuovo Cinema Aquila alla fine di questa vicenda. Molti gli interventi significativi alla conferenza stampa indetta ieri, 7 maggio, per spiegare le ragioni della revoca della concessione del cinema all'attuale direzione, le ragioni dalla parte di chi ci lavora, visto che di cose ne sono state dette tante e male, e fare un po' di chiarezza sui fatti. La volontà di far chiarezza si percepisce da subito, dai documenti ufficiali fotocopiati e messi a disposizione di tutti i partecipanti: documenti in cui il cinema risulta essere in regola (fonte documento INAIL del gennaio 2015) con i pagamenti dei contributi di servizi erogati, documenti che testimoniano la volontà di rifondere i restanti contributi ai lavoratori, rateizzando il debito pregresso, già dal maggio dello scorso anno, e la volontà di dimostrare assoluta estraneità ai fatti di Mafia Capitale con un fax di dimissioni immediate e irrevocabili della cooperativa N.C.A. dal consorzio Sol.Co. (vincitore del bando di gestione dell'esercizio).
 
 
Il grande problema, se vogliamo parlare nello specifico di irregolarità, contestato dall'amministrazione comunale, “consiste in una subconcessione, che secondo l'avvocatura del Comune di Roma non andava fatta” spiega Nunzia Castello, assessore alla cultura e alle politiche educative del V municipio, unica rappresentate delle istituzioni presente alla conferenza. L'assessore, da sempre vicina al cinema Aquila, si riferisce alla scissione fra il consorzio Sol.Co., che vinse il bando nel massimo della trasparenza 8 anni fa e la cooperativa sociale N.C.A., costituita dai lavoratori del cinema. La scelta del consorzio di affidare una parte delle attività alla cooperativa nasce dal bisogno di accedere al credito cinematografico indispensabile per la digitaliazzazione delle sale ed erogabile solo ad una cooperativa con una maggioranza di attività cinematografica. Ma se è vero che il Comune vieta a un concessionario di affidare parte della concessione a terzi, è anche vero che la revoca  deve essere preceduta (per legge!) da una diffida da parte del Comune, che intima a ripristinare entro 10 giorni la situazione iniziale. Questo non è successo e la revoca definitiva (notificata lo scorso 27 aprile) è stata una vera doccia fredda per i lavoratori, che entro il 9 giugno dovranno sgomberare la struttura con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza del regolare contratto, mentre l'assessore alla cultura e al turismo della giunta capitolina Giovanna Marinelli ad oggi non ha voluto ricevere personalmente la direzione del cinema. 
 
La situazione sembra perciò sospesa, nell'attesa di un nuovo bando di gara che venga scritto secondo le regole di maggior tutela possibile dei lavoratori e del ruolo culturale del cinema. Ciò che ci si chiede è se questo vuoto che rimarrà tra una gestione e l'altra, ovvero tra un'assegnazione e l'altra, non sia funzionale a qualche fazione politica interessata a nuove egemonie culturali o a spartizioni di nuove fette di potere. Sicuramente è chiaro che tutto questo nasce dal malcontento di alcuni ex lavoratori che hanno scelto la via dura per imporsi sulla direzione, ma certamente questa politica d'attacco va a scapito dei lavoratori rimasti nell'esercizio, che si trovano da un giorno all'altro con la spada di Damocle di un posto di lavoro non più garantito. Alcuni di loro si lamentano che per via di questa situazione ci sono stati ritardi nei pagamenti (nel versamento dei contributi, che comunque la direzione si è impegnata in piena legge a versare nei prossimi 5 anni) e se la situazione non volgerà ad appianarsi hanno seria paura di finire senza stipendio per i prossimi mesi senza alcuna certezza di reintegro. Questa è l'ipotesi peggiore, quella più facilmente concretizzabile e, nonostante le voci rassicuranti di ieri della giunta comunale sul rispetto dei posti di lavoro, il personale non ci crede fino in fondo, rimanendo con un grande interrogativo sul proprio futuro. Anche perché le delibere comunali hanno un senso istituzionale, ma possono essere  benissimo impugnate. 
 
Oltre alla perdita del lavoro, poi cosa ne sarà della diffusione del cinema indipendente nella capitale? dobbiamo ricordarci che dalla sua apertura, dopo essere stato strappato dalle mani della mafia, nella fattispecie da quelle della Banda della Magliana, il Nuovo Cinema Aquila riveste un punto fermo per il cinema indipendente italiano e straniero. Pochi altri esercizi possono vantare una diffusione così ampia di opere, eventi e manifestazioni di forte impatto culturale, con un'attenzione particolare al documentario e all'underground. Un polo d'attrazione unico, ricco e diversificato nella scrupolosa e attenta programmazione. Cambiando la linea dirigente, cosa ne sarà? Una delle paure è proprio che diventi un cinema come un altro, depauperato dal suo valore unico e artistico, un decadimento sociale che si ripercuoterebbe anche e non solo sul fermento cittadino ma nazionale.
 
 
Secondo l'assessore Castello il nuovo bando dovrebbe uscire a giorni, forse proprio la prossima settimana. Ma in queste situazioni il mare di burocrazia è sempre più profondo e rischia di far slittare anche i tempi di assegnazione. 
 
Per quanto riguarda le irregolarità commesse sarà compito del Comune vigilare e dei cittadini assicurarsi che tutto sia fatto in rispetto di leggi e trasparenza, che il grandissimo valore culturale sia mantenuto alto, senza slittamenti o cedimenti. Dal canto suo la direzione sembra determinata, e con lei tutti i lavoratori, ad andare fino in fondo alla vicenda prendendosi ognuno le proprie responsabilità. I dipendenti del Nuovo Cinema Aquila non ci stanno e gridano con forza le loro ragioni affinché l'assessore alla cultura si decida a riceverli, per rivendicare i propri diritti e insieme sciogliere i dubbi mossi dal Comune sulla gestione.
 
 
Chiara Nucera 
Angelo Santini
 
 

Short Skin

Giovedì 23 Aprile 2015 08:55 Pubblicato in Recensioni
Il diciassettenne Edo (Matteo Creatini) soffre fin da piccolo di una malformazione al prepuzio, la cui pelle è troppo stretta e non permette al glande di uscire (la sua “short skin”, appunto)  Mentre intorno a lui tutti 
sembrano parlare solo e ossessivamente di sesso, Edo è timido e impacciato a causa delle sue inadeguatezze fisiche. I suoi genitori premono perché si dichiari a Bianca (Francesca Agostini), la sua vicina di casa tornata da Milano per le vacanze, che però sembra averlo relegato da anni nell’inesorabile abisso 
della friendzone. 
 
Una storia semplice raccontata con garbo ed eleganza, senza mai cadere nella deriva scollacciata del college movie à la American Pie; il polpo usato dal protagonista per le sue singolari pratiche masturbatorie (sotto suggerimento dell’amico Arturo) ricorda sì la torta di mele del cult di Paul e Chris Weitz, ma anche l’anguria “trombata” per scommessa da Paolo Cioni in Fino a qui tutto bene. 
Si sorride non solo per l’inadeguatezza del protagonista, ma anche per le nevrosi dei suoi comprimari, che vedono nel sesso l’unico obiettivo e mezzo per autoaffermarsi: che siano le pulsioni tardo-adolescenziali del compagnone Arturo, le scappatelle del padre fedifrago o le smanie voyeuristiche della sorellina Olivia, che vuole a tutti i costi far accoppiare il cane di casa. Ma la problematica sessuale è solo il tipico pretesto per rappresentare il passaggio all’età adulta e una riflessione su quello che trasforma un maschio in un uomo, 
sovvertendo qualsivoglia stereotipo machista. 
Duccio Chiarini, al suo primo lungometraggio di finzione dopo il documentario Hit the road nonna, sfodera la delicatezza comune a molti cineasti toscani della generazione post-Virzì, da Francesco Lagi con Missione di pace a Roan Johnson con il già citato Fino a qui tutto bene, in una commedia dallo stile più europeo (passatemi la definizione) ma profondamente radicata nell’immaginario toscano (pisano in particolare) sia nel linguaggio che nelle influenze. 
“Avevo appena letto il fumetto di Gipi LMVDN – racconta il regista, che cura la sceneggiatura insieme a Ottavia Madeddu e Miroslav Mandic – e quella storia di fragilità maschile raccontata in maniera così delicata mi aveva riportato alla mente una serie di disavventure sessuali vissute da adolescente che mi sembrava potessero diventare un film”.
Realizzato nell’ambito della Biennale College, Short Skin è stato presentato prima alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica poi al Festival del Cinema di Berlino. Distribuito dalla Good Films, il film esce nelle sale italiane il 23 aprile, mentre è prevista l’uscita anche in Francia, Regno Unito, Australia 
e Hong Kong. 
 
Angelo Santini
 

Avengers: Age of Ultron

Martedì 21 Aprile 2015 21:45 Pubblicato in Recensioni
Joss Whedon torna  a dirigere il team di super eroi con super problemi della casa delle idee Marvel, questa volta al completo. Dopo il successo planetario del capitolo del 2012 “The Avengers: Assemble”, che fu il primo blockbuster a riunire tutti i protagonisti in un unico esplosivo team, con ironia e semplicità tenta un approccio più maturo sulla linea di Captain America 2: The Winter Soldier. Ancora una volta troviamo gli stessi volti: La Vedova Nera (Scarlett Johansson) la  femme fatale del gruppo, impegnata a cantare “la ninna nanna a Hulk” per renderlo efficace in battaglia e innocuo alla sua trasformazione nel Dottor Bruce Banner (Mark Ruffalo), di cui si sta inevitabilmente innamorando; Thor (Chris Hemsworth) il semi-dio del Tuono, ufficialmente in ritiro sulla terra con il consenso del “Re di Asgard”; Captain America (Chris Evans), il soldato potenziato ancora fuori dal suo tempo; Occhio di Falco (Jeremy Renner), l’arciere eroe finalmente messo in luce, e l’immancabile Tony Stark (Robert Downey Junior) alias Iron Man, tormentato dal suo mastodontico ego che prende  forma e, involontariamente, diventa “Ultron” un robotico assassino integralista nell'adempimento della sua missione di  pace. Lo SHIELD, l’organizzazione a protezione della terra, anche in questo capitolo è  tenuto in scacco dall'Hydra, l’indipendente divisione filo nazista che opera in segreto dagli anni quaranta, ne fanno parte i due fratelli gemelli potenziati Wanda (Elizabeth Olsen) e Pietro Maximoff  (Aaron Taylor-Johnson), nei comics i figli di Magneto degli X Men, “Lui è veloce, lei è inquietante” così spaventosa da poter alterare la realtà e creare incubi e visioni nella testa di chiunque sia fatto di carne e sangue. Visivamente ineccepibile, l’azione domina il film, lasciando spazio a romanticherie (discutibili) e riflessioni semplici ma efficaci. Le cose belle non sono fatte per durare, il coraggio e la forza si nascondono anche nelle persone più insicure. Nel primo film la battaglia finale si combatteva a New York, questa volta in Russia, in un paese immaginario che (orgoglio nazionale) è in verità la Valle d'Aosta, le comparse sono tutte del posto, al centro della scenografia è il riconoscibilissimo Forte di Bard. Danny Elfman mixa la colonna sonora creando un orecchiabile compromesso tra il tema musicale portante e la musica classica. Il film non è esente da tagli di girato (nei trailer c’è sempre di più) e buchi di trama, il più grosso problema del Marvel Movieverse continua a persistere, ma nel complesso è un film ironico e godibile, la strada è giusta, per comporre il puzzle che la casa delle idee ha in mente da qui al 2018. Non lasciate la sala dopo i titoli di coda e ne avrete una assaggio.  
 
Francesca Tulli

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

Giovedì 09 Aprile 2015 11:00 Pubblicato in Recensioni
Edgar Reitz, fra i maggiori esponenti del Nuovo Cinema Tedesco, all’età di 82 anni mette in scene la genesi della saga epocale cominciata trent’anni fa.
Il primo Heimat, presentato a Venezia nel 1984, è composto da 11 capitoli, ognuno dei quali è praticamente un film a sé, per una durata complessiva di 924 minuti. Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza conta 13 capitoli per 1532 minuti, il film più lungo della storia del cinema, mentre Heimat 3 – Cronaca di una svolta epocale si ferma ai 600. La trilogia, realizzata tra il 1979 e il 2006, è un monumentale affresco della Germania del Novecento, dalle macerie della Grande Guerra all’alba del nuovo millennio, visto attraverso le vicende private della famiglia Simon. L’altra Heimat – Cronaca di un sogno non è strettamente legato al ciclo, è un prequel autonomo e come tale può essere visto anche se non si conosce il resto dell’opera. 
 
Siamo nel 1843, sempre nell’immaginario villaggio di Schabbach, nell’Hunsrück, la regione dove Reitz è nato nel 1932. Qui ci vengono presentati gli antenati della famiglia Simon, artigiani sottoproletari, che, giorno dopo giorno, combattono contro la miseria e le ambizioni del figlio minore Jakob, illuminato dal sogno di abbandonare la piccola patria per fuggire in Sudamerica. Maldestro e vergognoso, Jakob passa le sue giornate immerso nei libri, a studiare lingue e idiomi degli indiani d’America. Come l’albatros di Baudelaire, è esule in terra fra gli scherni, che gli impediscono di volar via con le sue ali di gigante. Il ritorno dal fronte prussiano del fratello maggiore Gustav comprometterà gradualmente la sua smania di emancipazione.
 
La genesi della famiglia Simon è anche quella dello stesso termine “heimat”, che non ha un vero corrispettivo nelle lingue anglofone e neolatine, ma può essere tradotto con casa, patria, luogo natio. Privo del significato nazionalistico, ma con una forte connotazione melanconica, il concetto di heimat è comparso nella cultura tedesca proprio nel XIX secolo, in seguito all’esodo massiccio di popolazioni dalle aree rurali alle grandi città, con il dissolvimento dei piccoli stati in un unico nuovo stato tedesco a egemonia prussiana.
Quella raccontata da Reitz è la Germania rurale e arretrata, che sogna il nuovo mondo, “dove non c’è mai l’inverno”, ovvero, l’idillio a colori scolpito nel frammento di gemma che il taciturno Fürchtegott regala alla bella figlia Jettchen. Una Germania quindi completamente diversa da quella di oggi, florida e meta di immigrazione per eccellenza. 
 
Il tema, spiega Reitz, ospite dell'ultima edizione del Festival internazionale del film di Bari, "è naturalmente quello dell'immigrazione, il senso di dolore che c'è nel cuore delle persone che lasciano la propria terra. All'epoca eravamo un paese di emigranti, oggi siamo terra d'immigrazione".
 
Reitz rappresenta la quotidianità dei suoi protagonisti nel duro lavoro e negli affetti familiari, restituendo con realismo lo spirito e i crescenti mutamenti di un periodo storico che oggi sembra rimosso dalla memoria collettiva europea. 
Quando “eravamo noi a emigrare per cercare fortuna”, sopiti nel sogno e ancora incoscienti degli orrori che avrebbe riservato il secolo successivo.  
Il realismo della ricostruzione è quasi maniacale; le case di Schabbach sono state costruite di sana pianta, i costumi di Eshter Amuser tutti filati a mano e le fonti luminose sono state il più possibile restituite al naturale grazie all’uso delle riprese in digitale, che alternano un nitido bianco e nero e singoli elementi sporadicamente a colori (piante, fiamme, sole, sangue e denaro). 
Grande narrazione e forte impatto visivo firmati da un maestro del cinema tedesco. 
 
Angelo Santini