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comunicato stampa diramato da SIAE:
"La polemica oggi presente su newsletter e blog riguardo ai diritti sulla musica contenuta nei trailer, accende il faro su una regola da sempre contenuta nella legge italiana e nei trattati internazionali, per cui se una musica viene utilizzata l'autore di quella musica ha diritto ad un compenso. La SIAE è solo lo strumento attraverso il quale questa regola viene fatta rispettare.
Ricordiamo brevemente il contesto. In questi giorni la SIAE ha invitato numerosi siti di trailer a carattere commerciale a regolarizzare la propria posizione poiché diffondere al pubblico colonne sonore senza aver assolto i diritti rappresenta una violazione della legge. Nell'interesse di tutta la filiera cinematografica (incluse le riviste on line che si dedicano all'audiovisivo) è importante diffondere la cultura del rispetto dei diritti degli autori anche su Internet...
La musica è chiaramente tra le materie prime dei contenuti audiovisivi come i trailer. Dov'è la sorpresa se un'impresa deve pagare quando si procura le materie prime per fare business? Grazie ai produttori e ai distributori cinematografici i trailer arrivano pronti all'uso ai siti e alle riviste on line che trattano dell'argomento. L'unico diritto da pagare è quello per le colonne sonore. Chi le utilizza dovrebbe trovare tutti i titolari delle varie musiche, ma con la licenza della SIAE gli utenti risolvono il problema con un unico pagamento.
La licenza della SIAE è quindi una soluzione pratica per chi vuole rispettare la legge..."
NONOSTANTE questi chiarimenti, è inevitabile un’ulteriore riflessione
Un trailer è prima di tutto uno strumento pubblicitario che decide spesso, quasi da solo, le sorti di un film, limitandone la diffusione si nuoce in maniera irreparabile prima di tutto all’opera stessa e a chi l’ha creata.
Non basta quindi che un giovane autore si trovi di fronte ad enormi costi per la realizzazione di un progetto, non basta che la distribuzione sia difficile, a volte quasi inesistente, e non basta che film Italiani premiati e riconosciuti all’estero, nelle nostre sale non passano neanche per sbaglio…Ora le "nuove" sono che se RIESCI A FARE UN FILM, SE RIESCI A DISTRIBUIRLO, grazie a questa “censura” che relega la diffusione dei trailers solo a pochissimi canali che possono "spendere", l’affluenza in sala sarà ancora minore.
E come se non bastasse, cosa succede se a potersi permettere il canone della pubblicazione sono strutture on line che strizzano l’occhio alle grandi distribuzioni o ai cinepanettoni? Che fine fa tutto quel meraviglioso cinema underground che caratterizza il nostro e molti altri paesi?
E più di tutto, se vogliamo mettere da parte le sorti di artisti e addetti ai lavori - che se non hanno rinunciato a questo mestiere in questi ultimi anni, probabilmente non rinunceranno neanche questa volta – che fine facciamo noi? I fruitori di queste opere…come facciamo noi senza IL TRAILER a decidere QUALE film andare a vedere? Qualcuno dovrà decidere per noi o recensire in maniera necessariamente faziosa consigliandoci un film piuttosto che un altro? Dove finisce allora L’IMPARZIALITà del trailer, e quel che è ancora peggio dove finisce la SANA DEMOCRAZIA di internet.
Queste sono solo alcune delle tante domande che mi vengono in mente oggi.
Paradossalmente, se nei tagli alla cultura, frutto di una crisi che investe l’economia intera (e non solo l’industria-cinema), riuscivo a vedere quasi un momento di rilancio, dove immaginavo nuove attività che all’occorrenza avrebbero imparato ad adoperarsi e a definirsi realmente autonome a dispetto di finanziamenti VINCOLANTI che appiattiscono in qualche modo il panorama cinematografico in tutta la sua originalità, oggi in questo accordo riconosco solo l’ultimo mezzo per “imbavagliare” la rete e quei pochi che RESISTONO e continuano a far film NONOSTANTE TUTTO.
Probabilmente parte del problema si risolverà nel momento in cui You tube sottoscriverà un accordo adatto (a pagamento suppongo) con la SIAE. Comunque per tutti quei MEDI canali di informazione cinematografica che non passano per you tube la scelta obbligata potrebbe essere quella di togliere definitivamente i trailers dal proprio sito, danneggiando ancora una volta la visibilità autonoma e indipendente delle opere.
R.M.
un film di Ivano De Matteo
con Monica Guerritore, Iaia Forte, Antonio Catania, Giorgio Gobbi, Victoria Larchenko, Myriam Catania, Elio Germano
Grand Prix e CICAE AWARD 2009
E’ possibile accettare la morte quando si è giovani e belli? ...e non solo. E’ possibile accettare la vita quando, giovani e belli, si proviene dalla morte, si è rimasti soli e si va incontro di certo a un altro lutto?
Sembrerebbe di sì. O almeno a Hollywood qualcuno ci è riuscito: mister Gus Van Sant, uno dei più sensibili fra i registi americani ha provato a prendere in mano questa storia di Bryce Dallas Howard (la figlia di Ron) a farla sua, artisticamente e stilisticamente destando la nostra ammirazione dopo quella suscitata al Certain Regard dell’ultimo Festival di Cannes.
Le vite dei due protagonisti si incrociano in un momento fatidico: lui, Enoch viene da un contatto ravvicinato con la morte e ancora deve riuscire a vivere veramente, frequenta solo fantasmi e funerali; lei, Annabel la vita la sta per lasciare per colpa di un male incurabile che le lascia solo i giorni contati. La patata in mano a Van Sant era particolarmente bollente: il più famoso film su questo argomento “Love story” quando uscì (e forse ancora oggi) spaccò a metà critica e pubblico. C’erano quelli che uscivano dalla sala commossi e con gli occhi gonfi e quelli che rifiutavano sdegnosamente il “ricatto emotivo” di una simile storia. In “Restless” (titolo italiano da dimenticare, tanto per cambiare ... “L’amore che resta”) invece molte situazioni apparentemente drammatiche in mano al regista di Louisville acquisiscono una dimensione scherzosa, irriverente verso il destino, una totale libertà intellettuale rispetto ai luoghi comuni sull’argomento. Come è d’altronde vero che il peso del dramma lo sosteniamo tutto fin dall’inizio, viviamo perfettamente le vite interrotte dei due ragazzi senza che Van Sant debba usare nessun trucco psicologico. Un po come succedeva nei film della nouvelle vague caratterizzati si da un certo anarchismo intellettuale ma anche da un profondo romanticismo: il dramma è li, dietro l’angolo ma noi voliamo alto insieme ai pensieri e ai gesti dei protagonisti per tutto il film. Nello specifico impossibile non ripensare a “Jules et Jim” di Truffaut (la passeggiata in bicicletta) o a “A’ bout de souffle” di Godard (i capelli corti, biondi di Annabel stile Jean Seberg con Belmondo pre-destinato a morte prematura)
"Restless" è segnato dalle situazioni banali, quelle piccole cose che accadono giorno per giorno e che li per li non sappiamo sottolineare, alle quali non diamo alcun peso. Ma che poi escono fuori con il tempo, quando si ricordano persone care ormai lontane o legami affettivi ormai finiti nel passato. E’ il potere della memoria. Ebbene GVS riesce a dare corpo unico a un insieme di piccole scene romantiche, divertenti, tristi, naturali e a fare di queste il fulcro del film. Il lavoro “fotografico” sui due ragazzi ricorda moltissimo gli altri film di GVS che non ha caso secondo me e non da questo film sa raccontare meglio di chiunque altro le nuovissime generazioni americane, le loro vite apparentemente distaccate dalla realtà ma che hanno un mare in tempesta nelle viscere. Basti pensare a “Elephant” o a “My own private Idaho” oppure “Paranoid Park” o “Will Hunting”. Il regista americano affonda si lo sguardo ma non si sofferma più di tanto sulle loro espressioni, li riprende di lato per non invaderli in pieno, lo fa in modo quasi quasi casuale, sulle loro guance segnate da couperose o sulla loro fronte ricca di acne giovanile. Per questo non ha bisogno di mostrarli alle prese con i consueti “totem” generazionali quali iPhone, computer, cellulari, videogames. Non ce n’è bisogno. GVS li racconta intimamente ma senza mai scalfirli o violentarli: è veramente di una classe superiore.
Questo modo così lieve di raccontare una storia destinata a finire, mi ha rimandato con la mente ai film di Michel Gondry e in particolare a “The eternal sunshine of the spotless mind” anche se lì i protagonisti erano giovani già cresciuti e c’era una “morte” solo virtuale. Sarà forse per quella scena che poi è diventata la locandina di entrambi i film: i due ragazzi stesi in mezzo alla strada presi dall’alto con le sagome auto-segnate in gesso per “Restless” e la scena simile nel film di Gondry con Jim Carrey e Kate Winslet distesi per terra ripresi con il dolly che li riprende in un deserto di ghiaccio. Poesia del racconto cinematografico.
I due ragazzi giovanissimi Annabel ed Enoch sono interpretati senza enfasi dai giovani Mia Wasikowska e dal figlio di Dennis Hopper, Henry alla sua prima prova. Non sapendo nulla del cast di questo film, alla prima scena con Enoch ho avuto un sussulto sulla sedia riconoscendo in lui il giovane bulletto di “Gioventù bruciata” e mi sono detto fra me e me “ma guarda che sfrontato questo ragazzino che fa il verso al grande Dennis e a James Dean” poi ai titoli di coda ho capito...
Chiudo con un cenno di merito alla sala 3 del Fiamma, dove ho assistito alla proiezione di "Restless". La scelta sulla carta era poco incoraggiante, delle tre sale romane nelle quali è stato programmato il film (scandaloso che un titolo del genere non sia stato distribuito ne in versione originale ne in una sala grande) ho scartato a priori la sala 3 del Doria, e la sala 3 del Greenwich per manifesta incompatibilità con un cinema degno di tale nome. Non avendo alternative ho avuto dal carissimo amico cinéphile Lorenzo Bottini il benestare per la 3 del Fiamma dove non ero mai stato: beh non ci crederete... ma molto meglio di una sfilza di sale uno e due sparse per Roma. Schermo e audio come dio comanda, poltrone comodissime e ben distanziate, solo un leggero rumore del proiettore che naturalmente essendo a ridosso dell’ultima fila si fa sentire.
Quindi buone vibrazioni... grazie al Fiamma e grazie soprattutto a Gus Van Sant.
Marco Castrichella
Ieri sera al Nuovo Sacher ho visto questo piccolo, breve, delicatissimo film francese presentato con successo a Berlino e in diversi festival minori. Fortunatamente e inconsapevolmente è stato proiettato dai bravi esercenti morettiani in versione originale e dico fortunatamente perché se il doppiaggio è sempre da evitare lo è ancora di più quando si tratta di film con bambini protagonisti, le loro espressioni molto naturali non possono subire un doppiaggio in studio da parte di altri bambini. E’ assurda la sola idea.
Tomboy è il protagonista e ha 10 anni. Tomboy è un nomignolo. Il nome vero è Laure o Mikael. Tomboy è un termine pressappoco simile a quello che a Roma si usa per “maschiaccio” rivolto alle ragazzine con atteggiamenti maschili nel vestirsi, nella scelta dei giochi, nel parlare. Tomboy sta scegliendo la propria attitudine sessuale e nemmeno lo sa, forse. Tomboy lo capisci subito dal titolo che la regista decide di offrirci su sfondo nero prima con la scritta azzurra, poi rosa e poi finalmente alternata azzurra e rosa. Colorata non monocromatica come è giusto che sia la natura dei bambini.
Il periodo di svolgimento dell’azione è molto breve, dura meno di un’estate quella in cui i genitori che attendono un nuovo bambino, la sorellina Lisa e Tomboy si trasferiscono in nuovo appartamento. Anche in questo è bravissima Céline Sciamma: a non prolungare troppo la fase di “osservazione” nella vita di Tomboy. E’ un breve periodo, cruciale della vita del protagonista che ci permette di seguirne con la mdp attaccata al corpo movenze, reazioni, giochi, pensieri, senza troppe filosofie. Solo il quotidiano. C’è un’altra grandissima protagonista nella storia di Tomboy e badate bene non è Jeanne la ragazzina grande che inevitabilmente si “innamora” di questo nuovo arrivato, ma la sorellina Lisa. Straordinaria sia per come “recita” ma anche fondamentale nel ruolo. Lisa è l’unica che non si chiede perché Laure abbia deciso di “essere” Mikael. Lo accetta perché le vuole bene, si fida di lei e non ha la malizia e soprattutto il preconcetto dei grandi. E fra i grandi oltre a mamma e papà (più tenero e gentile sicuramente rispetto alla reazione materna in quanto “maschio” e potenzialmente più vicino al sesso che sta scegliendo la figlia) purtroppo ci sono già anche i coetanei di Tomboy... è con loro il vero confronto.
Naturalmente non dico nulla di più ma il finale scelto dalla giovane Sciamma è assolutamente da condividere, senza scene madri o forti, vero e bello come tutto il film. Direi che ricorda molto il finale dell’ultimo film dei fratelli Dardenne “Le gamin au vélo”.
E non è poco... tutt’altro.
Marco Castrichella