Esterno giorno. Spiaggia. Eleonora Danco indossa un pigiama bianco. Impertinente e lagnosa come una bimba che aspetta con ansia il corso della digestione per tornare a fare il bagno. Poco più in là sua madre bardata di nero è in piedi sotto l’ombrellone. Una figura autoritaria ingenuamente minacciosa e ingombrante, come solo l’amore di una madre sa essere.
Nella ricerca personale di un contatto con la madre morta, l’autrice e regista teatrale Eleonora Danco cerca di attingere da diversi sottosuoli umani per smentire o confermare sé stessa. Dalla natia Terracina a Ostia, passando per Tor Bella Monaca e San Lorenzo, intervista giovani o giovanissimi e anziani o anzianissimi, escludendo volontariamente la generazione di mezzo – la sua.
“Mi interessava lavorare sul vuoto” spiega la Danco “nel senso che sia i ragazzi che gli anziani non sono produttivi: i primi non ancora, i secondi hanno già dato. Noi invece siamo ancora dentro al vortice del fare, del realizzare, delle bollette”
Le indagini di Eleonora Danco ricordano in parte il viaggio pasoliniano di Comizi d’amore. In N-Capace però l’inchiesta paragiornalistica lascia spazio all’intimismo dell’autrice, che si mette letteralmente a nudo nel suo percorso per svegliarsi dal dolce sonno esistenziale.
L’uso extra-quotidiano che fa del suo corpo è spesso al centro di visioni contrappuntistiche, come il letto sfatto sulla banchina di una stazione ferroviaria o il bagno nella vasca piena di biscotti Gentilini.
Si ritaglia un personaggio, battezzato ironicamente Anima in pena, con indosso quasi sempre lo stesso pigiama bianco della scena iniziale; un po’ per rimarcare il tepore della sua condizione di immobilità e, allo stesso tempo, una neutralità nei confronti delle testimonianze raccolte nel suo viaggio.
Tra i molti intervistati c’è anche suo padre. L’uomo intimidisce, soprattutto di fronte alle domande sul sesso. Borbotta. Si rifiuta di rispondere.
Ma quanto sono cambiate le abitudini sessuali negli ultimi 40 anni?
Gli anziani della Danco potrebbero essere stati quei giovani intervistati da Pasolini nel ’65. Nonnine reduci da un passato patriarcale accettato passivamente (perché ai tempi era così) e autentici geni nazionalpopolari ingenuamente comici attingono dalla memoria del tempo perduto e si aprono con l’autrice come in una seduta di psicoanalisi. Persone semplici, come anche i giovani di borgata - pizzettari, aspiranti idrauilici e parrucchiere - che su determinati argomenti sembrano dimostrare lo stesso qualunquismo di quelli pasoliniani - le donne sono tutte troie o se mi nasce un figlio gay mi ammazzo -, questa volta però tutti accomunati da un categorico rifiuto dello studio e della cultura parruccona. La Danco rimane alla loro altezza, senza innalzarsi su un piedistallo di narcisismo intellettuale. Gioca con la loro fisicità in partiture sceniche determinate. Mette in risalto i loro piccoli tentennamenti in un inno alla naturalezza. Monta anche le riprese sbagliate, come in una sorta di backstage, per ripudiare ogni aspetto formalmente cinematografico. N-Capace è quasi un anti-film per la regista debuttante, che concepisce la sua opera prima più come un diario scritto di getto, pieno di appunti sparsi e cancellature. “Infatti io non ho pensato alle regole cinema” dice “non ho pensato a stare dentro qualcosa, ho solo pensato ad esprimermi come penso di saper fare attraverso un mezzo a me inedito”
Prodotto da Angelo Barbagallo - storico collaboratore di Nanni Moretti -, N-Capace è il primo film italiano in concorso nella sezione ufficiale del 32° Torino Film Festival, ma per adesso ancora in attesa di una distribuzione.
Angelo Santini