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28esima Settimana della Critica

Venerdì 26 Luglio 2013 14:28 Pubblicato in News
28. Settimana Internazionale della Critica
28 agosto – 7 settembre 2013
 
La composizione di una selezione di film può assomigliare miracolosamente a una specie di magica costellazione: se guardiamo con immaginazione al cielo stellato della 28. Settimana Internazionale della Critica si riesce ad individuare un disegno che unisce i nove film presentati quest’anno. Titoli che sembrano rincorrersi attraverso delle linee di percorso, siano esse di carattere geografico, tematico, concettuale o di somiglianza fra i caratteri dei personaggi.
 
Non si tratta tanto di individuare a tutti costi una costante nelle storie o negli sforzi stilistici e produttivi di registi esordienti o di anime coraggiose che credono in loro: la scelta dei sette film in concorso che si contenderanno il “Premio del pubblico RaroVideo” e dei due eventi speciali d’apertura e chiusura, è stata ancora una volta ispirata dalla missione di trovare energie espressive fresche e originali nel panorama cinematografico internazionale. La scommessa è quella di aver allestito anche quest’anno un programma in grado di suscitare interesse e piacere, portando alla giusta attenzione piccoli film e giovani autori bisognosi di una visibilità che solo una sezione di opere prime inserita in grande festival può garantir loro.
Il primo punto di questa costellazione può a buon diritto essere il film italiano scelto per il concorso: Zoran, il mio nipote scemo, opera d’esordio di Matteo Oleotto, è una commedia delicata e intelligente, in grado cioè di suggerire dietro la maschera del “genere” un discorso non banale sui confini e le derive esistenziali, attraverso un continuo travalicamento di quei confini anche territoriali (il film è girato e prodotto tra il Friuli e la Slovenia). Paolo, interpretato da un superbo Giuseppe Battiston qui in un grande ruolo da protagonista, è un uomo incapace di affetti e progetti a lungo termine, che sposa la cultura del vino alla sua insensibilità nei confronti di amici e conoscenti. Ma si imbatte in un’eredità imprevista, un nipote candido e quasi autistico, Zoran appunto, di cui vorrebbe subito liberarsi. Per poi scoprire che questo giovane è dotato di un dono da sfruttare: è un superlativo campione di freccette. Il rapporto tra i due si consoliderà in un travaso di esperienze pratiche di vita da un lato, e di sensibilità e generosità dall’altro.
La linea che unisce questo film a Razredni sovražnik (Nemico di classe) di Rok Biček è il territorio, la Slovenia appunto: in una classe di un liceo arriva un insegnante autoritario, che sconvolge la routine degli studenti innescando tensioni e conflitti. Quando una delle studentesse commetterà un suicidio, l’insegnante verrà accusato dagli studenti di aver provocato la sua morte; ma di chi sono veramente le responsabilità e di chi invece i meriti per aver tentato di capire un mondo giovanile così contraddittorio? Il film, drammaticamente molto intenso, tocca temi sensibili come l’educazione e la crescita in un contesto complesso come quello scolastico.
Le stesse dinamiche fra compagni di scuola le ritroviamo nel sorprendente Återträffen (La riunione)dell’artista/performer svedese Anna Odell. Diviso in due parti, il film mette in scena nella prima una tipica riunione di ex compagni di scuola, una “festen” che diventa uno psicodramma quando ad entrare in scena è proprio Anna Odell, nel ruolo principale, che accusa i vecchi compagni di averle rovinato l’adolescenza riservandole un trattamento di sevizie ed emarginazione. Nella seconda parte la stessa regista mette in scena, come un documentario, il suo tentativo di far vedere il film che ha realizzato ai suoi veri compagni di classe. Ma qual è la realtà e cos’è la finzione in questo affascinante e appassionante esperimento concettuale?
E i confini tra verità e finzione costituiscono anche il motivo centrale di un film sorpresa che verrà annunciato successivamente.
Scollamento dalla realtà e incapacità di affrontare i cambiamenti per le tre protagoniste del superbo film cileno prodotto dai fratelli Larraín, Las niñas Quispe (Le ragazze Quispe) di Sebastián Sepúlveda: isolate su un arido altopiano, tre sorelle allevano capre e producono formaggio, ripiegate ossessivamente nel ripetersi dei loro gesti quotidiani e impermeabili agli echi provenienti da un mondo lontano ma reale. La messa in discussione della loro condizione di vita provocherà un gesto estremo. Un film rigoroso ma sapiente, un titolo che costituirà una sicura sorpresa alla Mostra di quest’anno.
Da un film dove il territorio si fa personaggio ad un altro in cui il senso di un luogo viaggia in simbiosi con uno stile visionario e coraggioso: White Shadow (Ombra bianca) di Noaz Deshe - un regista apolide, nato a Jaffa ma che vive tra la Germania e gli Stati Uniti – racconta, sotto forma di una finzione mescolata ad un lavoro quasi documentaristico con attori non professionisti, la crudelissima piaga della persecuzione nei confronti degli albini nei territori africani. Siamo in Tanzania, Alias è un ragazzo albino che dopo aver assistito all’omicidio del padre e alla profanazione del suo corpo, cerca di sfuggire al proprio destino cercando di trovare il suo posto nel mondo. Il film è un coinvolgente viaggio a fianco dei suoi protagonisti, un lungo lavoro che il regista ha compiuto avvalendosi di una co-produzione italo-tedesca ma anche dell’appoggio di un attore sensibile come Ryan Gosling, che funge da produttore esecutivo.
 

L'intolleranza, anche se di carattere diverso, è la linea che ci avvicina al nostro ultimo film in concorso,L’Armée du salut (L’esercito della salvezza), opera prima dello scrittore marocchino Abdellah Taïa. Il film, emozionante e raffinato, è tratto dall’omonimo libro dello stesso Taïa, e racconta la vita dello scrittore-regista, da quando 
ragazzino in Marocco prendeva consapevolezza della sua omosessualità in un contesto familiare e sociale difficile caratterizzato dal trionfo dei valori tradizionali, fino alla sua fuga in Europa grazie ad una borsa di studio in Svizzera che cambierà profondamente le sue prospettive.
La letteratura, il linguaggio, il valore dell’arte nelle sue forme più varie, sono le linee che uniscono i film in concorso con i due eventi speciali di quest’anno. L’arte della felicità di Alessandro Rak, che apre fuori concorso la Settimana, è un film d’animazione realizzato a Napoli da un gruppo di lavoro composto da giovani disegnatori, fumettisti, musicisti e da un produttore-sceneggiatore illuminato. Una storia che mescola spiritualità, buddismo e ricerca interiore con il vagabondaggio, in una Napoli piovosa e invasa dall’immondizia, di un tassista ex musicista deluso che cerca la sua anima fra i ricordi e le presenze fantasmatiche del suo passato.
Il valore della parola e l’importanza della cultura li ritroviamo nel commovente film di chiusura, diretto da un altro regista cileno: Las analfabetas (Le analfabete), di Moisés Sepúlveda, tratto da un lavoro teatrale interpretato dalle stesse attrici protagoniste del film (tra le quali la magnifica Paulina García di Gloria, fresco Orso d’oro a Berlino), racconta l’incontro tra due donne d’età diverse, diversamente analfabete: la giovane Jackeline, analfabeta nei sentimenti, prenderà a cuore il reale analfabetismo della solitaria e testarda Ximena, insegnandole a leggere e a scrivere, ma anche a guardare finalmente al suo passato e ad aprirsi al futuro.
 
 
I sette film in concorso:
 
L’Armée du salut (Salvation Army/L’esercito della salvezza)
di Abdellah Taïa
Francia-Marocco, 2013 – World Premiere
 
Återträffen (The Reunion/La riunione)
di Anna Odell
Svezia, 2013 – World Premiere
 
Las niñas Quispe (The Quispe Girls/Le ragazze Quispe)
di Sebastián Sepúlveda
Cile-Francia-Argentina, 2013 – World Premiere
 
Razredni sovražnik (Class Enemy/Nemico di classe)
di Rok Biček
Slovenia, 2013 – World Premiere
 
White Shadow (Ombra bianca)
di Noaz Deshe
Italia-Germania-Tanzania, 2013 – World Premiere
 
Zoran, il mio nipote scemo (Zoran, My Nephew the Idiot)
di Matteo Oleotto
Italia-Slovenia, 2013 – World Premiere
 
Film sorpresa
 
Film di apertura – Evento Speciale Fuori Concorso
L’arte della felicità (The Art of Happiness)
di Alessandro Rak
Italia, 2013 - World Premiere
 
Film di chiusura – Evento Speciale Fuori Concorso
Las analfabetas (Illiterate/Le analfabete)
di Moisés Sepúlveda
Cile, 2013 - International Premiere
 

The Parade - La Sfilata

Venerdì 26 Luglio 2013 14:17 Pubblicato in Recensioni
"La struttura del mio film è simile a quella della commedia all’italiana, all’inizio lo spettatore si rilassa per poi avere una presa di coscienza nel finale." 
Srđan Dragojević, regista e sceneggiatore serbo con una lunga traiettoria nella cinematografia nazionale e non solo, riassume efficacemente la struttura e l’anima di questa “tragicommedia sociale”.
Una sintesi iniziale che ricompone gli elementi principali dello scacchiere “geopolitico” balcanico in riferimento ai conflitti etnici che dividono serbi, croati, bosniaci e albanesi. Poi un tuffo, arricchito di umorismo non scontato, in un intreccio paradossale. Ed infine l’amara presa di coscienza della realtà serba in fatto di discriminazioni e omofobia. Di fatto il tema dell’omofobia finisce per fondersi e confondersi con quello etnico, convogliando un senso etico di rispetto e convivenza nella diversità che resta il letimotiv di tutto il film.
Volutamente schematico in una fase iniziale che utilizza tutti gli stereotipi in voga per disegnare il quadro etnico balcanico e l’immaginario omosessuale (non mancano tutti i luoghi comuni sulle “checche isteriche”), il film si apre poi ad una maggiore complessità in cui sono gli stessi personaggi a rendere conto della varietà umana attraverso i cambiamenti a cui le loro convinzioni vanno incontro. Se Radmilo e Mirko, coppia gay quotidianamente vittima di attacchi omofobi, si apriranno alla conoscenza del “nemico”, Limun, veterano di guerra, machista e omofobo, vedrà lentamente sgretolarsi i suoi pregiudizi nei confronti della coppia (e, per estensione, delle persone LGBTQ) fino a mettere a disposizione il suo corpo, e quello dei suoi amici, per difendere e scortare il primo Gay Pride a Belgrado.  Il paradossale sdoganamento dai proprio pregiudizi è reso possibile da una donna, Biserka, tanto volgare e sguaiata quanto forte nelle sue convinzioni, la quale fa da anello di congiunzione fra Limun, suo futuro sposo, e la coppia gay che si occuperà dell’organizzazione del suo matrimonio in grande stile. Un nodo banale all’interno dell’intreccio rende possibile l’avvicinamento, non senza già ripresi clichés, fra soggetti da sempre lontani e ostili l’uno all’altro  attraverso una scorribanda per i paesi dell’ex Jugoslavia che ha come epicentro Belgrado. Lo scorrere delle azioni e delle scene conduce verso il momento catartico dello scontro fra i manifestanti del Gay pride e i gruppi neonazisti (scortati dalle forze dell’ordine, ça va sans dire), uno scontro impari che mieterà le sue vittime ma che permetterà alla comunità LGBTQ di continuare a lottare per ribadire il proprio diritto ad esistere ed essere rispettata.
Il ritmo è sempre veloce e sostenuto, affastellato da momenti comici ben calibrati e pause in cui emerge una maggiore drammaticità. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Dragojević, poggia su di una struttura che sa contenere la leggerezza di elementi di fiction innestati in una realtà sociale difficile, per restituire allo spettatore la possibilità di riflettere, sorridendo, sul grande tema del rispetto umano. “Se avessi fatto un dramma realistico con scene aggressive e violente sarebbe stato un prodotto adatto ai festival, ma senza impatto per la maggior parte del pubblico. Ho pensato che fosse meglio descrivere personaggi medi, che siamo abituati a vedere per le strade. Quindi non ho cercato solo di intrattenere ma di creare uno strumento politico per cambiare l’idea comune della gente.”
Premio del pubblico al festival di Berlino, anche premiato al festival LGBT di Torino e al Medfilm festival di Roma, il lungometraggio di Dragojević vuole pertanto porsi come atto militante e politico che lavori coscientemente, dentro e fuori i confini balcanici, per scalfire le maglie pericolose dell’omofobia e dell’odio etnico, senza appiattirsi in un discorso documentaristico adottato ad uso e consumo della comunità LGBTQ. Un piccolo tassello di un movimento più grande che, con difficoltà e molta caparbietà (soprattutto a causa degli oppositori più temibili: Chiesa ortodossa e media)  getta le basi per un costante e progressiva apertura della convivenza nelle differenze (etniche, sessuali etc). Se nel 2001 un tentativo di organizzare il Gay Pride si trasformò in un bagno di sangue, nel 2012 il ministro degli Interni croato ha chiesto ai veterani di proteggere i manifestanti durante la parata, che è trascorsa senza incidenti. Tanto lavoro resta ancora da fare…
 
Elisa Fiorucci

Fedele alla linea

Venerdì 26 Luglio 2013 14:07 Pubblicato in Recensioni

Giovanni Lindo Ferretti mi risulta simpatico dalla prima volta che lo vidi. Eravamo a metà anni 80 e così mi apparve in tv: cresta punk e canto sgraziato, ondeggiante tra i volteggi di Annarella e i deliri di Fatur. Una bomba. Da allora ne ho seguito il percorso artistico e umano: la fine dei CCCP, il grosso successo di pubblico e critica coi CSI, la “misteriosa” e insanabile separazione da Massimo Zamboni (l’amico, il collega, il socio, il complice di una vita), il nuovo percorso musicale e umano coi PGR, la svolta mistico religiosa e il suo esilio montanaro. Poi devo confessare di averlo perso di vista. Adesso me lo ritrovo davanti in questo documentario a firma Germano Maccioni, che cerca di delinearne un ritratto sia umano che artistico, “per restituire la complessità di un personaggio che ancora oggi scatena sentimenti e opinioni contrastanti”, come egli stesso sostiene. Il lavoro è assolutamente impeccabile dal punto di vista tecnico: splendida fotografia (le scene montane restituiscono dei colori davvero unici), un buon lavoro di archivio (alcune chicche video faranno felici i fans della prima ora), bellissime inquadrature (soprattutto nella parte finale dedicata ai cavalli). Alcuni momenti sono davvero gustosi: l’incredibile aneddoto del piccolo Ferretti allo Zecchino D’Oro, il sorriso col quale il protagonista affronta l’argomento riguardante la sua salute, i video di alcune straordinarie esibizioni dei CCCP, fantastici stralci del viaggio in Mongolia, l’amore che traspare quando si parla dei suoi purosangue. Però a questa ottima estetica di fondo non mi pare corrisponda un'analisi che vada davvero a scavare nel profondo dell’artista, o perlomeno, tenti di coglierne qualche sfumatura ancora inesplorata. Non vengono affrontati alcuni nodi cruciali del suo percorso artistico: perché i CCCP si sciolsero? Quali le cause del suo straziante “divorzio” da Zamboni? Ferretti pare voler evitare alcuni discorsi: si parla molto della sua infanzia e dei CCCP, ma si affrontano con molta fretta i CSI, si trascurano quasi totalmente i PGR, per poi dare molto spazio alla nuova formazione musicale del cantante. Insomma a una splendida “forma” non corrisponde una altrettanta corposa “sostanza”; a una estetica impeccabile non segue il necessario e annunciato pathos. Sulla tanto discussa svolta religiosa di Ferretti è forse il caso di fare la necessaria chiarezza: osservandone sia il percorso umano che il percorso artistico, la componente mistica è stata sempre fortemente presente. Addirittura in tempi non sospetti, il terzo disco dei CCCP (band che faceva fortemente leva sul punk, sull’oltraggio e sulla provocazione) proponeva preghiere a Maria e lettere al Papa. La tanto chiacchierata “conversione” è semplicemente un punto di arrivo di un viaggio che se esteticamente è potuto apparire anticonformista, è stato invece sempre perennemente ancorato ai sani valori che il piccolo Giovanni Lindo aveva imparato da bambino: cattolicesimo e comunismo. In questa ottica, è fondamentale il racconto della riconciliazione con la madre, forse la prima persona ad aver compreso questo fatto, e ad aver visto negli occhi di un punk una fortissima fiamma di spiritualità, decisamente rivolta verso una cristianità intransigente. E se Ferretti è definibile controcorrente, non è per i suoi trascorsi furiosamente punkettoni (in fondo cavalcava la moda del periodo), ma appunto per questa sua scelta di esilio montanaro, tra natura e preghiera. Ma proprio quando finalmente il film pare voler affrontare questi discorsi più “ardui” (vedi l’imbarazzante scena in cui Ferretti cerca di spiegare il suo concetto di Dio, chiaramente non riuscendovi), la macchina filmica frena bruscamente e appaiono in scena i tanto attesi destrieri. Da qui in poi è tutto uno spot al nuovo progetto dell’artista: la messa in scena di un teatro “barbarico” di uomini, cavalli, e montagne. Alla fine Ferretti risulta essere davvero molto simile ai suoi adorati animali: esseri dallo sguardo all’apparenza incredibilmente profondo ma incapaci di lasciar trasparire davvero le più intime emozioni.

Caina Mondo Zine

NON E' MAI TROPPO CORTO

Sabato 01 Giugno 2013 15:43 Pubblicato in Concorsi
Scadenza Bando: 30/9/2013
 
Sono aperte le iscrizioni a "Non è mai troppo corto", Festival dei corti underground, quarta edizione, organizzato dal Comune di
Gravina di Catania e dall'associazione culturale "Gravina Arte" e che si svolgerà a Gravina di Catania dall’11 al 13 ottobre 2013.
Anche quest’anno il miglior film riceverà un premio di 500 euro.
Novità 2013 è il contest “Oggi faccio un film” con il quale si invitano filmmaker e troupe a realizzare un cortometraggio in 58
ore rigorosamente girato a Gravina di Catania. Tutte le opere verranno proiettate la serata conclusiva di “Non è mai troppo
corto”, Festival dei corti underground, e la migliore riceverà un premio in denaro. Starting line 14 settembre 2013 ore 9,
deadline 16 settembre ore 19.
Il bando e la scheda d'iscrizione di “Non è mai troppo corto”, Festival dei corti underground, e il regolamento di “Oggi faccio un
film” sono reperibili sul sito www.comune.gravina-di-catania.ct.it.
Possono essere inoltre richiesti al profilo facebook del festival http://www.facebook.com/nonemaitroppo.corto