Almodovar per il suo nuovo progetto sceglie due attrici di immensa bravura e le pone al centro di un dramma privato che accomuna l’intero genere umano. Affrontare la morte di chi amiamo e prepararci a vivere la nostra che ad un certo punto arriverà ad interrompere la festa è uno dei compiti più difficili e per i quali abbiamo ancora pochi strumenti.
Martha è una malata oncologica terminale e Ingrid è un’amica ritrovata proprio in questa ultima fase di vita dopo che il lavoro e le rispettive carriere di giornalista di guerra e di scrittrice le hanno assorbite completamente finendo per allontanarle. Martha non è sola, ha una figlia ma per sua stessa ammissione, è stata una madre assente e non se la sente di chiedere quello che invece cerca di ottenere dalla sua cerchia ristretta di amicizie femminili. Ha comprato nel dark web una pillola illegale che può procurarle una dolce morte ed è intenzionata ad usarla quando sentirà di essersi stancata troppo e vorrà abbandonare il ballo della vita anzitempo. Ingrid che è stata per tanto tempo lontana sembra essere la scelta migliore dopo che le altre amiche hanno categoricamente rifiutato di diventare complici di quel piano criminale.
Senza giudizio ma anche senza appoggiare in toto la scelta dell’amica. Semplicemente assecondando il desiderio legittimo di una persona a cui si vuole bene, Ingrid decide di prendere posto in quella stanza accanto per poter essere presente nel momento del trapasso esaudendo il desiderio dell’amica di potersene andare da sola ma con qualcuno di amico vicino.
Il film ha un impianto rigoroso, risulta asciutto ed essenziale. La regia cerca costantemente di togliere il superfluo lasciando i fatti scarni delegando tutto all’intensità delle due splendide attrici che compongono un affresco di vita normale e straordinario nel medesimo tempo.
Se Martha ha il volto altero e spigoloso di una Tilda Swinton in stato di grazia che interpreta una donna coraggiosa, lucida, determinata, razionale, Julianne Moore incarna invece la dolcezza, la comprensione, la leggerezza e il rispetto dovuto nei confronti di scelte che non si possono capire mai fino in fondo e che, pertanto, non possono essere tacciate di essere sbagliate aprioristicamente ma soprattutto essere demonizzate e osteggiate in forza di principi che non valgono per tutti allo stesso modo. Il tema dell’eutanasia così caldo e spinoso è affrontato in questo film senza trascinarsi dietro quel velo pesante di cupezza e terrore.
Si può dare appuntamento alla morte anche indossando il vestito migliore, del colore più sgargiante, mettersi il belletto sul viso e attendere che la neve scenda a cancellare quello che è stato ma anche ad abbellire tutto ciò che ricopre.
Come nel quadro di Hopper (People in the sun) che fa bella mostra di sé in quella casa affittata appositamente per mettere in atto quel piano finale si è vivi ma in perenne attesa. La morte ci prende la mano appena nasciamo, rimane ombra discreta e silente ma ad un certo punto si fa presenza insistente, invadente, prepotente e non si può, a lungo, declinare il suo invito a seguirla.
Il lungometraggio è tratto dal testo letterario “Attraverso la vita” dell’autrice Sigrid Nunez. Presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia ha, meritatamente, conquistato la statuetta più ambita confermando Almodovar un cineasta sensibile, attento ai temi attuali e di grandi qualità artistiche.
Virna Castiglioni