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Johnny degli angeli. Un delirio hollywoodiano

Giovedì 29 Novembre 2018 14:27 Pubblicato in News
A due anni di distanza dalla nuova edizione di Una città proletaria, il suo fortunato romanzo d’esordio pubblicato da Sellerio nel 1989 e restituito ai lettori da MdS Editore nel 2016 con l’aggiunta di quattro capitoli finali, torna in libreria Athos Bigongiali, ancora con la giovane casa editrice pisana e questa volta con un testo del tutto inedito.
Johnny degli angeli, è questo il titolo del nuovo romanzo, pubblicato da MdS nella collana Cattive Strade curata da Fabrizio Bartelloni, che andrà ad aggiungersi alla ricca bibliografia dell’autore sangiulianese, tra cui spiccano titoli come Veglia irlandese (Sellerio, 1992),  Le ceneri del Che (Giunti, 1996), Ballata per un’estate calda (Giunti, 1998) e Il clown (Giunti, 2007). 
 
 
 
 
Un libro tutto nuovo per una storia d’altri tempi. Bigongiali ci riporta infatti nella Los Angeles del 1958, in piena età dell’oro del cinema hollywoodiano, quella dei film in bianco e nero, delle feste sfarzose, delle dive fatali e inavvicinabili, per raccontarci a suo modo una vicenda che su quel mondo dorato fece calare per lungo tempo un’ombra scura. L’omicidio di Johnny Stompanato, italoamericano al soldo del boss del gioco d’azzardo Mickey Cohen, trovato cadavere nella camera da letto dell’attrice Lana Turner di cui, da qualche tempo, era il compagno. Una vecchia storia ‘nera’, dunque, che Bigongiali ha letteralmente ritirato fuori dal cassetto. “Sì”, ci conferma l’autore, “l’idea è nata proprio aprendo un cassetto di una vecchia scrivania dove parecchi anni fa, forse più di cinquanta, avevo risposto alcuni ritagli di giornali italiani. L’idea era lì, tra quei titoli e quelle foto, nascosta nella scandalosa storia che vi veniva raccontata, quella di un aitante giovane trovato morto, accoltellato, nella camera da letto di una famosa diva del cinema. Il giovane era noto alle cronache come un gigolò da strapazzo e un gangster di mezza tacca della Los Angeles degli anni Cinquanta; la diva era nota  per le sue interpretazioni in conturbanti ruoli, da quello della moglie infedele ne Il Postino suona sempre due volte, a quello della perfida Milady ne I Tre Moschettieri. Gli ingredienti dello scandalo, dunque, erano già presenti prima del delitto ma furono ingigantiti dal fatto che a commetterlo – almeno secondo quanto ricostruito nel processo che ne seguì - fu la figlia di lei, un’adolescente di bella presenza, a sua volta nota alle cronache per varie peripezie, tra cui una fuga dalla casa materna e un supposto tentativo di violenza carnale ad opera dell’ultimo marito della diva”. 
L’intento di Bigongiali, tuttavia, non è quello di scoprire se quella consacrata dal processo sia davvero la verità dei fatti. “È vero”, precisa l’autore, “che in molti hanno dubitato della ricostruzione dei fatti fornita dal clan Turner, che vuole la giovane Cheryl intervenuta a difendere la madre dall’ennesima aggressione, ma a me premeva soprattutto dare finalmente voce a chi non l’aveva mai avuta, ossia proprio a Stompanato, il morto, l’unico a uscire davvero male da questa storia. Un morto senza voce in capitolo, come capita spesso ai morti. Un morto di cui sbarazzarsi subito, come si fa coi rifiuti; la vita doveva andare avanti, la macchina del cinema pure e nella società perbenista non c’era posto per un rifiuto della società”. L’immagine del giovane italoamericano veicolata dai media, infatti, fu proprio quella: un poco di buono, lo scagnozzo di un boss mafioso, un amante violento di cui la diva aveva paura. “Ma le cose non stavano affatto così”, spiega Bigongiali, “Johnny era un ex-marine decorato e, come racconta la stessa figlia, Lana non fece di lui un toy boy. Al contrario si innamorò pazzamente di lui, come provano le lettere che gli scrisse nel corso di un anno e mezzo, dal 1957 al marzo del 1958. Lettere compromettenti che i suoi produttori e avvocati tentarono, vanamente, di far sparire”. Una storia ancora con molte ombre e punti oscuri, dunque, che rendono particolarmente suggestiva la “versione di Johnny” che Bigongiali ha voluto restituire attraverso le pagine del suo libro, l’occasione che l’autore ha voluto dare a un ragazzo sedotto e ucciso dal suo american dream di dire finalmente la sua su ciò che è stata la sua vita, il suo amore, e anche la sua morte. 

Ride

Giovedì 29 Novembre 2018 14:03 Pubblicato in Recensioni
Mauro Secondari operaio in una fabbrica di Nettuno, muore tragicamente sul lavoro. La comunità si stringe attorno alla famiglia dell’uomo, composta ora solamente dalla compagna Carolina e dal figlio di dieci anni Bruno. Carolina sopraffatta dall’improvvisa scomparsa di Mauro, reagisce in modo piuttosto inconsueto. La donna non riesce a versare una lacrima, e pervasa da un forte senso di smarrimento, tenta di evocare tramite ricordi, canzoni e fotografie sentimenti di nostalgia e dolore,  ma ogni sforzo risulta vano. Carolina è intrappolata in un limbo imperturbabile, dove non trovano posto lacrime e disperazione. Ad un giorno dai funerali pubblici, la donna cercherà in tutti i modi di afferrare quello strazio, quell’immagine di vedova devastata dalla perdita e sprofondata nella sofferenza, nel tentativo di non deludere nessuno. In concorso al 36esimo Festival del Cinema di Torino, Ride è l’opera prima da regista di Valerio Mastandrea, e l’esordio da protagonista di Chiara Martegiani (compagna nella vita dell’attore e regista romano). Fulcro del film è il tema della perdita, edulcorato da un ritmo che, soprattutto nella prima parte, riesce a far emergere sequenze di piacevole scorrevolezza attraverso un originale e gradevole black humor. L’enfasi del dolore viene esplicitata nel personaggio di Carolina in modo inusuale e inversamente proporzionale a ciò che ci si aspetterebbe, facendole vivere con indifferenza e distacco la perdita del marito. Il trauma della morte viene completamente spogliato dai toni dello struggimento: in una realtà in cui il comportamento sociale e relazionale viene calibrato sulla base del sentire comune e in particolare sulla scia della morale dominante, Ride offre un quadro differente, del tutto invertito e sicuramente inconsueto dell’ approccio al dolore, che non subisce mai un’esplosione di senso ma anzi vira all’implosione. Si tratta di un concetto che trova il suo referente diretto nella nuova percezione della realtà e dei sentimenti, amplificata in modo esponenziale dai filtri mediatici di oggi. Tuttavia il film diretto da Mastandrea, sebbene presenti delle interessanti premesse, finisce con il perdersi in un’indeterminatezza che lo rende un po’ troppo debole. Probabilmente il tentativo di non calcare il tono drammatico, alternando costantemente l’ironia dei bravissimi personaggi di contorno (tra cui Stefano Dionisi e Renato Carpentieri) all’apatia della protagonista, restituisce una trama poco vicina al reale che non trova empatia con lo spettatore. Il gioco di sottrazione attuato dal regista purtroppo cede del tutto dalla seconda parte del film fino al suo termine, a causa di pochissimi pilastri narrativi, che finiscono con il generare momenti lenti e dalla struttura troppo vacua. Chiara Martegiani non riesce a restituire, nonostante gli sforzi, la giusta naturalezza ad un personaggio distaccato e inconsueto come quello di Carolina. La sottrazione a cui prima si accennava, non viene adeguatamente compensata con l’incisività dell’espressività e nella scelta di tempi nei pochi lunghi duetti a lei affidati. Ci si aspettava qualcosa in più dall’opera prima di un attore completo ed intenso come Valerio Mastandrea, una maggiore cura nella scrittura e nella scelta di alcuni passaggi, senza eclissare il tema originale che risulta di per sé interessante. 
 
Giada Farrace

Filmmaker Festival: ecco i vincitori

Domenica 25 Novembre 2018 13:02 Pubblicato in News
Si è chiusa ieri a Milano, l'ultima edizione di FILMMAKER FESTIVAL.
L'edizione 2018 si è svolta dal 16 al 24 novembre, presso lo Spazio Oberdan e l’Arcobaleno Film Center.
Al centro della manifestazione, come sempre, il cinema documentario e – più in generale – “di ricerca”: un’identità netta e riconoscibile che da quasi quarant’anni fa di Filmmaker, all’interno di un panorama nazionale affollato di appuntamenti, un punto di riferimento certo per chi vuole
scoprire e sostenere nuovi autori, nuove forme cinematografiche, nuove relazioni con il pubblico.
E non è un caso che tra i “nuovi” autori portati per la prima volta all’attenzione degli spettatori italiani, figurino nomi diventati col tempo degli autentici “classici”, da Ulrich Seidl a Frederick Wiseman, da Rithy Panh a Errol Morris.
Sette le sezioni in cui si è articolato il programma di quest’anno: Concorso Internazionale, Concorso Prospettive, Fuori concorso, Carta Bianca a Luca Guadagnino, Fuori formato, Filmmaker Moderns, FILMMAKER OFF cui si aggiungono i film di Apertura e Chiusura, per un totale di 82
titoli, di cui 16 in anteprima assoluta e 11 in anteprima italiana.
 
 
Di seguito l'elenco dei vincitori:
 
Concorso Internazionale
 
La giuria composta da Catherine Bizern (direttrice del festival Cinéma du Réel di Parigi), Daniele Incalcaterra (regista) e Marco Scotini (direttore Arti visive e studi curatoriali di NABA) assegna
 
Premio Filmmaker 2018 di 3mila euro a:
THE IMAGE YOU MISSED di Donal Foreman (Irlanda-USA, 2018)
The Image You Missed elegge il cinema a campo di confronto tra padre e figlio, privato e politico, rispetto e profanazione, campo e fuori campo, conflitto e conciliazione.
La Giuria apprezza l'energia, la libertà e la lucidità con cui l'autore persegue la sua impresa e riconosce in Donal Foreman un nuovo cineasta.
 
Premio della Giuria di 675 euro ciascuno a:
DE CHAQUE INSTANT di Nicolas Philibert (Francia, 2018)
ex aequo con
PREMIERES SOLITUDES di Claire Simon (Francia, 2018)
La Giuria ha deciso di premiare ex aequo De chaque instant di Nicolas Philibert e Premières solitudes di Claire Simon, due film che, scegliendo di lavorare in spazi ristretti e su segmenti generazionali ben definiti, riescono a dare conto della realtà multiculturale della società francese.
A partire dalla stessa matrice del cinema diretto, i due cineasti hanno abbracciato vie nuove, diverse tra loro e molto personali.
In De chaque instant e in Premières solitudes si riconoscono distintamente la presenza di Claire e Nicolas e il loro valore di filmmaker.
 
La giuria composta da Marco Anteli, Raymond Barion, Mal Castelnuovo, Jessica Moscaritolo, Sara Paganini, Filippo Tentori, Andrea Testa Herranz, Shuai Yin assegna
 
Premio della Giuria giovani di 1250 euro a:
WALDHEIMS WALZER di Ruth Beckermann (Austria, 2018).
Per la dimensione e lo sguardo soggettivo della regista nel raccontare una verità storica che non si riduce a semplice fatto di cronaca, ma viene indagata come responsabilità collettiva attraverso gli occhi di una sconfitta, la Giuria giovani assegna il premio al miglior film a Waldheims Walzer di Ruth Beckermann.
 
Concorso Prospettive 
 
La giuria composta dai registi Chiara Brambilla, Enrico Maisto e Riccardo Palladino assegna
 
Premio Prospettive 2018 di 1000 euro a:
BAJKONUR, TERRA di Andrea Sorini (Italia, 2018)
Un film che mette in scena una dilatazione del tempo e dello spazio con un incedere narrativo maestoso, raccontando un territorio che è finestra tra cielo e terra con uno sguardo che arriva da un altrove e in constante oscillazione tra epica e nostalgia.
Il film restituisce attraverso immagini suggestive lo splendore figurativo di un futuro che è al tempo stesso passato.
 
Premio della giuria di Prospettive 2018 di 500 euro a:
UN'ESTATE A MILANO di Demetrio Giacomelli (Italia, 2018)
Un autore che conferma una visione personale e solida all'interno di un percorso di ricerca che, partendo da una dimensione narrativa, spinge le forme verso il loro limite con audacia e libertà. Un desiderio filmico che avvicina, in un confronto straniante, echi lontani di tragedie del nostro tempo ad una quotidianità intimistica e malinconica.
 
Una menzione speciale del concorso prospettive va a:
XX SETTEMBRE di Camilla Salvatore (Italia, 2018)
Una riflessione consapevole che conduce dolcemente a scavare e riscattare immagini e passato, attraverso una costruzione retrospettiva su ciò che rimane della vita, con un approccio stilistico che alterna sapientemente formati, supporti e temporalità.
 
Premio Movie People per il miglior contributo tecnico
 
La giuria composta dai registi Chiara Brambilla, Enrico Maisto e Riccardo Palladino assegna 
 
Premio Movie People per il miglior contributo tecnico (10.000 euro in servizi tecnici offerti da Movie People) a:
DE SANCTO AMBROSIO di Antonio Di Biase (Italia, 2018)
Lo sguardo delicato di un Santo che si posa sulle vicende di un'umanità raccolta ai suoi piedi. Un susseguirsi di quadri che incanta, custodendo il segreto di giochi, affanni e preghiere. Poesia che diventa immagine.
 
 
I Premi del MID - Milano Industry Days 
Per il quarto anno consecutivo, Milano Film Network (MFN) ha rinnovato le sue giornate professionali rivolte al mondo del cinema italiano indipendente. Due giorni di presentazioni (mercoledì 21 e giovedì 22 novembre) di progetti e di copie lavoro di film in lavorazione e networking professionali in cui sono stati presentati i finalisti dei progetti di film  in sviluppo del workshop In Progress MFN e del fondo di sostengo ai film in post produzione di L’Atelier MFN.
 
 
Filmmaker è sostenuto da Comune di Milano, Regione Lombardia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la collaborazione di Fondazione Cariplo, Forum Austriaco di Cultura, Goethe-Institut Mailand, Institut français Milano.
 
Maggiori dettagli consultando www.filmmakerfest.com
 

U-July 22

Mercoledì 21 Febbraio 2018 12:42 Pubblicato in Recensioni
Sinceramente non ci si aspettava una tale cannonata, in tutti i sensi, dal film di Erik Poppe. Pugno allo stomaco alle 9 del mattino, che risveglia senza tanti fronzoli la paura del terrore, che troppo volte pensiamo possa riguardare solo gli altri, dando per scontato che il nostro universo sia protetto da chissà quale entità superiore. Utøya –July 22 ci impone di non sottovalutare. L’inferno è più vero di qualsiasi idealizzato paradiso. Il regista norvegese che portò nel 2017, nella sezione Panorama qui alla Berlinale, lo storico The King’s Choice, quest’anno vede il suo U- July 22 concorrere per l’Orso d’Oro. Una pellicola a dir poco micidiale, che racconta del massacro di Utøya in Norvegia il 22 Luglio 2011; lo stesso giorno della bomba alla sede del Governo norvegese. Kaja (Andrea Berntzen), diciannovenne in vacanza con amici, è il boccino di tutta la vicenda, che cerca la via d’uscita in un labirinto colmo di orrore e ansia.
 
Per essere più precisi i fatti si svolgono su un’isola davanti ad Oslo. Il campeggio estivo è molto in uso nei paesi nordici e sull’isola di Utøya si trova l’accampamento organizzato dal partito laburista. E’ mattina e l’intero gruppo di adolescenti si sta preparando per una giornata all’insegna di escursioni e svago. Il risveglio non è dei migliori, visto che si apprende subito delle bombe scoppiate presso il Governo. Dopo le telefonate di rito a genitori e parenti la calma si fa strada tra i giovani, che si sentono protetti visto anche il mare che li separa dalla capitale. Ma degli spari, che provengono dal bosco, interrompono la ritrovata quiete. In un primo momento si pensa ad una esercitazione. Il panico arriva a dosi massicce quando si capisce che siamo in presenza di uno squilibrato con fucile, che sta uccidendo senza pietà chi gli capita davanti. Kaja è la protagonista che cerca di mettere in salvo la sorella minore, ma soprattutto è l’occhio del regista, che tramite la ragazzina ci fa rivivere le angoscianti situazioni, che vive l’intera giovane comunità. 
 
Poppe parla diretto allo spettatore, lo porta dentro al massacro, in piena zona di guerra. Con la potenza verista delle immagini e grazie al piano sequenza in tempo reale, che dura esattamente quanto l’intera operazione del folle terrorista, rende vividi gli stati d’animo dei ragazzi. E’ estremamente consapevole del suo girato e lo dimostra non lasciando nulla al caso. Il suo è un virtuosismo bello e buono, ma non fine a se stesso. La paura, la disperazione e l’oppressione rivivono senza filtri e lo stress che invade il pubblico diventa parte stessa della narrazione. Si perché si entra in quei maledetti boschi e la discesa all’inferno è purtroppo senza ritorno.
U -July 22 ricorda Elephant di Gus Van Sant, Palma d’Oro 2003 al Festival di Cannes. Lì però i punti di vista erano diversi. Gli avvenimenti narrati erano visti non da una sola persona, ma da più protagonisti. Ma il senso di impotenza è il medesimo.
 
C’è anche un altro aspetto che ha farà molto discutere: la dura frecciata verso chi comandava all’epoca dei tragici eventi. La pellicola di Poppe è assolutamente un’aspra critica verso le istituzioni, non preparate e smarrite. Ci volle un’ora e mezza per intravedere i primi soccorsi. Questo non trascurabile sotto testo etichetta U-July 22 come film politico. Biglietto da visita forse non troppo gradito in previsione dei premi, ma se ci concentriamo unicamente sul valore assoluto del film, della politica non c’è più traccia. Indimenticabile.
 
David Siena