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One More Time With Feeling

Venerdì 23 Settembre 2016 11:14 Pubblicato in Recensioni
Il 9 settembre è uscito Skeleton Tree, ultimo album di Nick Cave & The Bad Seeds. A distanza di tre anni da Push the sky away, l'artista realizza un disco che ha tutte le carte in regola per suggestionare e imprimersi nella memoria di chi lo ascolta. Otto tracce danno forma ad un’opera visionaria, oscura, che contiene pezzi tanto potenti quanto spettrali come I need you o Jesus Alone, canzoni intense e cupe come la voce baritonale di Cave. Skeleton Tree è un lavoro profondo e intimo, capace di rispecchiare il riflesso interiore di un’artista scosso e afflitto dalla tragica morte del figlio, da poco scomparso a soli 16 anni. Questo luttuoso evento è presente in ogni suo pezzo sottoforma di una maggiore coscienza del finito, dei limiti dell'essere umano, ma anche di una penetrante riflessione sulla vita e su come essa arrivi a scuotere con i propri eventi la nostra vacillante condizione di stabilità. Il regista Andrew Dominik, persona molto vicina allo stesso Cave e con la quale l'artista ha già collaborato in svariate occasioni (tra cui il film L’assassionio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford- 2007), dirige un documentario che rivela l’impronta dell’abum, mostrando cosa si cela dietro Skeleton Tree . L'idea originale prevedeva solamente una breve introduzione al nuovo lavoro di Cave, di cui Dominik avrebbe curato la regia. Ma in seguito l'esplorazione di un territorio complesso e affascinante come quello dei testi di Skeleton Tree, ha portato il regista ad abbandonare l'idea di un video di presentazione, scegliendo così di realizzare un vero e proprio lungometraggio. Il risultato è un documentario in bianco e nero dall'impronta fotografica, dove lo spettatore è immerso in uno stato di suggestiva impressione sensoriale. Le parole di Cave scorrono come un fiume impervio fino a raggiungere l'anima di chi le ascolta e decide di esser trascinato dalla loro corrente. Perché sappiamo bene che la sua opera non è mai stata alla portata di tutti, ma solo di chi avesse saputo ascoltare scavando la superficie. Il lutto si percepisce in ogni angolo dell'album, nell'atmosfera che permea il documentario, un'atmosfera priva di sfumature, dove regnano buio e mestizia, come nelle immagini che scorrono sullo schermo. Il film di Dominik è come un requiem che scava nella parte oscura di Cave, qualcosa che va ben oltre il puro cinema. Un atto di confessione dove Cave come ogni essere umano, come ogni padre di fronte alla morte del figlio, non può far altro che continuare a vivere, andare avanti. Un film che destabilizza per l’esclusiva profondità e per l'intensa commozione che accompagna ogni singolo istante. One more time with feeling è la struggente e prodigiosa fusione di musica, immagini e parole, in grado di generare un nuovo tessuto, una nuova sostanza che incanta, e lascia senza respiro. Presentato in anteprima alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, il film uscirà nelle sale il 27 e il 28 settembre, due appuntamenti da non perdere per poter godere di questa magnifica opera d’arte. 
 
Giada Farrace

Bridget Jones's Baby

Martedì 20 Settembre 2016 11:20 Pubblicato in Recensioni
Bridget Jones è tornata, e (non) è pronta a diventare mamma. Al compimento del suo quarantaduesimo compleanno, la single in carriera più sfortunata d’Inghilterra, messa sotto pressione dalla madre e vessata dai consigli “troppo moderni” delle amiche si ritrova  nell’imbarazzante situazione di essere incinta senza sapere chi sarà il padre del nascituro. Jack Qwant (Patrick Dempsey) il matematico dell’amore, l’americano di “una sola notte” e Mark Darcy (Colin Firth) suo ex ‘Mr. Right’ compagno di una vita lasciato da lei stessa anni prima, sono due potenziali padri e mariti perfetti. Chi dei due conquisterà il cuore della maldestra protagonista è un dilemma che ha consumato migliaia di donne appassionate della serie, diversi gossip hanno accompagnato la vicenda per mesi, come si trattasse di una storia vera. Uno vorrebbe che Hugh Grant co-star per eccellenza di Renée Zellweger negli altri due film, scontento per la sceneggiatura abbia abbandonato la nave prima che salpasse, altri sparsero la notizia, confermata da prove fotografiche che la regista Sharon Maguire, abbia girato tre  finali diversi per lasciare spazio alle speculazioni. Nonostante i dubbi “presunti” del divo Grant, il film regge su una base solida di leggerezza, british humor e autoironia. Helen Fielding la “vera” madre di Bridget, autrice del “Diario” che l’ha resa celebre consacrandola come autrice del genere letterario chick lit (letteratura per ragazze) produttrice e co-sceneggiatrice dell’intera trilogia, per la prima volta ha messo in scena una storia nuova che non compare nei suoi romanzi, alimentando la suspance dichiarando fin da principio che non avrebbe avuto a che fare con il già conosciuto terzo libro firmato da lei ‘Bridget Jones, che amore di ragazzo’  . Il film ha avuto una gestazione lunghissima: sarebbe dovuto uscire nel 2010 ma ci sono voluti altri sei anni per  portarlo a compimento. Esilarante, se si si ha bisogno di frivolezza, con un tenero finale a sorpresa. 
 
Francesca Tulli

Trafficanti

Mercoledì 14 Settembre 2016 10:54 Pubblicato in Recensioni
Anche prima che Donald Trump spingesse i cittadini Americani ad armarsi, gli Stati Uniti sono sempre stati i signori della guerra. L'economia del paese poggia sulle costose transazioni che occorrono per equipaggiare anche un solo singolo soldato. Ispirato ai fatti realmente accaduti raccontati nell’articolo scritto dal giornalista Guy Lawson sulla rivista ‘Rolling Stone’ e successivamente riportati nel libro ‘Arms and the Dudes’ il regista Todd Phillips sceglie di scrivere un film coraggioso e per certi versi controverso. Lo sfigato David Packouz (Miles Teller), dopo aver subito una serie di licenziamenti, lavora come 'massaggiatore' presso un resort per vecchi ricconi. Ha una figlia in arrivo e una ragazza carina, ma i soldi non gli bastano. Al contrario, il suo compagno di scuola Efraim Diveroli (Jonah Hill) ha trovato un modo legale e facile di fare i soldi. rivedere le armi comprate all'asta all'esercito Americano. Non potendo resistere davanti alla prospettiva di guadagnare miliardi all'ombra del suo migliore amico, l’eroe che lo difendeva dai bulletti in gioventù, David decide di accettare la sua offerta di fondare insieme una società ed entra nel business del malaffare. Inizialmente controllato e regolare, improvvisamente dopo una serie di sfiorati fallimenti e bugie si ritrova in mezzo al deserto dell'Iraq con il suo socio, con i terroristi alle costole. Questo è solo l'inizio del gioco! Perché di un gioco si tratta. I protagonisti sono così imbranati da risultare simpatici, come non era il Di Caprio affarista di ‘The Wolf of Wall Street’ che ha molto da spartire con questo film che inconsapevolmente ne è una cupa parodia. Storciamo il naso a sentire un arabo urlare 'Allahu Akbar' da un camion di contrabbando, non sorridiamo al conoscere il finale di questa epopea perché i fatti della cronaca ci fanno infuriare. Eppure sotto l'intrattenimento, in stile ‘Una notte da leoni’ c'è un amara verità, una forte critica alla normale amministrazione USA. Per molti versi la limitazione del film è proprio questa, non esce dai confini americani e fa la morale allo Zio Sam, ma ci rende voyer di un goliardico circo di luoghi comuni sul fare soldi facili in cui possiamo comunque immedesimarci. Diverte ma non dovrebbe farlo, provoca ma non risolve la situazione, ci fa riflettere con la giusta dose di indignazione e leggerezza. Da vedere in campagna elettorale.
 
Francesca Tulli

I Magnifici 7

Martedì 20 Settembre 2016 10:31 Pubblicato in Recensioni
Oramai è più che assodato, il ritorno ai generi ha conquistato un po' tutti i maggiori nomi del cinema contemporaneo. Antoine Fuqua, da sempre cresciuto con la grande passione per il western e per le grandi pellicole di Leone e Kurasawa, torna al cinema dirigendo il classico di culto " I magnifici sette”. Il regista di Training day, rispolvera questo intramontabile film, donandogli da un lato un nuovo e accattivante aspetto,  e dall’altro restando fedele alla linea essenziale del racconto diretto da Sturges nel 1960, con Steve McQueen e Charles Bronson. La storia prende parte a Rose Creek, cittadina popolata da contadini semplici e onesti, improvvisamente presa d’assedio dal crudele magnate Bartholomew Bogue e dai suoi uomini senza scrupoli. La giovane vedova Emma Cullen, stanca di assistere alla morte della sua città, decide di chiedere aiuto e protezione a sette impavidi fuorilegge. Tra di loro vi sono cacciatori di taglie, sicari e giocatori d’azzardo, ad ognuno di essi sarà affidato il rischioso compito di difendere Rose Creek dagli uomini di Bogue. I Sette avranno solo una settimana per preparare il popolo di Rose Creek a combattere, una settimana per escogitare la resa dei conti, e per riesaminare i propri errori, le proprie vite, ciò che li ha veramente spinti a trovarsi lì. 
Il film, fuori concorso a Venezia 73 ha chiuso la Mostra in gran stile, rappresentando così il dulcis in fundo della rassegna. Perché quella di Fuqua è una reinterpretazione ineccepibile, capace di regalare momenti entusiasmanti e carichi di fervore. La passione del regista per il genere si percepisce dall'estrema cura con cui viene diretto il film, dalla valorizzazione di ogni suo elemento, partendo dalle suggestive immagini, fino al profilo di ognuno dei suoi protagonisti. Uomini contraddistinti da coraggio, umanità, e un sano spirito ironico, aspetti che li rendono ancor più vicini allo spettatore. A rendere I magnifici personaggi unici e pieni di carisma vi è un cast di tutto rispetto, con al timone un intenso Denzel Washington, fortemente voluto da Fuqua, mai eccessivo e sempre in splendida forma, affiancato da un Ethan Hawke, che si riconferma un attore camaleontico e di rara qualità, senza dimenticare il bel Chriss Pratt, vera rivelazione del film, in perfetta simbiosi con il verace Faraday e più credibile che mai come pistolero. Le riprese hanno avuto luogo nell'immensa Luoisiana a Baton Rouge, resa ancora più viva e palpitante da una fotografia dai toni caldi, diretta dall’italiano Mauro Fiore. Quattro duri mesi di riprese, in cui la troupe di Fuqua ha dovuto fare i conti con un clima decisamente non favorevole, e con tutte quelle esigenze che solo una pellicola western richiede (dall’addestramento di cavalli alle numerose scene con gli stunt), ma che alla fine dei conti ripagano in modo generoso il pesante lavoro. Il film di Fuqua è infatti complessivamente ben strutturato, e vanta il pregio di saper alternare momenti solenni a segmenti più divertenti, intrattenendo lo spettatore in modo quasi magnetico.
I Magnifici sette ammalia ed emoziona senza mai banalizzare il genere, cercando di raccontare una storia che forse qualcuno già conosce, ma che per la sua attrattiva merita di essere raccontata ancora una volta. Una meraviglia per gli amanti del genere western che non avranno mai voglia di staccare gli occhi dallo schermo.
 
Giada Farrace