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In questo clima distopico, purtroppo reale, dove la presenza di un virus influenzale potenziato all’ennesima potenza sta mettendo in ginocchio la vita di tutti i giorni e l’economia mondiale, anche il mondo del cinema deve arrendersi e chiudere le sue porte. O almeno chiuderle in parte, visto che in questi giorni, in poche sale esce Volevo Nascondermi di Giorgio Diritti (David di Donatello 2010 per l’Anno che Verrà), dopo il successo ottenuto all’ultimo Festival di Berlino appena concluso. Hidden Away, così è stato presentato alla Berlinale edizione 70, letteralmente significa “nascosto”. E forse cade proprio a pennello questo titolo. Stiamo tutti belli nascosti nelle nostre case in attesa di un miglioramento della situazione sanitaria. Celati, coperti e latitanti come il protagonista del film Antonio Ligabue (Elio Germano - Palma d’oro come migliore attore al Festival di Cannes 2010 per la sua interpretazione ne La nostra Vita), pittore e scultore italo (l’Emilia è la sua vera casa) svizzero famoso per la sua arte naif. Ma al contrario dell’artista noi siamo convinti che le cose miglioreranno, per lui nascondersi è stato un obbligo per tutta la sua vita. Elio Germano per la sua performance ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale. Il film sta tutto nella prova one man show dell’attore romano. Che a noi è sembrata un po’ sopra le righe. Ricade troppo spesso nell’overacting. Il film non giova di questo e con l’andare del tempo la pellicola rimane solamente rinchiusa nelle smorfie di dolore del protagonista; non riuscendo fino in fondo a farci capire quanto l’arte di Ligabue lo rendesse intimamente felice e l’importanza che ha avuto per i posteri. Non si scorge mai un barlume di luce.
Antonio Ligabue (1899-1965), chiamato Toni e successivamente “El Tudesc”, fin dalla giovane età ha una crescita incolore, colma di solitudine ed amarezze famigliari. Il colore, al massimo della sua saturità’, ci penserà lui ad usarlo assiduamente nei suoi dipinti. L’infanzia la vive in Svizzera in affidamento ad una coppia con la quale non ha molto dialogo. Fin tanto da attaccare fisicamente la madre adottiva. Cacciato dalla nazione elvetica trova rifugio sulle rive del fiume Po’. Vive di stenti ed incute timore alla gente dei poderi limitrofi. In lui pervade sempre un senso di smarrimento. L’unico modo per sperare ed evadere da pensieri attanaglianti è quello di dipingere. I suoi quadri hanno come protagonisti animali selvaggi della foresta, che aggrediscono quelli più in basso nella catena alimentare. Ma la vegetazione non è quella lussureggiante dei tropici, è la natura della cosiddetta “bassa” fatta di fitti boschi e pianure, sempre con il suo amato fiume Po’ presente. Quando incontra Renato Marino Mazzacurati la sua vita cambia e capisce che il suo sostentamento può arrivare dal suo modo di concepire l’arte. Il suo aspetto fisico non lo aiuta ad interagire con il mondo. In più la sua vita gitana e paranoica non collima con gli ambienti degli intellettuali, ma riesce comunque a far breccia e a guadagnare palate di denaro. Soldi tutti spesi in motociclette, la sua vera passione oltre la pittura. Non si toglierà mai, anche dopo la fama, quell’aurea di diverso.
Giorgio Diritti questa volta non è riuscito appieno a convincere. Non solo la direzione del film non è fluida ed accattivante, ma anche la scrittura ha dei problemi di fondo (scritto con l’aiuto di Tania Pedroni). Il registro è sempre mono corda. L’intensità narrativa non decolla mai e l’atmosfera è piatta. Interessante, come sempre nei film del regista bolognese, rimane la messa in scena dei luoghi in cui si svolge la vicenda. Ottima la ricostruzione degli ambienti rurali in cui ha vissuto Ligabue. I cascinali, dove al loro interno si consuma la vita di campagna con la pasta fatta in casa e il formaggio sempre fuori pronto per essere grattugiato, portano lo spettatore in quell’epoca fatta di luoghi e costumi genuini ed incontaminati. Il supporto della scenografa Ludovica Ferrario è stato fondamentale. Questo è un particolare del film, che riesce a far sentire a proprio agio lo spettatore.
Il vero difetto di Volevo Nascondermi è quello di non approfondire l’arte del grande artista. Non che si voglia che ci vengano spiegati i quadri, ma soffermarsi soltanto sullo stato instabile di Ligabue è assolutamente riduttivo. Al film manca decisamente una spinta emotiva. Filo ricattatorio perché non esce mai dalla rappresentazione di un Ligabue malato e problematico. Puntare il riflettore sulla diversità intesa come genio avrebbe dato alla pellicola la giusta forza e quel grado di approfondimento corretto, che avrebbe innalzato la figura del pittore e del film stesso.
Prendere l’esempio da un riuscitissimo film come ll mio piede sinistro di Jim Sheridan. L’handicap in questo caso non è solo portatore di distacco dalla vita, ma il premio Oscar Daniel Day Lewis viene descritto come coraggioso e innamorato di quello che la vita gli offre: la sua pittura. Nel film di Diritti questo modus operandi più edificante non è presente.
David Siena