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Insatiable

Venerdì 29 Gennaio 2021 22:02 Pubblicato in Recensioni
Arrivata alla terza religiosa visione dell’intera serie TV, credo che sia doveroso spendere due parole e spezzare più di una lancia a favore del mondo tremendamente glitterato di Insatiable.
La trama. Patty Bladell (Debby Ryan), adolescente americana in sovrappeso, costantemente bersagliata a causa del suo aspetto, a seguito di una colluttazione con un senzatetto, è costretta ad una dieta liquida per tre mesi che le causerà la perdita di più di trenta chili. 
Senza questo ingombrante peso, Patty si riscopre una ragazza bellissima e determinata a vendicarsi di chiunque abbia osato farle del male. In questa percorso verso la propria rivincita, verrà accompagnata dall’avvocato Bob Armstrong (Dallas Roberts), consulente di concorsi di bellezza a tempo perso, accusato di molestie sessuali da una delle sue clienti.
Questi due personaggi, legati dal filo indissolubile del destino, divideranno equamente la narrazione delle assurde vicende in cui saranno coinvolti nella loro rocambolesca strada verso l’importante titolo del concorso di bellezza di Miss American Lady. 
“Essere magre è magico!”. Com’è facile intuire, Insatiable sfrutta il cliché, abusato nei decenni passati nei film per adolescenti, della ragazza bruttina ed insicura che mette su un po’ di trucco, aggiusta i capelli ed improvvisamente diventa la “tutti mi vogliono, tutti mi cercano” della situazione, e lo fa scegliendo un taglio eccentrico, surreale, ed al limite del grottesco, in pieno stile camp. Il camp, spesso confuso con il trash, è la ricerca consapevole dell’esasperazione di elementi kitsch, che fa dell’eccesso e dello stravagante i propri punti di forza, sia da un punto di vista stilistico che artistico.
Con un’ironia tagliente infatti, che spesso potrebbe sembrare no-sense, o addirittura di cattivo gusto, la serie cerca di mostrare tutti gli scenari tipici della società moderna, ed in particolare di un’America che punta tutto sull’estetica, esagerandoli, ridicolizzandoli e mettendo a nudo tutte le sfumature dell’insicurezza umana.
I personaggi dell’universo di Insatiable sono ciò che lo rendono così esilarante nel suo essere politicamente scorretto. Essi incarnano alcuni degli stereotipi più comuni nella filmografia indirizzata ai giovani adulti che verranno mano mano abbattuti a favore di un’evoluzione tridimensionale, simbolo di una sceneggiatura ben costruita che non lascia nulla al caso ma, per assurdo, realistica, di quelle caricature della società moderna che generalmente vengono dipinte di bianco o nero.
Le critiche. Questa popolare produzione targata Netflix, è stata in realtà criticata aspramente, portando addirittura al lancio di una raccolta firme per chiedere la cancellazione della terza stagione già prevista. 
Il motivo per il quale in molti si sono scagliati contro Insatiable risiede nel presunto uso della pratica del fat-shaming. Secondo i sostenitori di questa teoria, l’opera tenderebbe a fare l’associazione bello = buono, ma in realtà è proprio qui che Insatiable arriva ad infrangere tutte le regole, rivoluzionando il genere young adult che sapeva di stantio oramai da anni. Questa serie non è adatta ad una visione superficiale, nonostante le apparenze potrebbero lasciarcelo pensare.
A primo acchito, Patty potrebbe venir interpretata come la solita protagonista che migliorando il proprio aspetto fisico diventa anche una persona migliore, con una vita più soddisfacente, come se fossero stati i chili di troppo a renderla brutta e fallimentare.
Altre critiche sono state rivolte al modo con cui vengono trattate tematiche rischiose come la pedofilia, le droghe, gli abusi, l’accettazione di sè e della propria sessualità che verrebbero snocciolate in maniera imbarazzante ed insoddisfacente.
 
Un connubio perfetto. Riconoscendo il fatto che esistano dei gusti personali, è bene ricordare che un umorismo nero non sarà mai di facile comprensione, ma quantomeno non andrebbe giudicato con la stessa superficialità di cui lo si accusa.
A partire dall’escamotage esplicitamente ironico della rissa e dalla sempre maggiore cattiveria con cui Patty inizierà a compiere le proprie azioni sotto le sue nuove vesti di “reginetta di bellezza”, è chiaro l’intento dell’opera: scrostare la patina scintillante della narrazione tipica delle insicurezze dell’adolescenza, rivelando la torbida anima che può nascondersi dietro persone apparentemente perfette.
Per andare a confutare le critiche rivolte all’opera partiamo da Patty, il personaggio più bersagliato, che in effetti si mostra come una persona orribile. Avendo ingoiato odio e amarezza per anni, non appena ha la possibilità di riscattarsi, sfrutta il suo fascino nel peggior modo possibile, rivelandosi crudele, opportunista ed egocentrica. In realtà lo era sempre stata ed il dimagrire non ha fatto nulla per renderla migliore o peggiore, ha solo portato alla luce la sua reale natura.
Lo scopo ultimo di questa serie, come rivelato dall’ideatrice Lauren Gussis, è quello di mostrare che “ogni singolo personaggio è insaziabile per qualcosa, ognuno di loro sta cercando approvazione all’esterno e solo chi si comporta bene riesce a comprendersi realmente”.
Con un’ironia irriverente, sconveniente alle volte, la Gussis vuole presentarci il disturbo alimentare di Patty (perché a discapito di ciò che ha pensato il pubblico inferocito, la ragazza soffrirà per tutta la durata della serie di dismorfia e di BED) fondendolo con delle scene forti, che in un prodotto così rosa e luccicante non sarebbero attese, generando l’elemento ‘shock’.
Ve ne sono di numerose, ma una degna di nota è quella in cui Patty si ritroverà a dover mostrare il proprio corpo in costume e, nonostante possa sembrare una ragazza perfetta, lei continuerà a sentirsi sbagliata e inadatta, contemplandosi con sdegno allo specchio, finché non verrà avvicinata da una ragazza transessuale, con la quale condividerà il disagio di sentirsi in un corpo che non corrisponde al proprio sentire.
Perché guardarla. Molte persone hanno abbandonato la visione non capendo il reale messaggio che Insatiable ha tentato di comunicare con la sua sfacciataggine, paradossalmente riuscendo molto meglio di prodotti considerati “più seri”. 
Consiglio caldamente di cambiare punto di vista e di dare un’altra possibilità a quella che ha i numeri per essere la migliore serie TV rivolta ad adolescenti degli ultimi anni.
In conclusione. Insatiable è un prodotto innovativo, che riesce nell’obiettivo di mostrarci quanto i falsi moralismi a volte siano tanto deleteri quanto le azioni che vengono criticate. Tra i suoi meriti c’è sicuramente la capacità di aver sottolineato come lo scardinamento di storici tabù, attraverso il black humor, sia ancora un argomento delicato nella nostra società.
 
 
Valeria Marra 

L’uomo della scatola magica su Amazon Prime Video

Venerdì 29 Gennaio 2021 21:33 Pubblicato in News
È disponibile su Amazon Prime Video L’uomo della scatola magica di Bodo Kox, storia d’amore al di là dei confini del tempo che affronta le tematiche dell’autoritarismo e dell’oppressione immergendole in un futuro distopico, ma rispecchiando in maniera sorprendente l’attualità relativa a Donald Trump.
 
Varsavia, 2030. Sotto un regime autoritario e opprimente, Adam ha perso la memoria e cerca di reinserirsi nella società. Trova un appartamento in un vecchio edificio e un lavoro come addetto alle pulizie. Si innamora di Goria, un’affascinante impiegata dell’Ufficio Risorse Umane, che però non lo prende troppo sul serio. Un giorno nel suo appartamento Adam rinviene una radio risalente agli anni Cinquanta. In una realtà dove la musica è drasticamente vietata dalle autorità, l'apparecchio, oltre a trasmettere canzoni di un tempo lontano, nasconde inquietanti segreti legati ad un esperimento sui viaggi temporali. Quando Adam scompare misteriosamente sarà Goria ad andare alla ricerca della verità che la porterà in luoghi inaspettati.
 
 
Vincitore del Trieste Science+Fiction Festival nella categoria relativa al miglior film internazionale e premiato a Cannes per la sceneggiatura prima ancora che venisse prodotto, L’uomo della scatola magica ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Tra questi, due candidature alle Aquile (Orly) – equivalente polacco dei nostri David Di Donatello – per la migliore scenografia e la colonna sonora. Quest’ultima, inoltre, a firma del compositore italiano Sandro Di Stefano, è stata premiata presso il Polish Film Festival.
 
Appassionante mix di Orwell 1984 e Ai confini della realtà, L’uomo della scatola magica è scritto dallo stesso Kox, prodotto da Alter Ego Pictures (POL) e VARGO Film (ITA) e interpretato da Piotr Polak, Olga Boladz e Sebastian Stankiewicz.
 
Distribuito in Italia da 30 Holding, a partire dal 19 Febbraio 2021 sarà anche disponibile su supporto dvd a cura di DNA.
 

I love...Marco Ferreri on demand

Martedì 26 Gennaio 2021 15:48 Pubblicato in News
È disponibile on demand, su piattaforma CG Digital (www.cgentertainment.it), I love... Marco Ferreri, diretto da Pierfrancesco Campanella. L’omaggio di un cineasta “fuori dal coro” al regista irriverente e controcorrente per eccellenza, realizzato in occasione del ventennale dalla sua scomparsa.
 
“Incazzarsi è un modo di divertirsi senza ridere!”, amava ripetere Marco Ferreri. Un po’ come quei libri riposti nello scaffale più alto e là dimenticati per anni, finché un giorno ti ricapitano in mano e riscopri quanto li hai amati… ma se Ferreri fosse stato un libro, invece che scivolare con eleganza fuori dallo scaffale, avrebbe preferito cadervi dritto in testa, e di spigolo, pur di “colpire” la vostra attenzione. Potete scommetterci!
 
 
Marco Ferreri è stato uno dei grandi maestri del cinema italiano: dissacrante e anticonformista, sempre in bilico tra l’ironico e il grottesco più estremo, ha diretto dei film originali e graffianti, che hanno fatto storia, conseguendo spesso grossi incassi al botteghino. Eppure, a distanza di anni dalla sua prematura scomparsa, è stato quasi dimenticato dall’immaginario collettivo. Una vera e propria “uccisione”, neanche tanto metaforica. Un misterioso detective, che si muove come un personaggio d’altri tempi, compie una inchiesta personale su questo ipotetico “delitto”. Attraverso l’analisi di alcune delle sue opere maggiormente significative, interviste ad esperti e studiosi della Settima arte, testimonianze di chi lo ha conosciuto e immagini di repertorio, il bizzarro investigatore arriva ad individuare il “colpevole”: quella società dei consumi che il regista ha sempre stigmatizzato, fin da tempi non “sospetti”. Una società ulteriormente peggiorata dall’avvento della televisione commerciale con annessi reality show, dall’uso sconsiderato dei social network e conseguente imbarbarimento dei rapporti umani, dall’omologazione culturale e dall’appiattimento impostoci dalla globalizzazione. La peculiarità di Ferreri consiste proprio nell’aver precorso i tempi: il suo essere geniale è, quindi, nella preveggenza di un futuro pieno di alienazione e di frustrazione.
 
I love… Marco Ferreri vuole essere in definitiva una indagine postuma, tra reale e surreale, sui mutamenti sociali degli ultimi anni, attraverso l’occhio di un artista fuori dal coro. Ci si potrebbe chiedere se la cultura sia davvero finita e con essa lo spirito critico. La risposta, nonostante tutto, è negativa. Certe “esigenze” non moriranno mai, almeno finchè ci saranno cervelli pensanti e libertà di esporre le proprie idee. E il cinema può ancora essere un ottimo veicolo di divulgazione del bello, dell’arte e delle emozioni più profonde e sensibili dell’animo umano. 
 
Prodotto e distribuito dalla Cinedea srl, I love… Marco Ferreri si avvale, oltre che della consulenza artistica di Laura Camia, dei prestigiosi interventi degli attori Michele Placido e Piera Degli Esposti, dello scrittore e regista Emanuele Pecoraro, dell’operatore culturale Franco Mariotti, del critico Orio Caldiron, del docente universitario Fabio Melelli, del pittore Mario D’Imperio. 
 
Per la parte fiction sono impegnati Fabrizio Rampelli (che impersona il detective), Lorenzo De Luca (peraltro co-autore dello script insieme allo stesso Campanella), e, inoltre, Maria Rita Hottò, Marco Werba, Andrea Falcioni, Matteo Campanella, Chiara Campanella, con la voce narrante del bravissimo Ermanno Ribaudo.
 

Pieces of a woman

Giovedì 21 Gennaio 2021 23:11 Pubblicato in Recensioni
Pieces of a Woman, presentato a Venezia lo scorso settembre, acclamato dalla critica, è entrato a far parte del catalogo Netflix dal 7 gennaio. Al suo primo lungometraggio in lingua inglese, Mundruczò dirige un’opera molto intima e straziante, dall’epidermide ruvida, capace di destare nello spettatore sin da subito un atteggiamento di forte empatia. Il film inizia con il parto della protagonista Marta, che decide di affrontare questo delicato momento all’interno delle mura domestiche in presenza del marito Joel e di una ginecologa raccomandata dalla propria, impegnata in un’altra emergenza. 
Purtroppo gli eventi non vanno come previsto e la bimba perde la vita pochi istanti dopo essere venuta al mondo. E’ il punto di rottura di un equilibrio, la cristallizzazione indelebile di un momento traumatico, che rappresenta per la protagonista il principio di un lungo e doloroso calvario spirituale e fisico. Se la famiglia di Marta canalizza la propria rabbia nella persecuzione legale della ginecologa, ritenuta la principale responsabile della tragedia, la donna invece si chiude in un dolore gelido che non riesce ad esplodere, ma che confluisce all’interno,  alimentando giorno dopo giorno un tremendo vuoto interiore. Il concetto di frantumazione, di rottura, è un leitmotiv che accompagna tutta la durata del film, suggerito dal titolo stesso assolutamente autoreferenziale. Mundruczò, ispirandosi ad una vicenda vissuta personalmente (la storia si riferisce a sua moglie, qui in veste di sceneggiatrice), ricostruisce attraverso le immagini un quadro estremamente asciutto e sincero, caratterizzato da un realismo portato alla massima espressione. Del film infatti si apprezza soprattutto la spontaneità e il desiderio di limpidezza nel narrare un evento traumatico attraverso passaggi spigolosi, scanditi dal trascorrere inesorabile dei mesi. Tuttavia c’è qualcosa che lascia interdetti, un elemento di frammentarietà che si percepisce dalle prime sequenze e che trova una sua concretizzazione nel finale. Un aspetto che potrebbe anche trovare giustificazione negli intenti principali del regista e nel significato intrinseco del film, ma che non giova nel modo più assoluto alla fluidità della trama. C’è troppa esasperazione nel realismo di Mundruczò, un eccesso che non è capace di reggere l’impianto del lavoro. La stessa scena inziale del parto, è sicuramente un ottimo lavoro a livello di compenetrazione emozionale e impeccabilità interpretativa, ma affatica per l’estrema lunghezza del segmento finendo col rendere distante lo spettatore. Mundruczò è talmente attento al realismo che arriva quasi a trascurare lo scheletro della storia (di per sè già molto essenziale), affidandosi nel finale al potere evocativo delle immagini, con un’ultima sequenza un po' troppo masticata ed approssimativa.
Nonostante ciò, una menzione speciale va a una Vanessa Kirby molto intensa, che  regala una performance largamente al di sopra delle aspettative, donando grande profondità a molti momenti praticamente al limite dell’essenzialità narrativa. 
 
Giada Farrace