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Solo gli amanti sopravvivono

Venerdì 16 Maggio 2014 17:31 Pubblicato in Recensioni

Only Lovers Left Alive, l’ultima firma di Jim Jarmusch è una finestra sulla vita di due individui, che hanno scelto di vivere per l’eternità. Alla scorsa edizione del festival di Cannes (2013), il regista americano ha ribadito più di una volta che la pellicola non ha una sottotrama, non ha nessuna morale oltre a quella che preferisce trovare lo spettatore, non è una catechesi su come dover trascorrere la vita, è semplicemente una storia d’amore che non inizia e non finisce con il film, ma continua prima e dopo senza tempo. I due amanti del titolo vivono nell’anonimato. Lontani a chilometri di distanza, forti del sentimento che li lega da secoli, scelgono lo pseudonimo di Adam e Eve. I due protagonisti sono apparentemente agli antipodi, lui (Tom Hiddleston) è un musicista annoiato, stanco della vita che da 500 anni non premia la sua musica né il talento degli scienziati che ammira, stanco di cercare il riconoscimento degli altri, fugge dalla fama e si lascia vivere circondato da ciò che ama, non gli interessa il progresso, disgustato da come le  altre persone “trattano il mondo”, seleziona la tecnologia trovando un proprio equilibrio tra l’uso del computer e del tubo catodico. Lei (Tilda Swinton) ha 3000 anni ma si meraviglia come una bambina della moltitudine di cose che ha ancora da imparare, nonostante sia quella che con un solo tocco riesce a  datare un oggetto, non disdegna l’uso dello smartphone ma si compiace nel contemplare la natura non smettendo di trovare il significato della vita nella bellezza di una danza o nella poesia. Dopo essersi ricongiunti, nel microcosmo di eventi che, come il perpetuarsi di un piatto su un giradischi, girano attorno a loro,  si muovono sulla scena altri personaggi, Ian (Anton Yelchin) l’unico amico di Adam, John Hurt che interpreta il drammaturgo Cristopher Marlowe in persona e, ultima ma decisiva nello sconvolgere la quiete della coppia, Ava (Mia Wasikowska) sorellina di Eve, che se ne infischia dei modi sofisticati della famiglia e ha un talento innato per cacciarsi nei guai e trascinare gli altri con sé. L’amore è raccontato come un dolce bisogno di non abbandonarsi, è la “fortuna” di aver trovato una persona con cui condividere tutto, un intreccio costante che lega due anime gemelle per sempre, una passione che non si spegne mai e che ci salva dall'innata voglia di morire per non affrontare l’eterno. Sviscerati attraverso la messa in scena sono istinti del tutto primordiali come il bisogno di due predatori in cerca di cibo, perché, i nostri due sofisticati protagonisti, sono dei vampiri bramosi di sangue.  Questo non è il primo film a trattare di succhia sangue innamorati, né tantomeno il solo negli ultimi anni, è una risposta che distrugge la ridicola immagine creata dalla saga di Twilight e restituisce dignità alle creature della notte. La musica e le città coinvolte sono il riflesso dell’anima dei protagonisti. Le canzoni scelte sono pertinenti (prima tra tutte Funnel Of Love di Madeline Follin) e non mancano le esibizioni degli artisti che hanno partecipato al film, come quella della cantante libanese Yasmine Hamdan. Le note funeree dei testi composti da Adam sono anch’esse frutto del parto creativo di Jarmusch e del suo complesso musicale gli SQURL, così come lo sono i tamburi che accompagnano i passi di Eve di stampo medio orientale nelle suggestioni di Tangeri, la città affollata in cui la vampira ha scelto di nascondersi. Adam invece ha trovato la sua dimora in un castello fuori dal mondo nella desolazione di Detroit, dove il tempo sembra aver dimenticato il resto della città, luoghi esplorati al buio e fuori dal caos delle metropoli, romantici come l’intimità di una vita a due. Il cast è eccezionale, Tilda Swinton, elegantissima, scelta più di cinque anni fa per questo progetto mostra carattere e femminilità, il personaggio le è stato cucito su misura. Tom Hiddleston è il perfetto “Syd Barret che interpreta Amleto”, come voleva Jarmusch stesso, e non poteva essere diversamente vista la sua passione viscerale per Shakespeare e la sua spiccata vena teatrale. Ricco di citazioni, essenziale nella narrazione, con una fotografia che rasenta la genialità, indugia su tempi lunghi e non è un film “per tutti”. L'opera è invece ipnotica, riflessiva, magnetica, non è una oscura celebrazione della morte, ma è la dimostrazione di quanto possa essere forte il nostro istinto di sopravvivenza e l’ attaccamento alla vita, eterna o effimera che sia.

 
Francesca Tulli

Lo Spiraglio FilmFestival

Venerdì 16 Maggio 2014 10:47 Pubblicato in News
Si tiene presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma nei giorni del 5, 6 e 7 giugno 2014 la quarta edizione de Lo Spiraglio FilmFestival, manifestazione di corti e lungometraggi sul tema della salute mentale e del disagio psichico. Diretto da Federico Russo e Franco Montini, rispettivamente direttore scientifico e artistico, Lo Spiraglio FilmFestival della salute mentale conferma il suo intento di raccontare attraverso le immagini il mondo della salute mentale nelle sue molteplici varietà. L’obiettivo è quello di avvicinare il pubblico alla tematica e permettere a chi produce audiovisivi, dedicati o ispirati all’argomento, di mettere in evidenza risorse  creative e qualità del prodotto. Presentati in concorso lungometraggi e  cortometraggi: il panorama delle opere selezionate propone appassionate storie d’amore, lunghi viaggi alla scoperta di mondi sconosciuti, indagini su dichiarate patologie, ma anche riflessioni sul disagio psichico, con protagonisti di ogni età e ambientazione.
 
 
Tra i film presentati, il cortometraggio di 17 minuti, Mathieu, del regista romano Massimiliano Camaiti. Il film racconta la difficoltà di esprimere veramente se stessi all’interno della società di oggi attraverso la storia di Mathieu, francese sui trent’anni, il quale ha capito che nella vita per essere amato da tutti e non avere problemi, deve dare agli altri ciò che vogliono. Altro cortometraggio in concorso, Insideout, della regista Flaminia Graziadei, già vincitore del Premio Miglior Cortometraggio al London Independent Film Festival. Il corto narra di Out, donna in carriera, abituata ad avere grandi responsabilità e a lavorare sotto pressione.  Ma ha un segreto di cui a malapena riesce a parlare: soffre di attacchi di panico. Si manifestano all’improvviso, violenti e inaspettati, lasciandola prostrata. Un giorno qualcosa cambia: Inside, il suo inconscio, si manifesta e si stacca da lei, cominciando a vagare per le strade della città. OUT finalmente si rende conto che l’unico modo per superare la propria condizione è di accettarla. Inizia così una ricerca affannosa di Inside e ora Out sa cosa fare per riappropriarsi per sempre di quella oscura e vulnerabile parte di sè.
 
Nella serata finale del festival, il 7 giugno 2014, una Giuria composta da addetti ai lavori appartenenti all’ambito sociale, psichiatrico e cinematografico assegnerà  il Premio  di 1.000 euro al miglior cortometraggio e  il Premio di 1.000 euro al miglior lungometraggio. E’ anche prevista l’assegnazione di un Premio speciale della Giuria, all’opera considerata particolarmente significativa per il tema e per la modalità con cui tratta l’argomento.
 
Maggiori informazioni consultando www.lospiragliofilmfestival.org

X-men - Giorni di un futuro passato

Giovedì 15 Maggio 2014 16:02 Pubblicato in Recensioni

Bryan Singer (già regista di X-Men e X-Men 2) torna dietro la macchina da presa per dirigere Giorni di un futuro passato,  il quinto episodio ufficiale della fortunata saga. Tratto dall’omonimo arco narrativo di Chris Claremont e John Byrne, del quale più che un libero adattamento sembra esserne uno stupro, il film è ambientato in un futuro non troppo lontano, già ipotizzato all’inizio di X-Men - Conflitto Finale, in cui invincibili Sentinelle hanno preso il controllo sul mondo provocando un olocausto di mutanti. In questo scenario apocalittico il Professor Xavier (Patrick Stewart) e Magneto (Ian McKellen), di nuovo fianco a fianco, guidano un ristretto gruppo di mutanti sopravvissuti. Con l’aiuto di Kitty Pryde (Ellen Page), Wolverine (Hugh Jackman) viene mandato indietro nel tempo fino all’anno 1973, per impedire l’omicidio di Bolivar Tarsk (Peter Dinklage), futuro creatore delle Sentinelle, per mano di Mystica (Jennifer Lawrence), e avvertire i giovani Xavier (James McAvoy) e Magneto (Micheal Fassbender) del pericolo incombente. Il Charles Xavier con cui viene a contatto nel passato, però, è un uomo debole, acerbo e pieno di rancore, molto diverso da quello che Wolverine aveva imparato a conoscere. I due insieme a Hank McCoy (Nicholas Hoult) combinano un casino dopo l’altro, neanche avessero mandato indietro nel tempo Leslie Nielsen; falliscono inizialmente il loro tentativo di scongiurare l’apocalisse, anzi, rischiano addirittura di anticiparla. Proprio quando la situazione sembra degenerare - Magneto sradica in blocco un intero stadio da baseball e vuole uccidere Nixon - , invece, ci ritroviamo catapultati di punto in bianco in un finale idilliaco che rasenta il peggior Beautiful, con luci “smarmellate” e personaggi morti tre o quattro film prima che tornano miracolosamente in vita. 

 

 
Già dai primi minuti il film sa di già visto: sullo sfondo di una città distrutta, una voce fuori campo si domanda se il futuro sia scritto o meno, in un monologo che è il collage scriteriato di tutti prologhi dei vari Terminator. Nei dialoghi si riciclano le medesime frasi della prima trilogia nelle medesime circostanze: le menate sull’integrazione dei mutanti, il labile confine fra il bene e il male e le freddure da macho di Wolverine/Jackman. Gli effetti digitali megalomani, quelli che il geek di turno considererebbe “mozzafiato” per intenderci, fra massimo quindici anni appariranno datati, estremamente pacchiani e ne rideremo, come oggi facciamo di certe icone trash degli anni ’80. 
Tutto questo in un plot talmente zeppo di paradossi spazio-temporali, che il buon vecchio Doc Brown si metterebbe le mani fra i capelli. Lo scopo di intrattenimento tipico dei cinefumetti qui è tutt’altro che trasversale, arriva diretto, senza nemmeno fingere di attraversare tappe più auliche come ci insegna il furbo Nolan. Lo sforzo per gestire un set titanico e un cast tanto numeroso va indubbiamente riconosciuto, ma i risultati, in termini di originalità, sono veramente poveri. X-Men - Giorni di un futuro passato non è altro che il giocattolone standard dal budget stellare (225 milioni di dollari!) adatto ai bambini dagli 8 ai 30 anni. 
 
Angelo Santini

Il venditore di medicine

Giovedì 08 Maggio 2014 20:42 Pubblicato in Recensioni

Presentato in anteprima fuori concorso, al Festival Internazionale del Film di Roma, Il Venditore di Medicine, uscirà in cinquanta sale italiane il 30 Aprile. 

Il film, con tutto il suo stampo da documentario, presenta una tematica forte e delicata, forse trascurata nel nostro paese, e raramente trattata dal cinema italiano.
Il regista, Antonio Morabito, ci mostra i retroscena del sistema sanitario. Il comparaggio che avviene negli ospedali o studi medici, sotto l'impronta e la spinta di uomini in giacca e cravatta. Bruno (Claudio Santamaria) è uno di questi, un informatore medico/sanitario mandato dalla casa farmaceutica Zafer, sotto la supervisione di Giulia, una capoarea senza scrupoli interpretata da Isabella Ferrari.
 
La storia assume l'ottica privilegiata del "malfattore" che, spesso, si trova in situazioni di difficoltà morale. In realtà non c’è nessuno che in questo film interpreta la parte “buona” poiché ci viene rappresentato un genere di umanità in cui ognuno cerca di arrampicarsi più in alto degli altri.
 
Bruno esaudisce richieste di medici facilmente corruttibili, nella sua valigetta, oltre ai nuovi farmaci da presentare, porta sempre dei regali come palmari, promesse di auto o vacanze, per consolidare l'affare con il medico di turno. L’unico incorruttibile è il professor Malinverni, interpretato da Marco Travaglio, adeguatissimo per il ruolo.
Parallelamente alle prescrizioni per i pazienti, anche Bruno è succube dei farmaci, che non può fare a meno di usare per placare i suoi stati d'ansia essendo divenuto vittima del lavoro.
Egli vive una contraddizione tra realtà privata e lavorativa, alternata da ripensamenti affettivi e determinazione professionale. Su di lui incombe la difficoltà di gestire i rapporti coniugali senza farli pesare sulla sua professione. 
L’interpretazione di Santamaria, conferisce vigore al protagonista e lascia penetrare disagio e desolazione, rabbia e dispiacere. Ma allo stesso tempo ne scaturisce un personaggio severo con tutto ciò che gli ruota attorno. Le vite umane intese attraverso i toni più puri dell'affettività e del calore umano passano così in un sottile secondo piano. L'unica cosa che conta è non perdere il posto di lavoro, anche compromettendo la salute degli altri pur di non fallire. 
Il caso di Bruno, percosso dal suo blocco psichico, dalla scelta della propria sopravvivenza su tutti, è solo un esempio, che diviene espressione lampante e si spera mai regola, inserito nel dramma attuale dell'intera classe medica, celato inconsapevolmente, alla fiducia del singolo cittadino.  
 
Morabito ha saputo raccontare, senza indugiare in toni eccessivamente tragici, una vicenda che ha una chiave di lettura molto più profonda e preoccupante di quanto mostri sullo schermo. Lasciandoci ad una triste riflessione e suggerendo perplessità sull’importanza che il sistema sanitario dovrebbe dare alla salute, a prescindere dalle case farmaceutiche e dai marchi sponsorizzati sulla pelle dei singoli individui.
 
Francesca Savoia