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Al via il MedFilm Festival

Mercoledì 02 Luglio 2014 16:22 Pubblicato in News
Il MedFilm Festival torna a Roma dal 4 all’11 luglio per festeggiare il 20° anniversario della sua fondazione. La manifestazione si terrà presso la Casa del Cinema ed il Museo MAXXI, e celebrerà il suo ventennale nell’ambito del Semestre di Presidenza italiana della Ue.
Un programma condensato in 8 giorni di proiezioni, che punterà a stabilire contatti diretti con le multiformi realtà che animano  il variegato contesto culturale e politico Euro-Mediterraneo. Il Festival racconterà il passaggio del testimone culturale tra Grecia e Italia, sottolineando il ruolo centrale del Mediterraneo nell’attuale contesto europeo, e la “necessità di cultura”, strumento fondamentale per lo sviluppo di una Nuova Europa che sappia comprendere nel profondo i suoi mutamenti, e dialogare con la sponda Sud in termini propositivi e di reale scambio.
 
 
ITALIA Paese Ospite d’Onore
 
Per festeggiare i suoi 20 anni, MedFilm Festival ospita per la prima volta l’Italia in qualità di Paese Ospite d’Onore. La sezione sarà composta da 12 film: tre lungometraggi, tre documentari e sei cortometraggi,  per un’ampia panoramica che intende dare visibilità ad alcuni tra gli autori più talentuosi e originali del nostro cinema. E dunque Premio alla Carriera 2014 a Mario Martone, che ritirerà il Premio il 5 luglio alla Casa del Cinema e presenterà Noi credevamo, magniloquente e colossale affresco sul Risorgimento, realizzato in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Altro lungometraggio “dimenticato” e riproposto è La mia classe di Daniele Gaglianone. Tra i documentariBrasimone di Riccardo Palladino, ambientato nell’Appennino che sovrasta Bologna, e Il futuro è troppo grande di Giusy Buccheri e Michele Citoni, intimo ritratto della vita quotidiana di due adolescenti – lui filippino, lei cinese – nella nuova Italia multiculturale. Concludono la sezione sei cortometraggi, per un percorso che attraversa l’Italia con la Sicilia di Cuore Nero, la Taranto di Alle corde e la Genova di A passo d’uomo, aprendosi al passato con il bianco e nero del sorprendente Gli Uraniani ed ai sentimenti più profondi della luce radiante che guida ReCuiem.
 
GLI OMAGGI
In occasione dell’importante anniversario il Festival realizza la sezione Med20, che ospiterà gli omaggi a prestigiosi cineasti del cinema med-europeo. Tra questi il cineasta francese Paul Vecchiali, il marocchino Daoud Aoulad-Syad, lo sloveno Karpo Godina, tutti ospiti del festival, ed il palestinese Hany Abu-Assad.
Paul Vecchiali porterà al MedFilm i suoi ultimi lavori Faux accords e La Cérémonie,entrambi in anteprima internazionale, ed il celebre Corps a Coeur; Daoud Aoulad-Syadpresenterà En attendant Pasolini, omaggio al poeta e regista friulano realizzato nel 2007, mentre la sua retrospettiva completa è stata oggetto di un lavoro realizzato con gli studenti del DAMS di Roma Tre; Karpo Godina presenterà The Raft of Meduse e il cortometraggio The Litany of Happy People. A concludere la sezione l’acclamato Omar di Hany Abu-Assad, entrato nella cinquina ai Premi Oscar 2014 come miglior film straniero.
 
I FILM
Per il film di apertura ancora l’Egitto, con l’anteprima europea Factory Girl, del maestro del cinema egiziano Mohamed Khan, a Roma ospite del festival; in chiusura il franceseEastern Boys di Robin Campillo. 
Otto i lungometraggi presentati nel Concorso Ufficiale - Premio Amore e Psiche curato da Giulio Casadei, che propone un equilibrato mix di grandi autori e giovani esordienti.Tra le opere:  Ladder to Damascus del veterano Mohamed Malas, Edoardo Winspeare con In grazia di Dio, il greco “noir mediterraneo” Stratos di Yannis Economides, il turco Seaburners di Melisa Önel, misterioso noir notturno sui mercanti di uomini; l’algerino Bloody Beans di Narimane Mari, Stable Unstable del libanese Mahmoud Hojeiji e Challat of Tunis della tunisina Kaouther Ben Hania.
Il Concorso Internazionale Documentari Premio Open Eyes, curato per il quarto anno dal regista Gianfranco Pannone, propone una selezione di 10 opere, caratterizzata da sguardi autoriali non privi di ironia. Tra i titoli più importanti spicca l’anteprima internazionale di Corpo a Corpo di Mario Brenta e Karine de Villers, che documenta le prove dello spettacolo Orchidee di Pippo Delbono, il marocchino Walls and People di Dalila Ennadre che ci conduce all’interno della Medina di Casablanca, il libanese Birds of September di Sarah Francis, viaggio per le strade della Beirut contemporanea, il turco Once Upon a Time, l’egiziano Cairo Drive e lo spagnolo Sobre la Marxa.
Diciannove sono i cortometraggi del Concorso Internazionale Premio Methexis.
Se la Sponda Nord sarà rappresentata dall’Italia, la Sponda Sud verrà raccontata nella vetrina Maghreb/Mashreq con un’importante selezione di film provenienti da 10 paesi arabi, tra i quali la Siria, a cui il Festival dedica un omaggio/riflessione sulle ragioni e soprattutto sulle conseguenze di una terribile guerra che pare accenare ad una tregua.
 
Maggiori informazioni consultando www.medfilmfestival.org 

Enzo Tortora - una ferita italiana

Giovedì 26 Giugno 2014 16:53 Pubblicato in Recensioni
Enzo Claudio Marcello Tortora (Genova, 30 novembre 1928 – Milano, 18 maggio 1988) è stato un conduttore televisivo, giornalista pubblicista e politico italiano”, così si apre la lunga pagina di Wikipedia a chi, oggigiorno, rovistando nel web volesse sapere chi fosse Enzo Tortora. Ma è solo una delle tante fonti su quel signore garbato e gentile col quale sono cresciute almeno tre generazioni di italiani, compreso chi scrive. Alla luce di un film, Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro, e di una fiction, Il caso Tortora – Dove eravamo rimasti? di e con Ricky Tognazzi, e di numerosi libri scritti su e dal celebre giornalista, le informazioni al suo riguardo e circa l'incredibile caso giudiziario di cui fu protagonista oltre trent'anni fa sono davvero alla portata di tutti. Proprio più di trent'anni fa, quando il 17 giugno 1983 venne arrestato con l'accusa di associazione di stampo camorristico dalla Procura di Napoli. Accuse infamanti che il 15 settembre 1986, grazie all'assoluzione con formula piena da parte della Corte d'Appello di Napoli, cadranno inesorabilmente. Ma Enzo, pur tornato in televisione col suo caro “Portobello” e con nuovi progetti quali “Giallo”, minato nell'animo e nel fisico da anni di battaglie giudiziarie, un giorno di maggio del 1988 lascerà questo mondo che non l'ha sempre amato.
C'era davvero bisogno di un documentario sul “caso Tortora”? In un paese come l'Italia in cui post-mortem chiunque viene santificato d'ufficio, qualunque cosa abbia fatto in vita, solo per il fatto che non possa sbugiardare chi lo vilipese in vita, probabilmente sì. Ma non certo fatto così come Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, sondaggista di fiducia di Silvio Berlusconi, ha pensato di realizzarlo. Innanzitutto, stante quanto detto sopra, la mole di materiale a disposizione è così ampia che selezionare immagini e filmati è quanto di più semplice, come anche raccogliere dichiarazioni in merito ad una vicenda vergognosa sulla quale non si sarà mai detto abbastanza. 
Il problema è che Crespi, dopo aver messo insieme senza troppa fatica un po' di girato, decide per qualche motivo di sommergere le immagini con le roboanti musiche di Thomas Di Lorenzo senza soluzione di continuità, se non quella della fine di un brano prima dell'inizio del successivo, come se avesse inserito un CD che non riuscisse più a fermare. Il risultato è che un film già mediocre finisce per diventare spesso incomprensibile, a causa di una colonna sonora che sovrasta le pur relativamente interessanti parole degli intervistati, tra i quali la compagna del presentatore Francesca Scopelliti. Sembra assurdo, ma a fronte di un montaggio (di Mauro Menicocci) non eccelso per quanto potabile, una maggiore cura del missaggio avrebbe evitato il disastro.
Per una volta, caso più che raro, l'indagine documentaristica si dimostra nettamente inferiore alla finzione. Unica attenuante e probabile fonte d'ispirazione per Crespi è quella di aver vissuto sulla propria pelle, pur se in tono minore, un'odissea simile a quella di Tortora, subendo anch'egli il dramma della carcerazione preventiva: tra il 2012 e il 2013 è finito in prigione per 200 giorni in seguito alle accuse di un pentito che si è poi rivelato essere psicolabile. Sarà anche per questo che più d'una volta si senta legittimato ad autoriprendersi durante le interviste.
Non domo, il regista ha in cantiere un nuovo film d'inchiesta su un'altra figura curiosamente già sfruttata dalla fiction (televisiva): il capitano Ultimo, al secolo Sergio De Caprio.
Tortora – Una ferita italiana è in finale un film che andrebbe mostrato nelle scuole, in particolare quelle di cinema, soprattutto quelle dove si insegna a girare i documentari: per spiegare come NON si fanno.
 
Paolo Dallimonti

La Gelosia

Giovedì 26 Giugno 2014 15:22 Pubblicato in Recensioni

La gelosia, ultimo lavoro di Philippe Garrel, mette in scena una storia intima della vita del regista, una vicenda realmente accaduta al padre,  riproposta e sviluppata in chiave familiare. Garrel dirige suo figlio Louis (che interpreta suo nonno all'età di 30 anni) in un bianco e nero minimalista, all'interno di una cornice artistica dove uno squattrinato teatrante si aggira come un flâneur, nutrendosi di arte e amore. Spazi piccoli, poche location e quasi tutte interni, persi in minuscole, povere e spoglie stanze, le uniche che il ruolo impone, un clichè consolidato che vuole che per il fuoco sacro della recitazione non ci si arricchisca. Ed è proprio la vacuità dell'esistenza che viene rappresentata nell'alienazione di residuati contemporanei di un '68 ormai annacquato. I dialoghi contestualizzano la vicenda arricchendola di elementi sulla durezza del vivere quotidiano ma il vero fulcro sono le conversazioni su un amore libero e superiore, quello incarnato dalla coppia di Louis e Claudia (Anna Mouglalis), un amore che ti incatena ancor più di qualsiasi convenzionale ménage. Louis è un giovane padre, perso in un sentimento folle, idealizzato e pieno di crepature, che non ammette un termine se non la morte; Claudia, attrice incompresa e decaduta, piena di sensi di colpa inespressi, si piega a dei compromessi nella capacità di dedicarsi solo a se stessa. Un titolo più adatto a questo film avrebbe potuto essere "Tradimenti" visto che di gelosia ce n'è poca impressa sulla pellicola e per il resto ciò che ci arriva è un susseguirsi di dubbi, ansie, fragili discorsi sui massimi sistemi, fricchettoni amori universali e corna. Un film la cui breve durata, poco più di un'ora e un quarto, basta abbondantemente a spiegare una storia per la quale sarebbero stati sufficienti pochi minuti o che forse avrebbe potuto essere raccontata meglio, con più convinzione e miglior approfondimento dei protagonisti. Un segmento a sé, un estratto di vita, in cui Garrel figlio, pregevole in altre situazioni ma del tutto carente e a tratti caricaturale in questa, dà sfogo ad un personaggio poco convinto di ciò che sta vivendo, con una partner che più che apparire una misteriosa e ammaliante creatura (come si evince dalle note di regia) trasuda il fascino malato di colei che prima usa e poi getta via l'amante di turno. Tutto questo perché la vita è un ciclo e brevi momenti sono capaci di segnare un'intera esistenza.. almeno nell'intenzione alla base del progetto.

 
Chiara Nucera

Femen - L'Ucraina Non E' In Vendita

Martedì 24 Giugno 2014 12:54 Pubblicato in Recensioni
Per capire le ambiguità sotterranee al movimento Femen in Ucraina, bisogna iniziare analizzando il titolo con cui viene presentato al pubblico italiano. Ukraina Is Not A Brothel è sia il titolo originale, sia il principale slogan con cui le attiviste in topless dipingono il proprio corpo durante le manifestazioni di protesta. Il termine "brothel" non significa "vendita", bensì "bordello", e dà la misura di come partendo da una iniziale sobrietà, abbiano presto lasciato il passo allo shock della sessualità esposta, la violenza verbale e la spettacolarizzazione del gesto.
 
In virtù di una escalation sempre più mediatica, la provocazione è divenuta la cifra del movimento, la chiave per mantenere sempre accesi i riflettori dell'opinione pubblica. Il rischio, però, che questa "naked war" esuli dagli intenti per cui dicono di lottare, sembra concreto. L'obiettivo annunciato è l'effettiva parità dei diritti, in una società immersa nell'opprimente cultura dei patriarcati, con la speranza che un giorno "il mondo veda l'Ucraina come un paese dove le ragazze nude protestano e non si prostituiscono". 
 
A documentare il fenomeno è l'esordiente Kitty Green, reporter al loro seguito per più di un anno, durante il quale è riuscita a svelarne i risvolti meno prevedibili, non analizzando la protesta solo secondo la tesi ufficiale, tra dimostrazioni, reazioni, arresti e processi, ma arricchendo la descrizione con gli aneddoti di una realtà contraddittoria. La filmmaker disseziona l'organizzazione presentandone le varie anime, tra cui le attiviste del primo periodo, rimaste emarginate quando Femen ha deviato sull'avvenenza e la sfrontatezza allo scopo di attirare giornalisti e fotografi a caccia di scoop da copertina. Perciò, a raccontare la propria vita e quanto essa sia diventata indivisibile da Femen sono soprattutto le belle sorelle Shevchenko, per le quali rappresenta l'unico modo – anche dal punto di vista economico - per evadere dal degrado dell'Ucraina periferica. Ma la disarmante ingenuità che traspare dalle interviste prive di una reale consapevolezza, non può che essere un'arma a doppio taglio per il cambiamento culturale che propongono, con il rischio costante di rimanere relegate ad effimero fenomeno mediatico.
 
È proprio con questo rischio che sembra giocare qualcun'altro, una presenza che si nasconde dietro le quinte di Femen, celata ad arte fin dal primo fotogramma e svelata progressivamente in tutta la sua evidenza incombente: il fondatore di Femen, un uomo, un patriarca che risponde al nome di Viktor Svyatskly. Oltrepassando la sottile linea tra interesse comune e privato, e a partire dal rapporto con la telecamera di Kitty (che da par suo ha il demerito di enfatizzarlo troppo), Viktor è stato il primo a capire che la telecamera deve essere parte integrante della protesta, anzi che la protesta esiste solo se ripresa. Femen è ormai un marchio, non solo un messaggio; le ragazze hanno assurto il ruolo di piccole dive con eventi sponsorizzati e fan che acquistano il merchandising femminista. Senza saperlo si è sdoganata un nuovo tipo di pornografia: non è più il corpo ma il messaggio, costretto ad una deformazione grottesca dai mezzi di comunicazione. 
 
Victor nelle interviste diventa argomento di imbarazzo, egli mina la credibilità di Femen e allo stesso tempo è il fautore del successo più spicciolo, lontano da una possibilità di approfondimento e di crescita politica. In un movimento che permette alle sostenitrici di mantenersi solo in virtù di esso, il marketing sembra aver svuotato il disegno originario, snaturando quelle idee che per la loro diffusione devono ogni giorno pagare lo scotto di filtri obbligati che ne deformano l'intento sociale.
 
Femen senza saperlo ha anticipato le più gravi contraddizioni strutturali dell'Ucraina, ormai da mesi sfociate nella guerra civile. Eppure uno spiraglio postumo esiste, ed è quello rilasciato nelle interviste di presentazione del film da parte della stessa regista. Come si augurava un'attivista negli ultimi fotogrammi del film, Femen è riuscita ad affrancarsi dalla guida ingombrante del suo patriarca e ha iniziato una nuova fase che punta ad un salto di qualità. Ora le celebri manifestazioni a seno nudo sono diminuite e, ovviamente, la loro forza mediatica si è ridotta. Ma al contempo si è rafforzato un movimento internazionale trasversale, che continua la sua lotta per i diritti delle donne.
 
Pollo Scatenato