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Quando è stato annunciato che James Wan avrebbe passato il timone di The Conjuring al regista Michael Chaves (La Llorona), sono state molte le reazioni perplesse e non propriamente entusiaste. Forse perché quei due primi capitoli avevano quel qualcosa che li rendeva nettamente diversi dalla maggior parte degli horror contemporanei godendo del tratto inconfondibile di Wan. A distanza di due anni dalla fine di una lunga post produzione, tra un lockdown e l’altro, l’attesa è finita e Per ordine del Diavolo è approdato nelle sale italiane. Questo terzo capitolo vede i Warren coinvolti in un caso assai complesso e di natura piuttosto diversa dal precedente Caso Enfield. A seguito della violenta uccisione del suo datore di lavoro, Arne Johnson viene arrestato, ma a dispetto delle ipotesi più prevedibili, il ragazzo durante l’interrogatorio si dichiara non responsabile dell’omicidio avvenuto, affermando di essere stato posseduto da una forza demoniaca e di essere stato obbligato ad uccidere per Ordine del Diavolo. Da qui inizia per Ed e Lorraine una lunga e insidiosa indagine sull’identità di questa pericolosa forza che minaccia l’esistenza di Arne. Una ricerca costellata da sinistre scoperte che hanno come principio la scomparsa di due ragazze avvenuta qualche tempo prima dell’omicidio e che portano alla macabra pista dell’occultismo e dell’adorazione del maligno. Ispirato al caso Demon Murder Trial, ribattezzato dalla stampa americana “processo al demonio assassino”, tra le pagine più controverse della storia giudiziaria americana, il film ripercorre gli eventi realmente accaduti nel 1981 ad Arne Cheyenne Johnson, il quale a seguito dell’omicidio del suo datore di lavoro, fu condannato alla pena di soli 5 anni di prigione, poiché ritenuto psicologicamente influenzato da una possessione demoniaca al momento dell’assassinio (pertanto responsabile di omicidio colposo e non intenzionale). Il caso di Arne Johnson fu ampiamente influenzato dalle indagini effettuate da parte dei coniugi Warren, i quali si impegnarono ad investigare sulle forze occulte che dimoravano nel corpo del giovane, arrivando a dimostrare l’effettiva possessione demoniaca al momento dell’omicidio. Se dovessimo fare un bilancio di ciò che funziona nel film e ciò che invece non convince appieno, la stima è piuttosto deludente. Iniziando dagli aspetti positivi, possiamo sicuramente elencare la volontà di spostare l’attenzione su un caso di natura diversa dai precedenti, tentando di percorrere la strada dell’indagine investigativa. La scelta di focalizzare su alcuni elementi non propriamente horror, piuttosto lontani dalle atmosfere sovrannaturali, restituisce un ritratto dal respiro più thriller. Tuttavia è qui che risiede il limite più evidente di questo lavoro e cioè quella voglia di fondere storie, di allacciarsi ad altri racconti (sempre dell’universo della saga), di inglobare più elementi possibili ed espedienti che poco hanno a che fare con la vera identità di The Conjuring. La tendenziosa smania di originare nuove saghe, di sviluppare nuovi plot porta alla realizzazione di film sempre più simili tra loro. Operare solo di moltiplicazione non porta il più delle volte a risultati stimolanti e davvero degni d’esser raccontati. E’ seccante ammetterlo, ma sono numerose le scene nel film che soffrono di una certa mancanza di coerenza con il tessuto narrativo e che introducono elementi (del tutto fuori luogo) collocati al solo scopo di incrementare una tensione che purtroppo è parecchio debole per poter spaventare sul serio (es. quel cadavere opulento che si dà all’inseguimento dei Warren è qualcosa di inaccettabile per una storia incentrata sul demonio). Detto questo, mettiamo un bel punto sulle cose che non riescono a far decollare questo capitolo, concludendo invece con una delle poche cose che funzionano come quell’abilità nel ricostruire vicende tratte dal passato attraverso montaggi alternati e paralleli capaci di far rizzare i peli. Menzione speciale va anche ai titoli di coda, i più belli di sempre.
Giada Farrace