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Trafficanti

Mercoledì 14 Settembre 2016 10:54 Pubblicato in Recensioni
Anche prima che Donald Trump spingesse i cittadini Americani ad armarsi, gli Stati Uniti sono sempre stati i signori della guerra. L'economia del paese poggia sulle costose transazioni che occorrono per equipaggiare anche un solo singolo soldato. Ispirato ai fatti realmente accaduti raccontati nell’articolo scritto dal giornalista Guy Lawson sulla rivista ‘Rolling Stone’ e successivamente riportati nel libro ‘Arms and the Dudes’ il regista Todd Phillips sceglie di scrivere un film coraggioso e per certi versi controverso. Lo sfigato David Packouz (Miles Teller), dopo aver subito una serie di licenziamenti, lavora come 'massaggiatore' presso un resort per vecchi ricconi. Ha una figlia in arrivo e una ragazza carina, ma i soldi non gli bastano. Al contrario, il suo compagno di scuola Efraim Diveroli (Jonah Hill) ha trovato un modo legale e facile di fare i soldi. rivedere le armi comprate all'asta all'esercito Americano. Non potendo resistere davanti alla prospettiva di guadagnare miliardi all'ombra del suo migliore amico, l’eroe che lo difendeva dai bulletti in gioventù, David decide di accettare la sua offerta di fondare insieme una società ed entra nel business del malaffare. Inizialmente controllato e regolare, improvvisamente dopo una serie di sfiorati fallimenti e bugie si ritrova in mezzo al deserto dell'Iraq con il suo socio, con i terroristi alle costole. Questo è solo l'inizio del gioco! Perché di un gioco si tratta. I protagonisti sono così imbranati da risultare simpatici, come non era il Di Caprio affarista di ‘The Wolf of Wall Street’ che ha molto da spartire con questo film che inconsapevolmente ne è una cupa parodia. Storciamo il naso a sentire un arabo urlare 'Allahu Akbar' da un camion di contrabbando, non sorridiamo al conoscere il finale di questa epopea perché i fatti della cronaca ci fanno infuriare. Eppure sotto l'intrattenimento, in stile ‘Una notte da leoni’ c'è un amara verità, una forte critica alla normale amministrazione USA. Per molti versi la limitazione del film è proprio questa, non esce dai confini americani e fa la morale allo Zio Sam, ma ci rende voyer di un goliardico circo di luoghi comuni sul fare soldi facili in cui possiamo comunque immedesimarci. Diverte ma non dovrebbe farlo, provoca ma non risolve la situazione, ci fa riflettere con la giusta dose di indignazione e leggerezza. Da vedere in campagna elettorale.
 
Francesca Tulli

I Magnifici 7

Martedì 20 Settembre 2016 10:31 Pubblicato in Recensioni
Oramai è più che assodato, il ritorno ai generi ha conquistato un po' tutti i maggiori nomi del cinema contemporaneo. Antoine Fuqua, da sempre cresciuto con la grande passione per il western e per le grandi pellicole di Leone e Kurasawa, torna al cinema dirigendo il classico di culto " I magnifici sette”. Il regista di Training day, rispolvera questo intramontabile film, donandogli da un lato un nuovo e accattivante aspetto,  e dall’altro restando fedele alla linea essenziale del racconto diretto da Sturges nel 1960, con Steve McQueen e Charles Bronson. La storia prende parte a Rose Creek, cittadina popolata da contadini semplici e onesti, improvvisamente presa d’assedio dal crudele magnate Bartholomew Bogue e dai suoi uomini senza scrupoli. La giovane vedova Emma Cullen, stanca di assistere alla morte della sua città, decide di chiedere aiuto e protezione a sette impavidi fuorilegge. Tra di loro vi sono cacciatori di taglie, sicari e giocatori d’azzardo, ad ognuno di essi sarà affidato il rischioso compito di difendere Rose Creek dagli uomini di Bogue. I Sette avranno solo una settimana per preparare il popolo di Rose Creek a combattere, una settimana per escogitare la resa dei conti, e per riesaminare i propri errori, le proprie vite, ciò che li ha veramente spinti a trovarsi lì. 
Il film, fuori concorso a Venezia 73 ha chiuso la Mostra in gran stile, rappresentando così il dulcis in fundo della rassegna. Perché quella di Fuqua è una reinterpretazione ineccepibile, capace di regalare momenti entusiasmanti e carichi di fervore. La passione del regista per il genere si percepisce dall'estrema cura con cui viene diretto il film, dalla valorizzazione di ogni suo elemento, partendo dalle suggestive immagini, fino al profilo di ognuno dei suoi protagonisti. Uomini contraddistinti da coraggio, umanità, e un sano spirito ironico, aspetti che li rendono ancor più vicini allo spettatore. A rendere I magnifici personaggi unici e pieni di carisma vi è un cast di tutto rispetto, con al timone un intenso Denzel Washington, fortemente voluto da Fuqua, mai eccessivo e sempre in splendida forma, affiancato da un Ethan Hawke, che si riconferma un attore camaleontico e di rara qualità, senza dimenticare il bel Chriss Pratt, vera rivelazione del film, in perfetta simbiosi con il verace Faraday e più credibile che mai come pistolero. Le riprese hanno avuto luogo nell'immensa Luoisiana a Baton Rouge, resa ancora più viva e palpitante da una fotografia dai toni caldi, diretta dall’italiano Mauro Fiore. Quattro duri mesi di riprese, in cui la troupe di Fuqua ha dovuto fare i conti con un clima decisamente non favorevole, e con tutte quelle esigenze che solo una pellicola western richiede (dall’addestramento di cavalli alle numerose scene con gli stunt), ma che alla fine dei conti ripagano in modo generoso il pesante lavoro. Il film di Fuqua è infatti complessivamente ben strutturato, e vanta il pregio di saper alternare momenti solenni a segmenti più divertenti, intrattenendo lo spettatore in modo quasi magnetico.
I Magnifici sette ammalia ed emoziona senza mai banalizzare il genere, cercando di raccontare una storia che forse qualcuno già conosce, ma che per la sua attrattiva merita di essere raccontata ancora una volta. Una meraviglia per gli amanti del genere western che non avranno mai voglia di staccare gli occhi dallo schermo.
 
Giada Farrace

Star Trek Beyond

Martedì 20 Settembre 2016 10:10 Pubblicato in Recensioni
Continuano i viaggi della Nave Stellare Enterprise. Star Trek Beyond, diretto da Justin Lin è il terzo della trilogia che viaggia sulla linea temporale alternativa iniziata nel 2009 con “Il Futuro ha inizio”. Krall (Idris Elba) il tiranno, minaccia la pacifica Federazione dei Pianeti Uniti. Egli possiede uno ‘sciame’ di navette che scatena contro ogni bersaglio a tiro; brama un manufatto antico in grado di soddisfare la sua sete di potere. Il giovane Capitano Kirk (Chris Pine) non sa ignorare una richiesta d’aiuto e risponde a quella di una nebulosa nei pressi della base di Yorktown.  Affiancato dal Signor Spock (Zachary Quinto) e dal resto del suo storico equipaggio, si imbarca in questa avventura che si rileva più pericolosa del previsto. Senza l’ingombro del paragone con la serie classica fatto già in precedenza con i primi due film diretti da J.J. Abrams, la storia presenta tutti (o quasi) gli elementi presenti guardando una puntata a caso del vasto firmamento di episodi seriali e ne conserva l’appeal. Facciamo conoscenza con una bella aliena (tutt’altro) che in pericolo Jaylah (Sofia Boutella) esploriamo il suo pianeta natale, selvaggio e ostile e l’equipaggio di eroi si trova a dover collaborare mettendosi in discussione, creando quella ‘famosa’ empatia con lo spettatore. Quello che a prima vista può sembrare un film di fantascienza caotico, già visto, con trovate prevedibili è in realtà un omaggio al classico. Visivamente eccellente, unisce la CGi al trucco tradizionale. Altro ci si aspettava dal regista di  Fast & Furious, tuttavia il rispetto per l’originale si vede anche da questo: schivato il pericolo di un film frenetico e coatto, ne esce una pellicola pulita, dove i personaggi subiscono (finalmente) una naturale crescita e fanno delle scelte importanti che condizioneranno le pellicole future. Kirk deve fare i conti con il suo “ennesimo” mesto compleanno, Spock, ricorda, in un meraviglioso omaggio a Leonard Nimoy, il suo “alter ego” e logicamente ne segue le orme. Apprezzato dai fan, che lo definiscono un vero film ‘Trek’ e ben accolto dagli spettatori occasionali in quanto storia a se stante è il tredicesimo lungometraggio della fortunata serie che quest’anno compie 50 anni dalla sua creazione. Beyond fa da ponte tra il ‘passato’ e il ‘futuro’ all’alba della  messa in onda di una nuova serie (che verrà trasmessa su Netflix) nel gennaio 2017. Lunga vita e prosperità...
 
Francesca Tulli

Frantz

Martedì 20 Settembre 2016 09:49 Pubblicato in Recensioni
In un paesino della Germania sconfitta dalla Grande Guerra, la giovane Anna (Paula Beer) giornalmente fa visita alla tomba del fidanzato perito durante il conflitto. Un giorno qualunque del 1919, la ragazza si accorge che non è la sola a recarsi sulla lapide del soldato. Qui entra in scena Adrien (Pierre Niney, Yves Saint Laurent - 2014), personaggio misterioso, che incuriosisce Anna. Quando il ragazzo, per forza di cose, entra nella vita del paese, si scopre essere di origine francese. Domande e dubbi attanagliano la comunità, che come Anna e la famiglia del promesso sposo, si chiedono il perché di questo insolito pellegrinaggio. 
 
Nasce enigmatico ed all’insegna del thriller il nuovo camaleontico lavoro del regista francese François Ozon (Potiche – La bella statuina, nel 2010 in Concorso a Venezia). Frantz, che fa parte della line-up in corsa per il Leone d’Oro a Venezia 2016, è tratto da uno spettacolo teatrale di Maurice Rostand e precedentemente adattato al cinema da Lubitsch nel 1931 con il titolo “Broken Lullaby”.
Il regista d’oltralpe gira per la prima volta in bianco e nero ed in lingua tedesca. Rimane comunque fedele al suo cinema inventivo ed illusorio, riuscendo a mixare diversi generi e tematiche. Ozon imbastisce una regia che esalta la narrazione, tenendo alta l’asticella dell’attenzione, depistandoci per poi riallinearsi. Azzecca i tempi e fa fiorire i sentimenti, stati dell’anima dubbiosi e vaghi, per certi versi inafferrabili. 
Frantz è una parabola sul perdono. Nelle sue scene, che sembrano materia viva, camminano parallelamente Anna ed Adrien, in cerca di qualcosa che metta pace nelle proprie esistenze. Gestione complicata ed estremamente riflessiva di due diversi tipi di assoluzioni. Scopi diversi nell’affrontare i propri viaggi.
Chiamiamola vittoria e sconfitta, come è nell’intento del regista francese, se si paragonano le situazioni di Germania e Francia dopo la Prima Guerra Mondiale con quella dei due protagonisti. Viaggi personali e di culture, che per i tedeschi sarà la base della costruzione di un futuro di follia e morte. Nell’iconico dipinto “Il Suicidio” di E. Manet risiede parte dell’interpretazione della pellicola. Ad un primo sguardo il soggetto maschile sembra dormire un sonno riparatore, ma sotto l’attenta lente d’ingrandimento di Anna si realizza il suo nefasto significato: la fine figurativa dell’umanità, vittima della guerra e dei suoi strascichi. 
 
Nell’eleganza senza tempo del bianco e nero, paradossalmente risiede il punto a sfavore e forse un po’ banale del film. I momenti di spensieratezza si colorano, tutto il resto: i ricordi delle battaglie, il lutto ed il pericolo non hanno colore. Una strada battuta parecchie volte, che sinceramente ha il sapore del déjà vu. 
 
In evidenza per la sua bravura Paula Beer, premio Marcello Mastroianni per la migliore attrice emergente. La sua interpretazione è malinconica ed allo stesso tempo sentita e tenace. L’artista tedesca è aiutata anche dal buon lavoro fatto da Pierre Niney, capace di incastrarsi tra le riflessioni della ragazza, nascondendo e mettendo in evidenza il mistero.
 
Franzt è un film ben raccontato. Non si urla al capolavoro, ma scorre senza noia e ci si affianca ai due protagonisti immedesimandoci ai perdenti e stando assolutamente dalla loro parte. Sensi di colpa, amore e coraggio sono un buon viatico per assistere a quest’opera, che può essere considerata un moderno romanzo storico ben realizzato.
 
David Siena