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Visualizza articoli per tag: virna castiglioni

Dream scenario

Giovedì 16 Novembre 2023 21:35
Diventare famosi comporta sempre degli effetti indesiderati. Kristoffer Borgli in questa pellicola che rappresenta il suo debutto in un film in lingua inglese, dopo il fortunato e convincente “Sich of my self”, torna ad esplorare il tema del successo conquistato svelandone i retroscena, il rovescio della medaglia, lo scotto da pagare che è sempre in agguato e si palesa inevitabilmente.
 
In “Dream Scenario” è tutto spostato sul piano psicologico e mentale a differenza del suo precedente lavoro dove invece la fama era il risultato di una mostruosità fisica esibita con orgoglio e rivendicata come autentica. In questo caso la parabola discendente è quella di un anonimo professore universitario di biologia.
 
Paul Matthews ha ambizioni stroncate e sogni di rivalsa messi nel cassetto. La spinta per cambiare lo scenario di una vita piatta, banale e di noia ordinaria fra lavoro e vita familiare comune è l’inaspettata fama derivata dall’essere inspiegabilmente la presenza costante nei sogni e successivamente anche negli incubi di conoscenti, familiari e amici ma ben presto anche di milioni di sconosciuti in tutto il mondo.
 
Se inizialmente questa popolarità estemporanea e per nulla cercata può sembrare il trampolino di lancio per riprendere in considerazione certi obiettivi e cercare di renderli concreti ben presto il gioco si rivelerà tutt’altro che semplice. Anzi, la gogna mediatica che assale chi è esposto viene scandagliata ed esibita nella sua massima potenzialità di espressione.
 
Punto di forza assoluta è la prova attoriale di un Nicolas Cage tornato a raggiungere altezze interpretative da capogiro. Perfetto nella fisicità, con una mimica facciale sempre appropriata e un uso sapiente di gestualità, presenza scenica e padronanza tecnica regala una delle sue migliori interpretazioni riabilitandosi ad attore meritevole di premi.
 
Borgli, dal canto suo affronta, con la sua personale cifra stilistica ammantata di surrealismo, molti temi spinosi e di grande attualità.
 
Attraverso una trama semplice e nemmeno originale in quanto permeata da una leggenda metropolitana diffusa su internet (in realtà una guerriglia marketing creata dal pubblicitario Andrea Natella) elabora con acume una moltitudine di spunti di riflessione molto interessanti.
 
Un film che mantiene un buon ritmo narrativo e interroga lo spettatore su tematiche che lo toccano da vicino offrendo chiavi di lettura intelligenti e condivisibili. Soltanto la parte di cancel culture risulta essere troppo ampia e trascinata per troppo tempo correndo il rischio concreto di annoiare anziché tenere sulla corda.
 
Virna Castiglioni
Dopo 10 anni dalla pubblicazione in Italia de “Il canto della rivolta”ultimo capitolo della trilogia di Hunger Games, l’autrice Susanne Collins ci riporta nel mondo fantastico e apocalittico di Panem con un nuovo racconto prequel: Ballata dell’usignolo e del serpente. 
 
Esce in sala dopo otto anni dall’ultima trasposizione cinematografica (Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 2) e ci riporta agli antefatti, agli albori della saga che ha conquistato milioni di seguaci.
 
Anche se si sa già cosa sono i tributi, i 12 distretti che ruotano intorno a Capitol City, in cosa consiste il giorno della mietitura, qual è la particolarità degli hunger games tutto è ancora in parte sconosciuto e quello che viene presentato costituisce una piacevole sorpresa e novità.
 
In  questo nuovo capitolo c’è un po' la chiusura del cerchio e si spiega per filo e per segno l’evoluzione che hanno subito i personaggi che abbiamo conosciuto fino a questo momento.
 
Questo prequel sceglie come protagonista assoluto l’unico e vero villain della saga. Il Presidente Coriolanus Snow che abbiamo conosciuto già da anziano è svelato qui nella sua infanzia, adolescenza e giovinezza e ci viene svelato cosa ha portato il personaggio a diventare un sanguinario tiranno senza scrupoli e rimorsi di coscienza.
 
A fare da contraltare la nuova protagonista femminile Lucy Gray Baird direttamente dallo stesso distretto 12 dal quale proveniva l’eroina precedente dalla quale però se ne discosta in modo totale.
 
Il punto di forza di questo nuovo capitolo è sicuramente la caratterizzazione ambigua dei personaggi principali che sono entrambi in parte innocui, candidi e delicati come gli usignoli ma anche perfidi, malvagi e subdoli come i serpenti.
 
In Corolianus che abbiamo sempre e solo visto come il cattivo della saga in questo antefatto conserva ancora un po' di tutte e due le anime  anche se già si potrà intuire che prevarrà il lato oscuro e cupo nel proseguo della storia.
 
La complessità psicologica dei personaggi è resa dall’utilizzo di attori che sono in apparenza belli ed esteticamente perfetti ma agiscono come se avessero un animo oscuro e multisfaccettato. Tom Blyth è di una bellezza algida e sofisticata e richiama nelle fattezze fisiche Donald Sutherland che interpreterà il personaggio in età più adulta. Rachel Zegler è la ragazza bella, affascinante, forte e tenace dalla voce suadente e incantatrice ma allo stesso tempo manipolatrice e capace di piegare gli eventi a suo unico scopo e vantaggio.
 
Sebbene sembri esserci complicità fra i due e quasi possa sbocciare un sentimento puro esso si rivela fatuo, calcolatore, approfittatore ed egoistico e della peggior specie da entrambi le parti.
 
Ambientato 64 anni prima rispetto ai capitoli precedenti la regia di questo prequel e spin off è affidata a Francis Lawrence che aveva già firmato due dei quattro Hunger games precedenti.
 
Molto ben costruita la parte di azione, le scene violente e cruenti hanno sempre un gusto raffinato ed elegante, tanti i simbolismi ben disseminati e le parti recitative cantate si incastrano bene senza appesantire la narrazione che rimane per tutto il lungo minutaggio fluida e scorrevole.
 
Questo prequel ben girato avrà sicuramente la forza di risollevare la popolarità del franchise, un po' depauperata dagli ultimi episodi che avevano perso smalto dopo l’esordio folgorante che aveva riscosso un successo planetario.
 
Virna Castiglioni

Runner

Giovedì 08 Febbraio 2024 21:48

"Runner" è una corsa che dura un giorno intero dall’alba al tramonto. E’ un inseguimento che si realizza in maniera claustrofobica all’interno di un grande albergo. E’ uno spasmodico rincorrersi, scontrarsi, sfuggire al nemico di turno diventandolo a propria volta. "Runner" è un action movie che racchiude in sè tutte le peculiarità del genere. "Runner" è anche una dedica al cinema prendendo spunto da uno dei lavori più umili ma anche indispensabili all’interno di un set cinematografico.

Il runner è in gergo un addetto che viene impiegato dalle produzioni e che comprende fra le sue mansioni precipue qualsiasi cosa, dal prendere il caffè per gli altri membri del personale all'andare a prendere gli ospiti all'aeroporto.

A interpretare i personaggi protagonisti sono una Matilde Gioli (la runner sul set Lisa) perfettamente a suo agio che recita moltissimo con il suo splendido corpo da ex ginnasta e che, al pari di una nostrana Tomb Raider, si butta in piscina, cammina sui cornicioni, striscia nei cunicoli, si nasconde all’interno di intercapedini, spara, salta, corre come un gatto per salvarsi la pelle.

Alle sue calcagna un Francesco Montanari che interpreta un agente dell' Interpol (Bosco) con un passato oscuro. Lisa viene incastrata e dovrà scappare per riuscire a salvarsi da chi la vorrebbe morta. La pellicola è tutta azione. Tutti inseguono questa donna veloce, furba e scattante. Insieme alla squadra capitanata dall'agente Bosco anche un reparto di poliziotti non troppo scaltri e un gruppo di addetti alla sicurezza che avrebbero tranquillamente fatto a meno di essere coinvolti in un inseguimento all'ultimo respiro. 

Se l’incipit del film è palesemente una finzione perché siamo sul set di un film horror dove la protagonista Sonja scappa inseguita da uomini armati di coltello il prosieguo fa pensare che invece un omicidio si sia verificato realmente e sia tutto vero. Ma il cinema è finzione sempre, anche quando sembra essere tutto realistico.

La colonna sonora perdura per tutta la pellicola tensiva e incalzante e accompagna l’adrenalina delle azioni.

Un film che fa scaturire tutto l’impegno profuso ma che non riesce nell’intento di incollare lo spettatore alla poltrona. Le scene sono prevedibili, vengono quasi anticipate, si verificano in maniera logica e non fanno sussultare ma soprattutto non hanno la forza giusta per sorprendere. La vera sorpresa è tutta concentrata nel finale e questo regalo conclusivo riabilita un pò tutto il film che altrimenti sarebbe una copia sbiadita dei film di azione che hanno fatto la storia del cinema nel passato.

Virna Castiglioni

Il cielo brucia

Giovedì 30 Novembre 2023 21:54

Ambientato in una casa al limitare di un bosco, nei pressi di una spiaggia che affaccia sul mar Baltico, il cielo brucia di Christian Petzold sembra una fiaba.
L’orco che viene a disturbare la quiete proviene sia dal cielo che fa piovere cenere perché tutto brucia e si sfalda ma è anche un mostro che scava dall’interno, costruisce barricate e muri che respingono tutti quelli che si ha intorno.
Leon è uno scrittore con il blocco creativo. Si crede un po' superiore a chi fa solo lavori prettamente fisici e pensa di essere destinato a grandi cose. Viene lasciato in disparte da tutti coloro che lo circondano, un po' per timore e un po' per rispetto.
Gli altri personaggi che alimentano la storia sono invece persone che amano profondamente la vita e cercano di trarne tutto quello che essa può offrire di bello.
Si innamorano, fanno sesso, mangiano, bevono e vivono le loro giornate facendo quello che più hanno voglia di fare e li appaga senza crogiolarsi in retropensieri che soffocano e fanno ammalare. Soltanto Leon ha un lavoro castrante che non gli consente divertimento, svago e leggerezza neppure quando si trova in vacanza. Ha scelto un lavoro che lo tiene incatenato e lo rende schiavo di imperativi categorici che sono solo frutto della sua mente.
Potrebbe essere la fine per tutti e rimanere zavorrati da una depressione cronica che dilaga e sconfina ma invece c'e' sempre un argine che interviene e blocca il fiume che è sempre sull'orlo di straripare. Nadja si scopre essere anche colta, letterata e studiosa attenta e Felix amante profondo e delicato. Un film che invita a riflettere su tanti temi a partire dall'egoismo e dall' essere centrati su se stessi senza rendersi conto di quello che avviene intorno o peggio basandosi soltanto sulle proprie idee come se fossero le uniche ad avere diritto di cittadinanza. Un film corale che esplora la solitudine del singolo incapace di interagire con i suoi simili e miope di fronte alle minacce globali di un clima che ci ricorda l'importanza di preservare un equilibrio indispensabile affinché non si verifichi un disastro al quale non si è più in grado di opporsi.

Virna Castiglioni

La canzone della terra

Domenica 14 Aprile 2024 22:38

La natura è per ogni essere umano madre. Ha un legame speciale con i suoi figli ma se non la rispettano a dovere si ribella e può diventare nemica e matrigna.
Nel documentario la natura estrema e incontaminata della Norvegia è la protagonista assoluta.
Dialoga con una coppia di genitori anziani che sono sempre rimasti nel luogo nel quale sono nati, sono stati educati al rispetto, ad abitare in un luogo sacro con la delicatezza di chi attraversa gli spazi in punta di piedi.
ll bisnonno del padre aveva piantato un albero su una collina per suggellare la nascita di un amore e ora, svettante e maestoso, ricorda che bisogna rispettare e amare quello che appartiene alla terra sulla quale siamo ospiti solo per un periodo breve e incerto.
Il racconto, confezionato dalla figlia regista della coppia, è un respiro profondo di aria pura, leggera e cristallina.
Siamo immersi in un paesaggio reso vibrante da una splendida fotografia che rimanda un ecosistema meraviglioso ma al contempo fragile e delicato.
Il ghiacciaio, custode di ere e testimone del tempo, soffre a causa del cambiamento climatico e vorrebbe urlare di invertire la rotta.
L’essere umano intelligente è colui che non lascia impronte ma mantiene silente il suo impatto, si comporta da ospite scrupoloso e attento a congedarsi dal mondo con la premura di chi lascia al legittimo proprietario la casa pulita e in ordine.
Un documentario molto delicato che ci accompagna con grazia e levità.
Un viaggio quasi fiabesco alla ricerca del significato profondo che racchiude la vita delle persone che sanno scegliere un luogo e si impegnano al meglio perchè anche le generazioni future possano incontrare una natura amorevole e bella nella sua originalità.

 

Virna Castiglioni

Ghost Detainee – Il caso Abu Omar

Lunedì 05 Febbraio 2024 09:22
Il documentario Ghost Detainee – Il caso Abu Omar incentrato sulla figura dell’imam della moschea milanese ci riporta all’anno 2003. Un anno fondamentale per la lotta al terrorismo internazionale.  Le truppe americane entrano in Iraq. Saddam Hussein è il ricercato numero uno e ogni pretesto è buono per vendicare l’attentato alle Torri Gemelle del 2001.
 In questo contesto avviene il rapimento dell’Imam della moschea milanese di viale Jenner Abu Omar.
 Rapimento che viene acclarato sia stato compiuto ad opera di agenti della CIA con la collaborazione anche dei servizi segreti italiani. E’ la politica attuata dagli Stati Uniti D’America della “rendition” ossia sequestrare un nemico e portarlo in Paesi dove i diritti umani sono palesemente violati facendogli subire vessazioni e torture di ogni genere. Il documentario ricostruisce con dovizia di particolari e senza paura di venire smentiti tutta la vicenda che ha portato l’emersione della verità attraverso interviste ai reali protagonisti della vicenda.
 Siamo edotti circa un attacco grave che ha subito la democrazia del nostro Paese che, per la prima volta, è stato messo in atto da una potenza alleata. Un incidente che usurpa la sovranità del nostro Stato che è inviolabile da chiunque. La vicenda ha anche molti risvolti sconcertanti a partire dalla perdita di tempo iniziale circa l’accertamento della dinamica dei fatti che potesse aver portato al rapimento di un personaggio considerato non pericoloso sebbene attenzionato dalla Procura per la sua attività di guida della comunità islamica sul nostro territorio ma soprattutto non sospettato di appartenere a gruppi terroristici o a cellule dormienti della jaad. Le acquisizioni delle celle telefoniche vengono consegnate alle autorità inquirenti che le hanno richieste con un range temporale sfalsato addirittura relativamente all’anno rispetto a quello incriminato. Ben quattro governi italiani di colore politico differente guidati rispettivamente da Berlusconi, Prodi, Monti e Letta non hanno mai avuto la forza e il coraggio di andare fino in fondo facendo giustizia e condannando a pena certa coloro i quali si erano resi protagonisti di questi reati gravissimi contro lo Stato italiano. Ci si è sempre appellati alla Ragion di Stato, al segreto che avrebbe compromesso la sicurezza del nostro Paese e non si è potuto procedere nei confronti degli appartenenti all’intelligenze italiana collaborante con gli agenti della CIA. Per questi ultimi, tutti condannati non è stata mai presentata formale richiesta di estradizione e di fatto non hanno mai pagato per le conseguenze nefaste delle loro azioni. Solo due agenti catturati in altri Stati avrebbero potuto essere assicurati alla giustizia ma in questo caso si è preferito utilizzare lo strumento della grazia. Abu Omari è stato risarcito per le torture inflitte ingiustamente solo dal governo italiano e sebbene condannato per altri reati anche per lui non si è mai richiesta l’estradizione.
 Una vicenda buia che interroga la società civile sul significato più alto e profondo di democrazia, di tutela dei diritti umani, di giustizia e legalità e ci espone come Occidente a critiche feroci di chi insinua che il nostro ordinamento giudiziario ha falle e non risulta migliore se non riesce a punire chi persegue i suoi nemici con gli stessi aberranti metodi che a parole si professa di voler condannare e provare a sconfiggere.
 La regia è molto attenta e scrupolosa e, attraverso un montaggio molto ben calibrato, ci conduce al nucleo della verità senza annoiare, senza appesantire la narrazione dei fatti, tenendo sulla corda e appassionando alla storia che aveva avuto un grande risalto mediatico per venire progressivamente eclissata, con la precisa volontà di farla rimanere ben sepolta e, grazie a questo insabbiamento, innocua.
 
Virna Castiglioni 
 
 

Totem - Il mio sole

Giovedì 07 Marzo 2024 09:35
Non temere la morte ma fare in modo che si senta accolta come la principale invitata ad una festa. In totem, opera seconda della regista messicana Lila Aviles, lo spettatore è esso stesso invitato ad una celebrazione, ad un rito di passaggio, ad un funerale, ad un commiato ma tutto avviene come se si stesse andando ad una prima teatrale, ad un ballo in maschera.
Non c’è evidenza di dolore sfacciatamente gettato in pasto ma, al contrario, una delicatezza e un riserbo che ci fanno pensare alla malattia, alla sofferenza e al dispiacere di una vita che si spegne come a qualcosa che non vada per forza combattuto con vigore e aggressività ma che invece possa essere accolto ed accettato come un dono.
La regista sceglie di girare utilizzando il formato 4/3 che comprime la scena e la schiaccia ma nel contempo la rende anche più intima e raccolta.
Le scene si svolgono sempre in luoghi chiusi, all’interno di case. In esse si alternano angoli bui e solo qualche spiraglio di luce buca l’oscurità nelle quali le scene sono perennemente immerse. Tutti gli ambienti inquadrati sono ricchi di anfratti, di nascondigli, di grotte metaforiche dove celarsi al mondo esterno, dove recuperare le forze, dove resistere, dove ritemprarsi anche ubriacandosi per dimenticare che si sta cercando di fare buon viso a cattivo gioco.
Molto convincente la dicotomia fra mondo adulto e mondo bambino. La regista sceglie di indagare il punto di vista di Sol di soli sette anni interpretata magistralmente dall’attrice esordiente Naima Senties. 
Tutto il film è un passaggio sotto la lente prismatica dello sguardo infantile ma già molto adultizzato di questa bambina che ha un padre in punto di morte. Inconsapevolmente raccoglie il dolore che aleggia intorno a lei per tramutarlo in speranza, la serietà per convertirla in leggerezza, il buio per trasformarlo in luce che illumina, in un sole che scalda anche la stanza più fredda dove giace un padre che non si può disturbare perché impegnato a recuperare le forze in vista dell'ultimo saluto. 
In Totem si parla di morte e di dolore ma senza mai appesantire il racconto che si mantiene soave riuscendo a non scadere mai nella tragedia.
Ogni gesto e ogni movimento apparentemente ordinario racchiude un significato profondo e anche il travestimento è solo un modo per esorcizzare qualcosa che non si può evitare. Un film delicato corale che racconta una disgrazia con il sorriso di un carnevale. 
 
Virna Castiglioni

La sala professori

Giovedì 29 Febbraio 2024 08:56
La protagonista Carla Nowak è una brava insegnante. Appassionata del suo lavoro, dolce ma severa, è una guida per i suoi studenti che la assecondano anche in quei rituali decisamente un pò infantili ma che contribuiscono a ridurre le distanze e a rendere il clima in classe più disteso e sereno.
Tutto precipita quando anche lei cede al clima di caccia alle streghe che si respira all’interno della scuola a causa di strani e ripetuti furti di denaro che avvengono e per i quali non si capisce come si possa individuare il colpevole affinché cessi il malcontento.
Per arrivare più velocemente alla verità ma soprattutto per far decadere i sospetti che coinvolgono anche un suo alunno questa dolce e comprensiva maestra decide, di sua iniziativa personale, di lasciare nella sala professori che docenti e personale amministrativo frequentano un portafogli all’interno della tasca della giacca posizionandola sulla sedia di fronte alla webcam del suo laptop aperto sulla scrivania.
Questa semplice intuizione porta subito allo scoperto il presunto colpevole e il sospetto diventa, nel giro di poco tempo, accusa diretta e sentenza lapidaria.
Eppure un caso così elementare e così facile da individuare non è altrettanto semplice da liquidare e gestire senza conseguenze e strascichi anche pesanti.
La presunta ladra è anche la madre di uno degli alunni della professoressa che è anche il più dotato e intelligente del gruppo classe. Da questo momento la regia è brava e attenta a svelare anche i minimi cambi di relazione, ad indagare nella psicologia di tutti i personaggi coinvolti con grande profondità, a scavare nelle emozioni e nei pensieri che accompagnano i gesti e muovono i comportamenti che mutano con il mutare degli eventi.
Ci sono vari piani di relazioni, intrecci delicati e tutti sono ben esplorati. La professoressa e i colleghi, la professoressa e la preside, la professoressa e i genitori degli alunni ma soprattutto questi ultimi tra di loro e nei suoi confronti.
Un film che affronta piani diversi, racconta dell’educazione, quella impartita, quella ricevuta, di quello che è 
giusto e sbagliato, di ciò che è bene e male, di scuola che non è solo mero trasferimento di saperi ma soprattutto luogo deputato per apprendere un modo corretto di comportarsi e di stare nel mondo.
Un film molto intimista dove c’è poca azione e tutto quel poco che avviene è fortemente strumentale a mostrare come un modo sbagliato di agire può finire per compromettere tutto il buono e il bello che si è con tanta fatica e dedizione saputo costruire. La fiducia e l’armonia si può repentinamente tramutare in ricatto e sospetto contribuendo a trascinare nel baratro vite intere.
 
Virna Castiglioni 

Un altro ferragosto

Giovedì 07 Marzo 2024 11:57
Paolo Virzì, a distanza di 28 anni, torna sull’isola di Ventotene per girare il sequel di “Ferie d’agosto” che alla sua seconda prova registica gli valse il David di Donatello come miglior film.
“Un altro ferragosto” ritorna negli stessi luoghi con buona parte del cast precedente e con due tristi mancanze (Ennio Fantastichini e Piero Natoli rispettivamente Ruggero Mazzalupi e il cognato Marcello nella finzione).
Virzì ci racconta un ferragosto odierno mantenendo intatta la contrapposizione tra i Molino, radical-chic intellettuali di sinistra e i Mazzalupi ignoranti burini e arricchiti di destra. Una contrapposizione quasi manichea con l’aggiunta sapiente di alcuni personaggi nuovi che fanno da tramite fra i due gruppi parentali apportando anche freschezza alle dinamiche che si instaurano fra gli stessi. Vinicio Marchioni interpreta il futuro sposo di Sabrina Mazzalupi, ragazzina complessata nel primo film che ritroviamo adulta e con una carriera lanciatissima come influencer.
Alberto (Andrea Carpenzano) è il figlio che veniva annunciato al capofamiglia Molino (Silvio Orlando) e ora è un imprenditore di successo, sposo novello di un modello americano. Se nel primo lungometraggio l’occasione per una lite e una rottura definitiva era la violenza gratuita rivolta ad un ragazzo di colore che cercava di sopravvivere vendendo sulla spiaggia la sua povera mercanzia in questo nuovo film invece il crimine più esecrabile commesso dalla famiglia Mazzalupi è quello di essere omofoba come se l’essere razzisti non fosse più esclusivo appannaggio delle sole classi volgari e becere di destra ma traversale all’intera umanità e la nuova frontiera dell’intolleranza si sia spostata invece sull’orientamento sessuale.
 Questo film per Virzì poteva essere un terreno scivoloso che lo avrebbe esposto a molteplici rischi. La pellicola poteva risultare ripetitiva, noiosa, pleonastica e tacciata di sforzo inutile, e invece, annullando quasi completamente i flash-back e lasciando solo qualche sporadico fermo immagine ripreso dal passato ha riportato il racconto nel presente senza l’impressione di stacchi come se fosse tutto naturale. Con pochi elementi nuovi è riuscito a dare nuova linfa ad un film che ha segnato il suo tempo e lo ha svecchiato con l’introduzione delle principali problematiche della società contemporanea. E’ un film che utilizza la nostalgia come lima per riportare in vita quella tavolata di personaggi che sono diventate macchiette e sono entrate con forza nell’immaginario collettivo di una generazione.
 Un film che non fa rimpiangere il precedente perché non ha la pretesa di essere migliore ma semplicemente quello di completare e arricchire il quadro rappresentato quasi tre decenni orsono. Se il primo film risultava più scanzonato questo è sicuramente più maturo e consapevole. Si può ancora ridere di certi comportamenti ma purtroppo non sono più così estremi ma divenuti tristemente ordinari e trasversali.
 Virzì con questo film chiude il cerchio e accompagna nell’aldilà la vecchia generazione. Se Alessandro Molino detto Sandro si abbandona ad un sonno profondo dove finalmente il sogno di riscatto dell’Italia può finalmente compiersi dall’altra parte la moglie Luciana Mazzalupi seguirà il marito tanto amato in un mare di oblio. Rimangono le nuove leve, le nuove generazioni. Bambini e ragazzi adolescenti un tempo ma ora uomini e donne chiamati ad essere protagonisti dei propri tempi. Tempi bui, illuminati sempre e solo dalle luci degli smartphones, a favore di social, in una realtà parallela che fagocita tutti e tutti in un gigantesco Truman show.
 I tempi sono cambiati e non c’è da stare allegri.  C’ è un livellamento culturale verso il basso che trascina sempre più giù, alla deriva.
 Meglio andarsene piuttosto che assistere a questo annichilimento delle coscienze. Non si salva proprio nessuno e cala il sipario su un mondo di ideali strenuamente difeso ma che ha perso piano piano tutti i suoi baluardi. Il soldo facile è l’unica chimera da inseguire per entrambi gli schieramenti. Non rimane niente da salvare, resta solo il tempo per reagire e provare ad invertire la rotta. Non è mai semplice replicare il successo di un film e i sequel spesso sono l’ombra dei loro predecessori ma in questo caso invece il film non presta il fianco a critiche e si fa guardare piacevolmente.
 Una bella conferma della bravura di Virzì anche se, per ragioni ovvie, non siamo sorpresi dalla trama che non brilla certamente per originalità.
 
Virna Castiglioni 
 

Drive - Away Dolls

Giovedì 07 Marzo 2024 10:30
Due amiche all’avventura con una meta precisa ma alla ricerca di deviazioni piccanti che possano rendere memorabile il viaggio. Un po' "Thelma e Louise" senza gli abusi e la violenza dei maschi prevaricatori ma un’amicizia tra donne lesbiche che inseguono a modo proprio la felicità.
Motore della narrazione è una misteriosa valigetta dal contenuto misterioso che innesca l’azione che si fa subito violenta e splatter.
Jamie e Marian son le giovani protagoniste che, per motivi diversi, decidono di intraprendere un viaggio per raggiungere la Florida. Jamie è spregiudicata, libera e libertina e dopo aver tradito per l’ennesima volta la fidanzata ed essere stata scoperta sceglie di allontanarsi da tutto e tutti per poter prendere una boccata di ossigeno senza avere l’assillo di controlli costanti che ne limitino il suo raggio di azione. Nel farlo cerca la complicità della sua storica amica, che al suo opposto, è più timida e riservata e decisamente rigida per quanto concerne il sesso e il godimento della vita in generale. Se Jamie è fuoco e leggerezza Marian è acqua che spegne gli ardori.
Il viaggio sembra un pellegrinaggio alla ricerca del puro divertimento spensierato con tappe obbligate a bar e locali gay più in voga. Cicero’s bar, Sugar ‘n Spice e She Sead sono le stazioni di una particolare traversata del piacere che possa placare la sete di avventura di Jamie ma soprattutto risvegliare la passione sopita di Marian. Per risparmiare soldi si spostano con un’auto a noleggio con la formula della meta obbligata per azzerarne i costi. Per un qui pro quo è disponibile una vettura che deve raggiungere Tallahassee che è proprio la meta delle due donne.
Il film è infarcito di rimandi a film del passato ma difficili da cogliere dal pubblico mainstream. Questo film molto sfacciato, irriverente, estremo, non ha però la minima intenzione di abbracciare quanto più pubblico possibile, rimane un film di nicchia destinato ad una fascia ristretta di cinefili che amano in primis la filmografia dei fratelli Coen anche se in questo caso la paternità è del solo Ethan e, in secondo luogo, sono appassionati di film degli anni 60/70. Il film risulta nel complesso divertente, anche se a tratti appare davvero sconclusionato, un po' troppo pieno di citazioni e referenze di difficile intuizione, poco fluido, ridondante, in ogni caso sincero e schietto, spiazzante quanto basta ma non sempre incisivo come dovrebbe. 
La chiusura sembra più una cesura e si ha l’impressione che si abbia fretta di far terminare il tutto. Se “l’amore è una slitta verso l’inferno” anche il film spesso indossa i pattini e deraglia su una lastra di ghiaccio.
 
 
Virna Castiglioni 
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