Dagli stracci alla ricerca: l' incredibile vicenda umana che vede protagonista lo scienziato di origini italiane Mario Capecchi premio Nobel per la medicina nel 2007.
Il film di Roberto Faenza è un inno al coraggio, alla determinazione, alla resilienza e alla speranza nel futuro a prescindere dalle condizioni di partenza. La pellicola si sofferma su un arco temporale ristretto: le peripezie, i dolori e le sofferenze patite da questo bambino (interpretato in modo egregio da Lorenzo Ciamei) dai quattro agli undici anni nel periodo buio del nazifascismo in Italia. Figlio di Lucy una donna americana (Laura Haddock) costretta a separarsi da lui per salvarlo nascondendolo in montagna prima di essere catturata e deportata in un campo di concentramento e di Luciano (Francesco Montanari), italiano fascista e violento.
Il distacco lacerante dalla madre prima e il ripudio del padre poi, passando per una lunga serie di vicende dolorose, fino all'insperato ricongiungimento materno dal quale avrà inizio una nuova vita. L' America lo accoglierà anch'essa al pari di una madre nella comunità quacchera Hill of Vision, dove vivono gli zii materni, determinanti per instradarlo sulla via dello studio e dell'impegno. Anche questi primi anni in una nuova patria non saranno semplici perché necessiteranno di adattamento, apprendimento di nuove regole, usi, costumi oltre ad un nuovo idioma e ancora ad un distacco che vede la madre dover ricorrere a cure per superare il trauma della deportazione. La scena finale poetica che vede Mario reintegrato a scuola dopo un'espulsione, seduto all'ultimo banco (umile e dignitoso) ma abbracciato dalla madre che gli siede accanto, rappresenta il simbolo della rinascita che può essere vissuta da chiunque, quando si ha la volontà di lavorare su se stessi e si cerca di creare un mondo a misura di anime gentili e non più solo di cani arrabbiati. Il film anche se un po' troppo didascalico e con un montaggio che crea un ritmo altalenante fra parti più scorrevoli e parti decisamente meno incisive, ha il pregio di porre in luce una vicenda personale fuori dal comune. Un plauso anche alla scenografia con dettagli puntuali circa la ricostruzione degli ambienti che fanno da sfondo alle vicende (Francesco Frigeri) e ai costumi (il premio Oscar Milena Canonero) rappresentativi e aderenti al contesto. Un film che mette in luce la straordinaria vita di un uomo e regala fiducia e ottimismo in un periodo complesso come quello odierno.
Virna Castiglioni
"Chi non conosce la storia è destinata a ripeterla" diceva il politico e filosofo britannico Edmund Burke, già nella seconda metà del '700. Una frase che, incisa in trenta lingue diverse, campeggia su un monumento nel campo di sterminio di Dachau perché faccia da monito.
Ari Folman, regista e sceneggiatore israeliano con un personale passato legato alla Shoah (i nonni furono deportati ad Auschwitz la stessa settimana in cui la famiglia Frank entrò nel campo di Bergen-Belsen) dopo "Valzer con Bashir" del 2008 sulla guerra in Libano degli anni ottanta si cimenta nuovamente con il genere di animazione e propone la sua personale versione del celeberrimo diario di Anna Frank.
A parlarci è Kitty, l'amica immaginaria destinataria del diario che Anna scrisse mentre si trovava nascosta in una soffitta insieme alla sua famiglia per sfuggire alla deportazione nazista.
Tutto il film è giocato su due piani temporali differenti che si alternano con grande equilibrio: il passato vissuto da Anna che torna in vita grazie alle pagine del diario lette da Kitty e i nostri giorni che la vedono muoversi nella Amsterdam odierna alla ricerca della sua amica perduta che scoprirà essere morta proprio in un campo di concentramento.
Il film risulta molto delicato nonostante il tema cupo trattato e si conclude con una bella azione che lascia intravedere una speranza legata soprattutto alle nuove generazioni che sono abituate a vivere in un mondo multietnico e che trovano normale confrontarsi con popolazioni dalle provenienze più disparate. Nella pellicola sono presenti molte suggestioni e una su tutte potrebbe essere considerata la vera posizione espressa dal cineasta. Anna ama il cinema e, prigioniera nel sottotetto, conserva i poster dei suoi attori preferiti che nei suoi sogni diventano gli eroi e le eroine che possono cambiare in meglio il destino delle persone, proprio perché il cinema è una forma di espressione potente che raggiunge chiunque senza distinzione alcuna e ha la forza di formare le coscienze, di influenzare i comportamenti, di imprimere con forza messaggi positivi. Questo film dai manifesti intenti pedagogici ha tutte le caratteristiche per diventare un valido supporto didattico per le scuole di ogni ordine e grado perché attraverso la magia del cinema di animazione si possa far conoscere questa storia dolorosa e buia anche ai bambini e si imprima il prima possibile in loro il dovere di impegnarsi perché non possa mai più accadere una tale atrocità.
Non a caso questa pellicola è la prima ad essere sostenuta dall'Anne Frank Fonds di Basilea e in partnership con l'UNESCO, dalla Claims Conference e dalla Fondazione della Memoria della Shoah.
Virna Castiglioni
Brado scritto e diretto da Kim Rossi Stuart che ne è anche attore protagonista ci parla di protezione di un padre verso il figlio ma anche della maturità di quest' ultimo che salva e tutela il genitore. L' alchimia creata dai due attori protagonisti traspare per tutta la durata della pellicola e ci regala un'interpretazione eccellente del legame profondo fra un padre spigoloso e ruvido (un sempre bravo Kim Rossi Stuart) e un figlio sensibile e responsabile (un Saul Nanni molto convincente). Un rapporto doloroso raccontato attraverso dialoghi appassionati ma soprattutto veicolato da sguardi e primi piani intensi. La vicenda personale di questo legame un po' logoro ma molto tenace si lega a quella più allargata del ranch chiamato "Brado" e del lavoro di addestramento di cavalli che ha fatto del padre una specie di eremita solitario contro tutto e tutti. Il finale avrebbe potuto avere un'evoluzione positiva e concludersi con un banale lieto fine ma la scelta registica meno scontata è premiante. Anche se più difficile, la ricerca di un senso viene cercata e anche trovata nella sofferenza, nella morte, nelle relazioni tossiche, nel lavoro umile ma dignitoso perché la vita svela i suoi segreti e dispiega i suoi insegnamenti in ogni frangente, anche servendosi degli esempi più duri. Gli ostacoli che disseminano il percorso in una gara equestre sono la metafora perfetta di quello che avviene nella vita terrena. Serve coraggio, determinazione e un po' di incoscienza per superare gli scogli indenni e sentirsi più forti e sicuri. Immersi in una scenografia da moderno western, con una colonna sonora ben calibrata, Brado conferma Kim Rossi Stuart un grande attore e lo consacra alla sua terza prova dopo "Anche libero va bene" del 2006 e "Tommaso" del 2016 anche un valido regista che alterna il piano drammatico predominante a scene più leggere che creano un bel ritmo armonico. La sceneggiatura caratterizza i personaggi in modo puntuale, li rende credibili e ce li fa amare. Tifiamo per loro e vorremmo che tutto andasse nel migliore dei modi ma non perseguire la scelta più prevedibile rende ancora più convincente il tutto. Brado si basa sul racconto "la lotta" che è parte di un'antologia scritta dallo stesso Kim Rossi Stuart intitolata "le guarigioni".
Virna Castiglioni
"Io sono l'abisso" ci parla, tenendoci con il fiato sospeso, dell'origine del male e di quanto questo male possa essere circolare. Protagonista è un uomo che svolge la professione di netturbino. Proprio nella spazzatura cerca tracce e modi per incastrare le sue potenziali vittime, tutte accomunate da una chioma bionda come quella della madre. La violenza, attraverso continui flashback, viene spiegata, circonstanziata e quasi giustificata. Un uomo violento è sempre stato anche un bambino violato e vittima egli stesso che ha assorbito, come se fosse nutrimento, la violenza stessa. Nel caso specifico il passato di questo uomo, ripercorso in modo discontinuo ma estremamente efficace perché il racconto risulti fluido e comprensibile, è una discesa ad inferos dove anche il legame materno è intriso di dolore e stilla violenza come la goccia che scava la roccia e crea una voragine condannando all'infelicità personale e alla pericolosità sociale. Da adulto cercherà vendetta e, in questo folle progetto, la sua missione si incontrerà con due altre abissali solitudini. Da una parte la cacciatrice di mosche che, per un immenso dolore privato, ha come ragione di vita la cattura di uomini misogini che abusano delle donne e dall'altra la ragazzina con il ciuffo viola che non riesce ad uscire per paura e vergogna dallo sfruttamento sessuale e dalla sudditanza psicologica conseguenti ad un incontro sbagliato con un coetaneo anaffettivo. In tutto questo lo spettatore è condotto per mano in un abisso sempre più scuro e profondo ma anche nel peggiore degli uomini risiede un barlume di empatia che può redimerlo rendendolo salvifico nei confronti del prossimo. Il finale è anch'esso spiazzante e, svelando un rapporto di conoscenza che lega il serial killer e chi si è messo sulle sue tracce per stanarlo e fermare la scia di morte, scopriamo che non c è speranza nemmeno quando pensiamo di essere in salvo perché qualcuno ha aiutato il destino avverso e ha reso possibile un lieto evento che avrebbe potuto non arrivare a compimento. Donato Carrisi dopo "La ragazza nella nebbia" del 2017 e "l'uomo del labirinto" del 2019 con questo nuovo thriller si consacra maestro del genere e alza ancora l'asticella immettendo anche elementi puramente drammatici che completano e regalano maggiore spessore all'opera. Gli interpreti sono perfetti nei ruoli assegnati e con grande naturalezza si muovono in uno scenario di degrado umano e sociale. Il montaggio è ben eseguito e proprio grazie ad un gioco di rimandi perfetto tra spazi temporali differenti tutto si chiarisce e non rimangono zone d'ombra di difficile comprensione. Un film che ha tutti gli ingredienti per piacere al grande pubblico ma conserva degli elementi sorprendenti anche per i soli appassionati del genere thriller.
Virna Castiglioni