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Con il meeting svoltosi in Croazia alla fine del mese scorso FERA (Federazione Europea dei Registi Cinematografici), 39 associazioni nazionali in rappresentanza di 29 paesi dell'Unione, ha elaborato un documento che risponde ai temi oggetto del Documento di Discussione in prospettiva della stesura della nuova Comunicazione sul Cinema da parte della Commissione Europea.
Dal 1980 FERA si propone attività di promozione di politiche che massimizzino la creatività e il potenziale commerciale e sociale del settore audiovisivo e vuole rappresentare la voce indipendente dei registi, come principali creatori delle opere audiovisive. Quello che FERA si propone è la tutela dei diritti artistici ed economici del regista, responsabile finale della continuità estetica e dell'integrità artistica dell'opera, considerandolo elemento essenziale nella diversificazione della cultura audiovisiva.
Partendo dall'assunto che le opere audiovisive e quelle cinematografiche in particolar modo, svolgono un ruolo riconosciuto come essenziale nella formazione delle identità europee, oltre che offrire opportunità per creare ricchezza e occupazione, e considerando che per la struttura del mercato europeo, i finanziamenti concessi dagli enti pubblici sono potenzialmente in grado di falsare la concorrenza e incrinare l'equilibrio degli scambi economici all'interno degli Stati dell'Unione, nel 2001 fu adottata la prima Comunicazione sul Cinema, per stabilire i criteri di valutazione degli aiuti statali alla produzione di opere cinematografiche e audiovisive.
La validità della prima Comunicazione sul Cinema è stata più volte estesa negli anni, ma le norme attualmente in vigore scadranno alla fine del 2012, rendendo quindi necessaria un'ultima ed approfondita riflessione corale sulle tematiche di maggior rilievo emerse negli anni di applicazione.
Punti nodali della riflessione e del Documento di Discussione sono individuati nell'impatto economico e culturale delle spese legate alla territorializzazione, l'estensione del finanziamento ad aspetti diversi dalla produzione tout court (ad esempio la distribuzione del prodotto e la proiezione digitale), e la concorrenza tra alcuni Stati membri per l'utilizzo degli aiuti di Stato per attrarre l'investitore straniero, prevalentemente statunitense.
D'altra parte la creazione di un'opera audiovisiva è sempre un progetto ad alto rischio, quando ci si accinge a sviluppare un progetto non c'è alcuna certezza di entrare poi effettivamente in produzione, e quand'anche prodotta, non si conosce in anticipo quale potrà essere l'impatto dell'opera sul mercato.
Risulta quindi difficile per i produttori ottenere un sostegno commerciale iniziale tale da permettere la costituzione di un pacchetto finanziario che possa portare avanti il progetto produttivo. L'intervento statale apparrebbe quindi fondamentale in questo ambito, divenendo il fattore chiave per le piccole produzioni cinematografiche europee, garantendo un abbattimento del rischio, agli occhi dell'investitore privato nella fase cruciale del lancio del progetto.
Meccanismi di controllo della gara alle sovvenzioni volte ad attrarre le grandi produzioni cinematografiche
Una tendenza apparentemente inarrestabile alla concorrenza tra stati membri nell'utilizzo degli aiuti statali allo scopo di attrarre gli investimenti esteri, prevalentemente statunitensi, sembra richiedere il perfezionamento di criteri di valutazione. Le grosse società di produzione d'oltreoceano con disponibilità di budget milionari, di gran lunga superiori ai budget delle tipiche produzioni europee, hanno un ventaglio molto ampio di scelta. Il film sarà prodotto in ogni caso, la scelta cade sul dove esso sarà prodotto e, quindi, i paesi dotati di strutture di produzione di grande dimensione, cercano di attrarre l'investitore straniero con gli strumenti degli incentivi fiscali. Per quanto una politica di attrazione basata sulle sovvenzioni, porti le grandi produzioni a scegliere l'Europa, questo sistema è suscettibile di creare un effetto distorsivo sulla concorrenza fra i siti di produzione europea e, nella misura in cui questo uso delle sovvenzioni generi concorrenza tra gli stati membri, ciò va a discapito sia del settore che dei contribuenti europei. Evitare quindi la corsa alle sovvenzioni è appunto uno degli obiettivi delle disposizioni del trattato.
L'intensità massima di aiuti, stabilita nel 50%, consente l'erogazione di finanziamenti elevatissimi a tali produzioni. E seppur indirettamente, tale sostegno vada anche a favore dei servizi europei di settore, è possibile che la maggior parte degli utili derivati vada al di fuori della UE e pertanto non contribuisca alla sostenibilità a lungo termine dell'industria cinematografica europea.
Un tentativo di affrontare la corsa alle sovvenzioni, è stato l'introduzione del criterio, ormai noto, di valutazione del valore culturale del film. Il Regno Unito subordina l'erogazione dell'incentivo fiscale ad una sorta di “test culturale”, e sulla scia della Gran Bretagna, altri paesi membri hanno introdotto analoghi criteri propedeutici.
Tuttavia sulla base dell'esperienza fin qui maturata, la Commissione ritiene che i criteri indicati dalla Comunicazione sul Cinema si rivelino inadeguati ad impedire la concorrenza tra regimi di aiuti alle produzioni estere e che sia inoltre difficile individuare criteri limitativi dell'effetto distorsivo della concorrenza. Ipoteticamente si potrebbero limitare gli aiuti erogati ad un dato importo e non ad una percentuale, partendo dall'assunto che le grosse produzioni siano capaci di ottenere finanziamento da altre fonti e a condizioni commerciali.Altra ipotesi potrebbe essere l'introduzione dell'obbligo di reinvestire parte degli utili, ricavati dall'opera sovvenzionata, nel paese di erogazione del contributo.
FERA si dichiara concorde nella valutazione di beneficio derivante dall'attrazione di produzioni straniere, specialmente per paesi a bassa capacità produttiva, che assicurino continuità per le maestranze locali e contribuiscano ad investimenti produttivi nel settore. È altresì opinione di FERA che il cosiddetto “test culturale” sia un valido strumento di valutazione nell'obiettivo di una politica pubblica di sostenibilità a lungo termine dell'industria audiovisiva, poiché una massa critica di progetti di valore culturale contribuisce alla continua crescita dei professionisti del settore, attraverso la pratica e l'esperienza. In quest'ottica sarà opportuno tener presente che la scelta di un paese piuttosto che di un altro non dipende esclusivamente dal tenore degli incentivi statali, ma anche da scelte di produzione dovute alle esigenze di copione, alle infrastrutture e ad i servizi offerti dal paese ospitante e all'abilità delle maestranze locali.
Gli incentivi fiscali, per FERA, garantiscono che l'Europa possa rimanere fulcro creativo e punto di riferimento in un mercato globale altamente concorrenziale, e limitarne l'utilizzo non significherebbe convincere la produzione hollywoodiana a rimanere nell'ambito statunitense, ma vorrebbe dire favorire altri siti di produzione, ad esempio l'Asia. FERA, tra le ipotesi contenitive della corsa al sovvenzionamento predilige la seconda, ovvero la subordinazione dell'erogazione del contributo o dell'incentivo, all'assunzione di obbligo di reinvestimento di parte del ricavato, nel paese produttore.
Quali fattori dovrebbero essere presi in considerazione ai fini dei criteri di valutazione degli aiuti di Stato per le attività diverse dalla produzione?
Attualmente alcuni stati membri offrono sostegno ad attività diverse dalla produzione in senso stretto, quali la sceneggiatura, lo sviluppo del soggetto, l'archiviazione e la conservazione delle stesse opere, e, benché tali forme non siano ufficialmente contemplate dalla Comunicazione sul cinema, la Commissione vi applica comunque i criteri da essa previsti.
FERA concorda sul fatto che sia opportuno estendere formalmente il campo di applicazione della Comunicazione sul Cinema fino ad includere tutti gli aspetti che vanno dall'elaborazione del soggetto fino alla programmazione in sala dell'opera.
Inoltre, per essere pienamente efficaci, gli aiuti di Stato dovrebbero includere sostegni alla promozione e alla distribuzione delle opere audiovisive europee, non tralasciando il supporto economico alla proiezione digitale e alle sale cinematografiche in zone rurali.
Il modo in cui il pubblico potrà accedere ad opere audiovisive europee influenzerà il successo dei regimi di sostegno pubblico. Le modalità di finanziamento, applicata alle singole aree geografiche, si rifanno ai particolarismi dei contesti nazionali, non mostrandosi uniformi ma flessibili da paese a paese.
Quali dovrebbero essere le intensità massime degli aiuti?
Sembra che le intensità massime degli aiuti compatibili a norma della Comunicazione sul Cinema (in genere il 50% del bilancio di produzione) siano state accettate dal settore, e dello stesso avviso è anche FERA, che ritiene inoltre cruciale la già prevista intensità di finanziamento più elevata per quanto riguarda film di difficile produzione e con risorse finanziarie modeste.
Altra questione verte sull'opportunità o meno di mantenere l'intensità degli aiuti al 50% del bilancio totale del progetto se altre attività diverse dalla produzione dovessero essere contemplate dalla nuova Comunicazione sul Cinema.
Secondo FERA in questo caso, sarebbe più opportuno stabilire un'intensità massima di aiuti per ogni singola attività, proprio per le diversità intrinseche ad ogni singola fase del progetto. Ad esempio si potrebbero finanziare anche integralmente le attività di elaborazione del soggetto e di scrittura della sceneggiatura, passaggi che in genere vengono svolti da un singolo creativo al di fuori di una società di produzione, in una fase embrionale del lavoro, in cui è difficile reperire un qualsivoglia finanziamento di altro tipo.
Per quanto riguarda invece la promozione della cooperazione transfrontaliera e, considerati gli effetti positivi della co-produzione sia in termini di accrescimento della diversità culturale che di circolazione delle opere, FERA auspicherebbe una maggiore intensità complessiva di aiuti, considerando accettabile il 60% proposto dal Documento di Discussione.
Le condizioni territoriali
La Comunicazione sul Cinema del 2001 fa osservare che una certa dose di territorializzazione può “risultare necessaria per garantire il mantenimento delle competenze umane e tecniche occorrenti per realizzare opere a carattere culturale”.
FERA auspica il mantenimento delle attuali condizioni nella prossima Comunicazione sul Cinema. Lo “Studio sull'impatto economico e culturale, in particolare sulle co-produzioni, delle clausole di territorializzazione regimi di aiuti di Stato” del 2008 non fornisce alcuna evidenza che una revisione della attuali norme si tradurrebbe in una maggiore efficienza nel mercato. Né vi è prova che il rigore degli attuali requisiti territoriali sia tale da generare distorsioni della concorrenza all'interno del mercato UE.
Nell'ambito della produzione cinematografica non c'è una logica di standardizzazione del prodotto, ogni membro del team ha un ruolo preciso da ricoprire nella realizzazione della visione artistica del film. Molti registi vogliono lavorare con le professionalità con cui hanno già lavorato e nelle cui capacità di interpretazione creativa del progetto hanno fiducia. Lavorare all'estero con troupe e tecnici di sconosciuti, viene valutato come rischioso.
La maggior parte dei film europei e programmi TV sono prodotti sul terreno di casa a causa di fattori di ordine non necessariamente o principalmente economico, ma creativo e culturale. La maggioranza dei soggetti richiedono attori locali e location particolari, tenendo in conto il fatto che i registi europei fanno meno uso di studi e teatri di posa rispetto agli omologhi americani ed internazionali.
Il 20% del finanziamento pubblico all'audiovisivo europeo (incentivi fiscali non inclusi) proviene dalle regioni.
Modifiche alla territorializzazione si tradurrebbero inevitabilmente in una contrazione del finanziamento dei prodotti culturali, non solo nella regione direttamente colpita dalla riduzione degli incentivi, ma in tutta Europa.
Eliminare un meccanismo fondamentale per il sostegno alla produzione cinematografica da parte degli Stati membri, significherebbe distruggere dalle fondamenta un settore già di per sé profondamente vulnerabile, rischiando di rimarcare l'impossibilità di alcune nazioni e regioni di continuare a mantenere una massa critica di attività che possano salvaguardare le competenze e le infrastrutture, assicurando al contempo la diversità culturale.
La rivoluzione digitale influisce sulle norme in materia di aiuti di stato?
L'industria cinematografica negli ultimi anni ha affrontato la sfida delle nuove tecnologie, e del cambiamento progressivo di abitudini da parte dei fruitori; le strutture e i modelli commerciali esistenti invece risentono di una produzione di film europei superiore rispetto a quanto i sistemi di distribuzione convenzionali siano in grado di sostenere. I cineasti americani invece già da tempo sfruttano abilmente approcci alternativi di tipo digitale rispetto agli europei.
Questa esperienza suggerisce che forse le norme sugli aiuti al settore audiovisivo dovrebbero contemplare anche una serie di sostegni allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla formazione del personale.
Alcuni stati europei ritengono che occorra valutare diversi tipi di opere (i cosiddetti crossmedia, ovvero progetti cinematografici che si sviluppano tramite film, tv online, dispositivi mobili e videogames), utilizzando gli stessi criteri delle produzioni cinetelevisive.
FERA, sebbene ritenga che la definizione di opera audiovisiva possa essere estesa a tutte le opere i cui modelli di produzione e di distribuzione condividano le stesse caratteristiche delle produzioni cinematografiche e televisiva, non è invece dello stesso avviso per quanto riguarda il settore dei crossmedia e dei videogiochi. Anzi, suggerisce alla Commissione Europea di prendere in considerazione la stesura di una Comunicazione separata per queste opere, il cui modello di business è sostanzialmente dissimile da quello dell'opera cinematografica e televisiva, considerando questi soggetti nell'ottica di opere puramente commerciali, che dovrebbero restare fuori dai regimi di sostegno alle opere culturali.
Dal meeting è emerso che, nonostante le evoluzioni nei formati di produzione e di distribuzione, le sfide fondamentali restano le stesse. Gli equipaggiamenti di produzione digitale non riducono significativamente il numero di membri della troupe o le tempistiche di produzione. Il supporto alla distribuzione (su tutte le piattaforme) e alla promozione sono ancora indispensabili per creare domanda. Nella transizione al digitale andrebbero tenuti in conto i tempi ragionevolmente tecnici per attuare lo svecchiamento e adottare nuovi modelli di business sostenibili.
Gli Studios americani si dimostrerebbero un ottimo investitore nel campo della digitalizzazione delle sale, ricavandone però una contropartita nell'assunzione di obbligo di una loro programmazione che andrebbe ad indebolire le uscite in sala europee. Sotto questo punto di vista gli aiuti statali rappresentano un fattore importante per mantenere il controllo dei nostri schermi oltre che agevolare il passaggio alla conversione al digitale.
Si dovrebbero imporre condizioni per il sostegno alla produzione volte a facilitare la transizione al digitale, per esempio richiedendo che sia realizzato un master digitale dell’opera e che le opere realizzate con fondi pubblici vengano diffuse con licenze Creative Commons?
Le norme sugli aiuti di Stato dovrebbero essere indirizzate ad ammortizzare l'impatto sul mercato, non ad espropriare i diritti di proprietà intellettuale. Con un tetto massimo all'intensità degli aiuti di Stato i produttori sono obbligati a trovare investitori privati, e questo sarebbe impossibile se non ci fosse nessuna prospettiva di recuperare l'investimento. E' nell'interesse di tutti che i film siano visti dal pubblico più vasto possibile e per questo, dal punto di vista della Federazione dei Registi, i titolari dei diritti devono essere liberi di scegliere il miglior modello di licenza al fine di raggiungere l'obiettivo. Parrebbe del tutto fuori luogo quindi suggerire l'imposizione della licenza "Creative Commons" su opere che, essendo solo in parte sostenute da finanziamento pubblico, devono comunque accedere al mercato del finanziamento privato o dell'autofinanziamento.
Oggi diversi schemi di finanziamento nazionali subordinano l'erogazione dei sostegni economici all'obbligo di deposito di una copia master dell'opera, nell'ottica di contribuire così allo sviluppo della cultura cinematografica e della sua divulgazione. FERA concorda in merito all'obbligo di deposito a scopo di archiviazione e conservazione ma, per quanto riguarda qualsiasi tipo di utilizzo a scopo culturale ed educativo, ritiene esaustive le norme relative al diritto d'autore, escludendo questa tematica dalla nuova Comunicazione sul Cinema.
In conclusione il Documento di Discussione sembrerebbe assumere che una regolamentazione supplementare nel settore del settore audiovisivo potrebbe massimizzare l'impatto degli aiuti di Stato. FERA in questo caso non è d'accordo. Le opere audiovisive europee possono raggiungere nuovo pubblico globale se opportunamente incentivate e sostenute. Va tenuto conto infatti che la sovra-produzione europea di cui sopra, rispetto ad una ridotta domanda, si scontra con le potenzialità di marketing del prodotto americano; gli aiuti di Stato dovrebbero svolgere la funzione di livellare il campo di gioco e incrementare la competitività del prodotto europeo. In Europa e fuori dell'Europa.
Lidia Nucera
Link utili:
Documento di Discussione
http://ec.europa.eu/competition/consultations/2011_state_aid_films/index_en.html
Comunicazione sul Cinema
http://ec.europa.eu/avpolicy/reg/cinema/index_en.htm
FERA official site
Study on the economic and cultural impact, notably on co-productions, of territorialisation clauses of State aid schemes for films and audio-visual productions
http://ec.europa.eu/avpolicy/docs/library/studies/eac/02_04_call_s84_071312.pdf
http://ec.europa.eu/avpolicy/docs/library/studies/territ/corr.pdf
Il teorema di Sorrentino applicato al thriller
...“Non sottovalutare le conseguenze dell’amore”… Il cinquantenne Titta Di Girolamo plasmato da Paolo Sorrentino se l’era appuntato e Driver, l’autista di auto di Los Angeles che di giorno lavora come stuntman per le produzioni cinematografiche e di notte guida le auto per le rapine non le ha nemmeno considerate.
Il primo s’innamora lentamente della barista Sofia, l’altro più giovane e quindi meno arido, non riesce a fare a meno di innamorarsi di Irene, la sua dolce vicina, una giovane ed indifesa madre, Carey Hannah Mulligan, il cui marito sta in carcere.
Per entrambi l’uscita dalla condizione di lupo solitario segna l’inizio della fine.
Quando Standard, il marito di Irene esce dal carcere, viene subito invischiato in un pericoloso giro criminale, a causa di un vecchio debito da saldare e Driver (Ryan Gosling) si trova costretto ad agire per difendere la ragazza di cui è innamorato, mentre è inseguito da una pericolosa organizzazione di criminali.
Una vita, la sua, dove tutto è tenuto sotto controllo e il tempo e gli eventi sono monitorati e monitorabili con un timer. Lui freddo, una sfinge al volante, come una delle maschere usate nelle scene da stuntman, che dimentica di indossare la protezione più importante, quella per i sentimenti.
I timer si spengono, la calma svanisce, lo sguardo è accecato, il gioco ora ha nuove regole, nuove priorità, perché ha nuove pedine, Irene e suo figlio, fuori da ogni schema.
Inquadrature perfettamente calibrate, movimenti cadenzati, carrelli e piani sequenza al ritmo accellerato delle musiche (azzeccatissime) e del cuore dello spettatore, un’orchestrazione di campi, piani, tempi e luci, a parlare più di molte parole, silenzi, sguardi, piccoli e lenti movimenti del corpo dialogano, e dietro di loro un solo e grande direttore, Nicolas Winding Refn, premio per la miglior Regia al Festival di Cannes 2011: un nuovo Kubrick è nato dal thriller, dalla Copenaghen di Nicolas Winding Refn, che con Pusher - L'inizio, realizzato a soli 25 anni, aveva dato prova di non essere uno dei tanti. Perfezione stilistica e impronta autoriale fortissima.
Si avverte la presenza dei grandi maestri come Kubrick, passando per Michael Mann, per i suoi Manhunter - Frammenti di un omicidio, Heat La Sfida e Collateral, che sembrano essere stati depurati, ritrovando uno stile scarno, privo dell’inessenziale, cristallizzato dal freddo della terra di Refn. Questo è Drive, un thriller sinfonico.
Lidia Petaccia
Cheyenne (Sean Penn) è una rockstar non più giovanissima che è uscita dal giro. Ha suonato con i grandi, tra cui Mick Jagger e David Byrne (che compare in persona nel film), tant'è che la gente lo riconosce ancora per strada, suo malgrado. Nonostante continui a tenere i capelli cotonati, a coprirsi il volto di cerone, a passarsi il rossetto sulle labbra e lo smalto sulle unghie, sta attraversando un periodo di profonda noia, che scambia a tratti per depressione. Apatico e legato da trentacinque anni alla stessa donna, sua moglie (Frances McDormand), si muove su e giù per le vie di Dublino con il suo carrello della spesa, finché un giorno la morte del padre, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento, non lo porta a New York, dove scoprirà che il genitore aveva intrapreso da anni la caccia ad un criminale nazista, tale Aloise Lange (Heinz Lieven). Per riscattare il rapporto paterno interrotto trent'anni prima, Cheyenne raccoglierà il testimone, avventurandosi in un'improbabile caccia all'uomo lungo gli Stati Uniti, che gli darà nuova spinta vitale...
Quale regista europeo non ha tentato l'esperienza “americana”? Tutti. A quanti è andata bene? Ben pochi.
Paolo Sorrentino, già acclamato a Cannes con Il divo tre anni fa, e vincitore in sordina nell'ultima edizione del Premio della Giuria con questa sua ultima opera, si pone come eccezione che conferma la regola.
Scrivendo la sceneggiatura insieme ad Umberto Contarello, rievocando la storia dell'omonima canzone dei Talking Heads e partendo dall'iniziale idea di “una caccia”, divide il film in due parti. La prima è dedicata interamente alla costruzione di Cheyenne, un personaggio raccontato come da tempo non si vedeva sul grande schermo: un uomo che a cinquant'anni suonati continua a “mascherarsi”, cercando di nascondere il senso di colpa per due suoi fan suicidatisi a causa delle sue canzoni dark, girovagando sempre con un carrello della spesa e poi con un trolley, simboli di un fardello irremovibile. La seconda è volta alla decostruzione dello stesso personaggio, portato a confrontarsi con la figura paterna, per lungo tempo ignorata, ma indimenticabile, che lo condurrà in un lungo viaggio nel cuore degli Stati Uniti, alla ricerca delle radici e di se stesso. Smarrito negli USA, l'ex-cantante si confronterà con vari familiari del criminale ricercato, prima la moglie e poi la figlia, entrambe anime in crisi che ne hanno perso le tracce. Presentatosi come John Smith, quindi ancora una volta mascherato, scoprirà nelle due donne l'importanza della famiglia, rispettivamente per eccesso e per difetto. Alla fine la punizione, malgrado le premesse apocalittiche, sarà solo simbolica.
Utilizzando un Sean Penn in stato di grazia, imperdibile nella versione originale, che parla con una vocina stentata ed assume posture improbabilmente rigide, contornato da un validissimo cast tra cui spiccano Frances McDormand, Judd Hirsch e Harry Dean Stanton, Sorrentino fa della regia il suo punto di forza. Tornando agli stilemi dei primi film ostenta suoi vezzi, come la bottiglia/passaggio a livello e la particolare costruzione di alcune scene, come quella dell'incontro finale col nazista Lange, girata nella scomposizione di una coazione a ripetere, mostrando ogni volta un dettaglio ulteriore, fino a svelare la presenza in stanza dello stesso Cheyenne.
This must be the place è anche un'opera sulla visione: quella filtrata “in soggettiva” dagli occhi bistrati e spesso quasi socchiusi del protagonista, quella spenta per sempre degli occhi ormai serrati del padre, che però per tutta una vita hanno fissato un obiettivo, quella infine che attinge al passato del non (più) vedente Lange, protetto da spessi occhiali scuri.
Il regista partenopeo, come ogni grande autore, fa in fondo sempre lo stesso film: il suo è un cinema di personaggi solitari, al margine, come l'uomo in più Pisapia dell'omonimo esordio, come il Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell'amore o il Geremia de' Geremei de L'amico di Famiglia o ancora l'Andreotti esplorato ben oltre i trecentosessanta gradi de Il divo, tutti loro si riversano in Cheyenne che attraversa l'intera storia, filmica e mondiale, nei suoi ultimi settant'anni, arrivando a confrontarsi con l'olocausto, quasi indenne.
Nell'ultima enigmatica scena il cerchio si chiude: un Penn ormai non più Cheyenne ricompare per la visibile gioia della madre dello scomparso amico Tony. Chiunque egli sia (Tony? Cheyenne? Penn?), il viaggio si è compiuto, un uomo è stato trovato ed un altro s'è ritrovato. Ed un regista s'è ancora una volta confermato un autore di razza.
Paolo Dallimonti
scadenza del bando: 30 /09/2012
Concorso video max 30secondi per la realizzazione di uno spot comico,con obbligo di inserire due frasi, all'inizio RISO FA BUON SANGUE, e alla fine DIVENTA ANCHE TU DONATORE!!!
Gli Amici del cabaret Lendinara - Rovigo, in collaborazione con l'AVIS VENETO E AVIS PROVINCIALE di Rovigo e con il patrocinio della Provincia di Rovigo, bandisce la seconda edizione edizione del Premio “Riso fa buon sangue 2012 – spot comico”, l'intento è di valorizzare, promuovere la donazione del sangue utilizzando anche i video come forma di espressione valida a sviluppare le potenzialità dei linguaggi artistici dei nuovi media.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE: gratis
modalità d'iscrizione:
Il video dovrà essere spedito entro il 30 Luglio 2012 con: posta ordinaria, prioritaria o raccomandata semplice senza ricevuta di ritorno, al seguente indirizzo:
Premio “Riso fa buon sangue 2012 – spot comico”,
Associazione Amici del cabaret, piazza Risorgimento 16,45026 Lendinara (RO)
link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:
www.risofabuonsangue.it