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Un altro ferragosto

Giovedì 07 Marzo 2024 11:57 Pubblicato in Recensioni
Paolo Virzì, a distanza di 28 anni, torna sull’isola di Ventotene per girare il sequel di “Ferie d’agosto” che alla sua seconda prova registica gli valse il David di Donatello come miglior film.
“Un altro ferragosto” ritorna negli stessi luoghi con buona parte del cast precedente e con due tristi mancanze (Ennio Fantastichini e Piero Natoli rispettivamente Ruggero Mazzalupi e il cognato Marcello nella finzione).
Virzì ci racconta un ferragosto odierno mantenendo intatta la contrapposizione tra i Molino, radical-chic intellettuali di sinistra e i Mazzalupi ignoranti burini e arricchiti di destra. Una contrapposizione quasi manichea con l’aggiunta sapiente di alcuni personaggi nuovi che fanno da tramite fra i due gruppi parentali apportando anche freschezza alle dinamiche che si instaurano fra gli stessi. Vinicio Marchioni interpreta il futuro sposo di Sabrina Mazzalupi, ragazzina complessata nel primo film che ritroviamo adulta e con una carriera lanciatissima come influencer.
Alberto (Andrea Carpenzano) è il figlio che veniva annunciato al capofamiglia Molino (Silvio Orlando) e ora è un imprenditore di successo, sposo novello di un modello americano. Se nel primo lungometraggio l’occasione per una lite e una rottura definitiva era la violenza gratuita rivolta ad un ragazzo di colore che cercava di sopravvivere vendendo sulla spiaggia la sua povera mercanzia in questo nuovo film invece il crimine più esecrabile commesso dalla famiglia Mazzalupi è quello di essere omofoba come se l’essere razzisti non fosse più esclusivo appannaggio delle sole classi volgari e becere di destra ma traversale all’intera umanità e la nuova frontiera dell’intolleranza si sia spostata invece sull’orientamento sessuale.
 Questo film per Virzì poteva essere un terreno scivoloso che lo avrebbe esposto a molteplici rischi. La pellicola poteva risultare ripetitiva, noiosa, pleonastica e tacciata di sforzo inutile, e invece, annullando quasi completamente i flash-back e lasciando solo qualche sporadico fermo immagine ripreso dal passato ha riportato il racconto nel presente senza l’impressione di stacchi come se fosse tutto naturale. Con pochi elementi nuovi è riuscito a dare nuova linfa ad un film che ha segnato il suo tempo e lo ha svecchiato con l’introduzione delle principali problematiche della società contemporanea. E’ un film che utilizza la nostalgia come lima per riportare in vita quella tavolata di personaggi che sono diventate macchiette e sono entrate con forza nell’immaginario collettivo di una generazione.
 Un film che non fa rimpiangere il precedente perché non ha la pretesa di essere migliore ma semplicemente quello di completare e arricchire il quadro rappresentato quasi tre decenni orsono. Se il primo film risultava più scanzonato questo è sicuramente più maturo e consapevole. Si può ancora ridere di certi comportamenti ma purtroppo non sono più così estremi ma divenuti tristemente ordinari e trasversali.
 Virzì con questo film chiude il cerchio e accompagna nell’aldilà la vecchia generazione. Se Alessandro Molino detto Sandro si abbandona ad un sonno profondo dove finalmente il sogno di riscatto dell’Italia può finalmente compiersi dall’altra parte la moglie Luciana Mazzalupi seguirà il marito tanto amato in un mare di oblio. Rimangono le nuove leve, le nuove generazioni. Bambini e ragazzi adolescenti un tempo ma ora uomini e donne chiamati ad essere protagonisti dei propri tempi. Tempi bui, illuminati sempre e solo dalle luci degli smartphones, a favore di social, in una realtà parallela che fagocita tutti e tutti in un gigantesco Truman show.
 I tempi sono cambiati e non c’è da stare allegri.  C’ è un livellamento culturale verso il basso che trascina sempre più giù, alla deriva.
 Meglio andarsene piuttosto che assistere a questo annichilimento delle coscienze. Non si salva proprio nessuno e cala il sipario su un mondo di ideali strenuamente difeso ma che ha perso piano piano tutti i suoi baluardi. Il soldo facile è l’unica chimera da inseguire per entrambi gli schieramenti. Non rimane niente da salvare, resta solo il tempo per reagire e provare ad invertire la rotta. Non è mai semplice replicare il successo di un film e i sequel spesso sono l’ombra dei loro predecessori ma in questo caso invece il film non presta il fianco a critiche e si fa guardare piacevolmente.
 Una bella conferma della bravura di Virzì anche se, per ragioni ovvie, non siamo sorpresi dalla trama che non brilla certamente per originalità.
 
Virna Castiglioni 
 

La sala professori

Giovedì 29 Febbraio 2024 08:56 Pubblicato in Recensioni
La protagonista Carla Nowak è una brava insegnante. Appassionata del suo lavoro, dolce ma severa, è una guida per i suoi studenti che la assecondano anche in quei rituali decisamente un pò infantili ma che contribuiscono a ridurre le distanze e a rendere il clima in classe più disteso e sereno.
Tutto precipita quando anche lei cede al clima di caccia alle streghe che si respira all’interno della scuola a causa di strani e ripetuti furti di denaro che avvengono e per i quali non si capisce come si possa individuare il colpevole affinché cessi il malcontento.
Per arrivare più velocemente alla verità ma soprattutto per far decadere i sospetti che coinvolgono anche un suo alunno questa dolce e comprensiva maestra decide, di sua iniziativa personale, di lasciare nella sala professori che docenti e personale amministrativo frequentano un portafogli all’interno della tasca della giacca posizionandola sulla sedia di fronte alla webcam del suo laptop aperto sulla scrivania.
Questa semplice intuizione porta subito allo scoperto il presunto colpevole e il sospetto diventa, nel giro di poco tempo, accusa diretta e sentenza lapidaria.
Eppure un caso così elementare e così facile da individuare non è altrettanto semplice da liquidare e gestire senza conseguenze e strascichi anche pesanti.
La presunta ladra è anche la madre di uno degli alunni della professoressa che è anche il più dotato e intelligente del gruppo classe. Da questo momento la regia è brava e attenta a svelare anche i minimi cambi di relazione, ad indagare nella psicologia di tutti i personaggi coinvolti con grande profondità, a scavare nelle emozioni e nei pensieri che accompagnano i gesti e muovono i comportamenti che mutano con il mutare degli eventi.
Ci sono vari piani di relazioni, intrecci delicati e tutti sono ben esplorati. La professoressa e i colleghi, la professoressa e la preside, la professoressa e i genitori degli alunni ma soprattutto questi ultimi tra di loro e nei suoi confronti.
Un film che affronta piani diversi, racconta dell’educazione, quella impartita, quella ricevuta, di quello che è 
giusto e sbagliato, di ciò che è bene e male, di scuola che non è solo mero trasferimento di saperi ma soprattutto luogo deputato per apprendere un modo corretto di comportarsi e di stare nel mondo.
Un film molto intimista dove c’è poca azione e tutto quel poco che avviene è fortemente strumentale a mostrare come un modo sbagliato di agire può finire per compromettere tutto il buono e il bello che si è con tanta fatica e dedizione saputo costruire. La fiducia e l’armonia si può repentinamente tramutare in ricatto e sospetto contribuendo a trascinare nel baratro vite intere.
 
Virna Castiglioni 

Totem - Il mio sole

Giovedì 07 Marzo 2024 09:35 Pubblicato in Recensioni
Non temere la morte ma fare in modo che si senta accolta come la principale invitata ad una festa. In totem, opera seconda della regista messicana Lila Aviles, lo spettatore è esso stesso invitato ad una celebrazione, ad un rito di passaggio, ad un funerale, ad un commiato ma tutto avviene come se si stesse andando ad una prima teatrale, ad un ballo in maschera.
Non c’è evidenza di dolore sfacciatamente gettato in pasto ma, al contrario, una delicatezza e un riserbo che ci fanno pensare alla malattia, alla sofferenza e al dispiacere di una vita che si spegne come a qualcosa che non vada per forza combattuto con vigore e aggressività ma che invece possa essere accolto ed accettato come un dono.
La regista sceglie di girare utilizzando il formato 4/3 che comprime la scena e la schiaccia ma nel contempo la rende anche più intima e raccolta.
Le scene si svolgono sempre in luoghi chiusi, all’interno di case. In esse si alternano angoli bui e solo qualche spiraglio di luce buca l’oscurità nelle quali le scene sono perennemente immerse. Tutti gli ambienti inquadrati sono ricchi di anfratti, di nascondigli, di grotte metaforiche dove celarsi al mondo esterno, dove recuperare le forze, dove resistere, dove ritemprarsi anche ubriacandosi per dimenticare che si sta cercando di fare buon viso a cattivo gioco.
Molto convincente la dicotomia fra mondo adulto e mondo bambino. La regista sceglie di indagare il punto di vista di Sol di soli sette anni interpretata magistralmente dall’attrice esordiente Naima Senties. 
Tutto il film è un passaggio sotto la lente prismatica dello sguardo infantile ma già molto adultizzato di questa bambina che ha un padre in punto di morte. Inconsapevolmente raccoglie il dolore che aleggia intorno a lei per tramutarlo in speranza, la serietà per convertirla in leggerezza, il buio per trasformarlo in luce che illumina, in un sole che scalda anche la stanza più fredda dove giace un padre che non si può disturbare perché impegnato a recuperare le forze in vista dell'ultimo saluto. 
In Totem si parla di morte e di dolore ma senza mai appesantire il racconto che si mantiene soave riuscendo a non scadere mai nella tragedia.
Ogni gesto e ogni movimento apparentemente ordinario racchiude un significato profondo e anche il travestimento è solo un modo per esorcizzare qualcosa che non si può evitare. Un film delicato corale che racconta una disgrazia con il sorriso di un carnevale. 
 
Virna Castiglioni

Ghost Detainee – Il caso Abu Omar

Lunedì 05 Febbraio 2024 09:22 Pubblicato in Recensioni
Il documentario Ghost Detainee – Il caso Abu Omar incentrato sulla figura dell’imam della moschea milanese ci riporta all’anno 2003. Un anno fondamentale per la lotta al terrorismo internazionale.  Le truppe americane entrano in Iraq. Saddam Hussein è il ricercato numero uno e ogni pretesto è buono per vendicare l’attentato alle Torri Gemelle del 2001.
 In questo contesto avviene il rapimento dell’Imam della moschea milanese di viale Jenner Abu Omar.
 Rapimento che viene acclarato sia stato compiuto ad opera di agenti della CIA con la collaborazione anche dei servizi segreti italiani. E’ la politica attuata dagli Stati Uniti D’America della “rendition” ossia sequestrare un nemico e portarlo in Paesi dove i diritti umani sono palesemente violati facendogli subire vessazioni e torture di ogni genere. Il documentario ricostruisce con dovizia di particolari e senza paura di venire smentiti tutta la vicenda che ha portato l’emersione della verità attraverso interviste ai reali protagonisti della vicenda.
 Siamo edotti circa un attacco grave che ha subito la democrazia del nostro Paese che, per la prima volta, è stato messo in atto da una potenza alleata. Un incidente che usurpa la sovranità del nostro Stato che è inviolabile da chiunque. La vicenda ha anche molti risvolti sconcertanti a partire dalla perdita di tempo iniziale circa l’accertamento della dinamica dei fatti che potesse aver portato al rapimento di un personaggio considerato non pericoloso sebbene attenzionato dalla Procura per la sua attività di guida della comunità islamica sul nostro territorio ma soprattutto non sospettato di appartenere a gruppi terroristici o a cellule dormienti della jaad. Le acquisizioni delle celle telefoniche vengono consegnate alle autorità inquirenti che le hanno richieste con un range temporale sfalsato addirittura relativamente all’anno rispetto a quello incriminato. Ben quattro governi italiani di colore politico differente guidati rispettivamente da Berlusconi, Prodi, Monti e Letta non hanno mai avuto la forza e il coraggio di andare fino in fondo facendo giustizia e condannando a pena certa coloro i quali si erano resi protagonisti di questi reati gravissimi contro lo Stato italiano. Ci si è sempre appellati alla Ragion di Stato, al segreto che avrebbe compromesso la sicurezza del nostro Paese e non si è potuto procedere nei confronti degli appartenenti all’intelligenze italiana collaborante con gli agenti della CIA. Per questi ultimi, tutti condannati non è stata mai presentata formale richiesta di estradizione e di fatto non hanno mai pagato per le conseguenze nefaste delle loro azioni. Solo due agenti catturati in altri Stati avrebbero potuto essere assicurati alla giustizia ma in questo caso si è preferito utilizzare lo strumento della grazia. Abu Omari è stato risarcito per le torture inflitte ingiustamente solo dal governo italiano e sebbene condannato per altri reati anche per lui non si è mai richiesta l’estradizione.
 Una vicenda buia che interroga la società civile sul significato più alto e profondo di democrazia, di tutela dei diritti umani, di giustizia e legalità e ci espone come Occidente a critiche feroci di chi insinua che il nostro ordinamento giudiziario ha falle e non risulta migliore se non riesce a punire chi persegue i suoi nemici con gli stessi aberranti metodi che a parole si professa di voler condannare e provare a sconfiggere.
 La regia è molto attenta e scrupolosa e, attraverso un montaggio molto ben calibrato, ci conduce al nucleo della verità senza annoiare, senza appesantire la narrazione dei fatti, tenendo sulla corda e appassionando alla storia che aveva avuto un grande risalto mediatico per venire progressivamente eclissata, con la precisa volontà di farla rimanere ben sepolta e, grazie a questo insabbiamento, innocua.
 
Virna Castiglioni