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Visualizza articoli per tag: francesca tulli

Bridget Jones's Baby

Martedì 20 Settembre 2016 11:20
Bridget Jones è tornata, e (non) è pronta a diventare mamma. Al compimento del suo quarantaduesimo compleanno, la single in carriera più sfortunata d’Inghilterra, messa sotto pressione dalla madre e vessata dai consigli “troppo moderni” delle amiche si ritrova  nell’imbarazzante situazione di essere incinta senza sapere chi sarà il padre del nascituro. Jack Qwant (Patrick Dempsey) il matematico dell’amore, l’americano di “una sola notte” e Mark Darcy (Colin Firth) suo ex ‘Mr. Right’ compagno di una vita lasciato da lei stessa anni prima, sono due potenziali padri e mariti perfetti. Chi dei due conquisterà il cuore della maldestra protagonista è un dilemma che ha consumato migliaia di donne appassionate della serie, diversi gossip hanno accompagnato la vicenda per mesi, come si trattasse di una storia vera. Uno vorrebbe che Hugh Grant co-star per eccellenza di Renée Zellweger negli altri due film, scontento per la sceneggiatura abbia abbandonato la nave prima che salpasse, altri sparsero la notizia, confermata da prove fotografiche che la regista Sharon Maguire, abbia girato tre  finali diversi per lasciare spazio alle speculazioni. Nonostante i dubbi “presunti” del divo Grant, il film regge su una base solida di leggerezza, british humor e autoironia. Helen Fielding la “vera” madre di Bridget, autrice del “Diario” che l’ha resa celebre consacrandola come autrice del genere letterario chick lit (letteratura per ragazze) produttrice e co-sceneggiatrice dell’intera trilogia, per la prima volta ha messo in scena una storia nuova che non compare nei suoi romanzi, alimentando la suspance dichiarando fin da principio che non avrebbe avuto a che fare con il già conosciuto terzo libro firmato da lei ‘Bridget Jones, che amore di ragazzo’  . Il film ha avuto una gestazione lunghissima: sarebbe dovuto uscire nel 2010 ma ci sono voluti altri sei anni per  portarlo a compimento. Esilarante, se si si ha bisogno di frivolezza, con un tenero finale a sorpresa. 
 
Francesca Tulli

Doctor Strange

Mercoledì 26 Ottobre 2016 13:01
Il Dottor Steven Strange (Benedict Cumberbatch) è un ‘genio miliardario’ troppo arrogante e sicuro di sé. La sua unica confidente è Christine (Rachel McAdams) collega di vecchia data che opera al Pronto Soccorso, dove vede casi di pazienti ‘senza futuro’ non sempre degni della sua attenzione. L’eccessiva boria e Il karma negativo gli si ritorcono contro quando in seguito ad un incidente stradale, deluso dalla medicina moderna, decide di intraprendere un viaggio verso Kamar-Taj un luogo dove, si fanno miracoli. Raggiunto il Santuario (indicatogli da una serie di indizi) incontra il suo futuro Maestro, l’Antico (Tilda Swinton), in lotta per la difesa di un bene superiore. L’intero universo è minacciato da Kaecilius (Mads Mikkelsen) suo ex allievo che sta stringendo un patto distruttivo che può portare alla rovina della terra. Grazie ai suoi insegnamenti, Strange riesce a vedere attraverso nuove prospettive. La sua brama di conoscenza e le sue motivazioni personali, lo portano ad intraprendere una nuova inaspettata vita, dove lo attende il suo eroico riscatto. La Casa delle Idee mette per la prima volta in scena al cinema, con la regia di Scott Derrickson, il personaggio che incarna il lato “magico” mistico ed esoterico dei fumetti Marvel. Nato nel 1963 dalla mente di Steve Dikto, si differenzia da tutti gli altri personaggi per la sua attinenza con la spiritualità, riferita ad una conoscenza di stampo filosofico orientale, piuttosto che a poteri derivati da cause “fantastiche”, “divine” o “fantascientifiche” . Nel film troviamo una trasposizione basilare del fumetto, dove sono rispettate atmosfere e gusto con la prospettiva di vedere oltre nei prossimi film in cui Strange (promessa) tornerà. La più grande defezione dei cinemacomics, assieme alla critica che viene mossa più spesso, sono la fastidiosa presenza di interludi comici all’interno delle vicende epiche, assenti o diluite  in diversa misura, nella controparte cartacea. In questo caso, seppur contenute, le “gag” ammorbidiscono il protagonista che, per mancanza di tempo, rischia di perdere la sua famosa credibilità. Strange non è Star-Lord de “I Guardiani Della Galassia” (2014) né tanto meno il famoso Tony Stark, noti per la loro spavalderia e senso dello humor, è un uomo privo di scrupoli che trova la retta via e gli sceneggiatori avrebbero dovuto tenerne più conto. Tuttavia, il tormentone della risoluzione della vicenda risulta geniale, personaggi storici che lo affronteranno in futuro sono nascosti da un nemico che seppure vive di cliché  serve allo scopo. La riflessione più bella sul tempo che non si può mai fermare commuove senza togliere l’attenzione dalla ferocia degli effetti visivi, a metà tra una simulazione in VR (ne giova la versione 3D) e l’effetto di sostanze stupefacenti. Cast perfetto, recitazione shakespeariana al servizio del genere, che continua ad intrattenere e ad appassionare. Il consiglio è sempre di restare dopo i titoli di coda, e più che mai, non distraetevi nel mezzo  se vi  sta a cuore questo vasto multiverso in continuo mutamento. 
 
Francesca Tulli

Animali fantastici e dove trovarli

Giovedì 17 Novembre 2016 14:24
Svampito e  anticonvenzionale anche per il mondo magico, Newt Scamander (il premio oscar Eddie Redmayne) è un “magizoologo” esperto di creature fantastiche. Vuole scrivere un saggio“Animali Fantastici e Dove trovarli” che sarà nel futuro un libro di testo per la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts dove studierà il famoso Harry Potter.  J.K. Rowling la celebre scrittrice che con i suoi otto romanzi ha incantato due generazioni (dal 1997) firma una sceneggiatura del tutto inedita, per un progetto che farà da base ad una serie di 5 film. Approdato a New York nel 1926 Scamander, porta con sé una strana valigetta di pelle, all’interno le sue creature bussano, scalciano, fanno versi, smaniano dalla voglia di uscire. Lo Snaso, una sorta di morbido ornitorinco cicciotto, attratto come le gazze da tutto ciò che luccica riesce nella fuga e trascina dietro di sé una serie di mirabolanti conseguenze. Scamander attira l’attenzione del M.A.C.U.S.A. (il Magico Congresso  degli Stati Uniti D’America) e finisce sotto accusa, Tina (Katherine Waterston)  ex Auror (gli incaricati contro le Arti Oscure) vede nel seguire il caso una nuova occasione per riscattarsi e tornare nell’ordine. Intanto Percival Graves (Colin Farrell) spietato investigatore del mondo magico, trama nell’ombra per evitare una guerra tra umani e Babbani, ignari che esista la magia ma sempre più consapevoli che  possa esistere una qualche forza soprannaturale e maligna. Quello che manca alla pellicola diretta da David Yates, regista degli ultimi quattro film di Harry Potter, è la novità. Tutto sembra attingere dal calderone delle idee passate, il senso di déjà vu potrebbe essere voluto perché il mondo della Rowling si deve distinguere da quello degli altri film di genere. L’incredibile e appassionante varietà di creature, realizzate grazie all’aiuto della CGi mischia la giusta dose di tenerezza ad una sottotrama più cupa e, come sempre è accaduto nella saga, più matura e adulta. Al centro il tema della diversità, le inclinazioni non rispettare, le passioni represse e le attitudini castrate che generano mostri. Deliziosamente british, ricrea le atmosfere fumose degli anni ‘20, costumi e scenografie da teatro rendono qualsiasi  elemento di fantasia assolutamente credibile e fruibile per chi conosce bene questo mondo e chi invece ci si affaccia per la prima volta. 
 
Francesca Tulli

Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali

Giovedì 15 Dicembre 2016 10:44
Jake (Asa Butterfield) è un ragazzo disagiato, preso di mira dai bulli, appassionato della natura e delle meraviglie del mondo, suo padre e sua madre lo mandano in cura da uno psicologo convinti che il problema sia lui e non il brutto mondo dove vive. L'unico a capirlo è suo nonno, sopravvissuto ai mostri dei campi di sterminio in Polonia, a cui racconta della sua strana esperienza con Mrs Peregrine, una bellissima maestra (Eva Green) in una scuola di bambini peculiari in grado di fare cose straordinarie. Questo il soggetto chiave del libro di Ramson Riggs romanzo bestseller in tre parti che con questi presupposti ha attirato la fervente immaginazione di Tim Burton a cui queste tematiche hanno sempre fatto gola.
 
Terribilmente fuori dagli schemi, la casa dei bambini speciali vanta una fotografia eccellente. Ogni dettaglio è la firma inconfondibile del celebre  ed eccentrico regista che, nella prima parte, sfoggia navi fantasma, storie terribili di mostri mangia occhi, orologi che bloccano il tempo, calzette a righe bianche e nere e altri personaggi tipici. Uno per tutti quello di Emma Bloom, leggera come l'aria, bionda con occhi grandi, vestita deliziosamente anni 40 e ancorata a terra da scarponi gotici con le zeppe.
 
Burton unisce una non sensazionale CGI a due scene in stop Motion, lui stesso durante la conferenza stampa ha dichiarato di preferire le tecniche tradizionali, palpabili, reali, ma troppo lente nel processo da realizzare rispetto alle tecnologie moderne.
 
Peregrine ha due fasi sostanziali la prima parte drammatica consumata, sporca e polverosa con la bellezza di Big Fish (2003) e le tematiche della fabbrica del Cioccolato (2005) e una seconda parte apparentemente sconnessa, dove Samuel L. Jackson irrompe con una performance ridicolmente surreale. Se a qualcuno è potuta sembrare banale, la chiusa in realtà è un bel giro su una giostra, castrato forse dall'eccessivo cambio di toni, dal dramma alla comicità, l'assurdo la fa da padrone scostandosi dal romanzo ma restando ad ogni effetto una pellicola stravagante nel pieno stile del maestro. Un film che forse non ha potuto convincere i più ma che verrà forse rivalutato nel futuro come un 'cult' dove c'è molto di più di quello che sembra.
 
Francesca Tulli
 

Rogue One: A Star Wars Story

Giovedì 15 Dicembre 2016 10:32
"Cantami o diva" di quel pugno di Ribelli coraggiosi, che rubarono i piani custoditi dalla Principessa  Leia per distruggere la Morte Nera, la stazione da battaglia in grado di polverizzare interi pianeti. Gareth Edwards, giovanissimo regista esperto di storia e film bellici, rispettoso, conservatore (nell'accezione positiva),  nostalgico e appasionato fruitore della fantascienza, rimaneggia dagli archivi tutto il materiale inutilizzato nel 1977 per creare “Una Nuova Speranza”, primo film di quella saga che ha cambiato la vita di molti. La fotografia è da urlo, ogni inquadratura dello spazio è inconfondibile . "Guerre Stellari" esce dai dipinti di Ralph McQuarrie, niente che possa ricordare un'altra space opera o storia ambientata nelle profondità dello spazio. Questo è l'apice della vita di un gruppo sfaldato, di personaggi nuovi, diversi l'uno dall'altro, capitanati da  Jyn Erso (Felicity Jones) figlia di uno scienziato che serve suo malgrado una causa più grande e distruttiva, quella del malvagio Impero Galatitco e di Cassian Andor (Diego Luna) spia dell'Intelligence dell' Alleanza Ribelle. Un nucleo di persone che come da tradizione "Si trovarono nel luogo sbagliato nel momento sbagliato e divennero eroi" (incipit della versione a  romanzo di "Una Nuova Speranza" ndr.). Non ci sono cavalieri Jedi, non ci sono supereroi, solo persone che combattono una guerra che non possono vincere,  senza nulla da perdere mossi solo dalla "Speranza". L'Impero in splendida forma, grazie alla presenza di Ben Mendelsohn nei panni del Direttore Orson Krennic, nazisti spietati e non antagonisti macchietta di "un film pomeridiano per dodicenni" (prima di indignarvi sappiate che questa è una definizione data da George Lucas in persona). Nella prima parte d'impatto troviamo creature e droidi, citazioni senza retorica, navi, pianeti, animatroni, maschere e pupazzi a conferma che nel cinema nulla è obsoleto. Abbiamo davanti anche vecchie conoscenze  grazie all'uso della teconologia, siamo nel 2016 e possiamo 'resuscitare' personalità che necessariamente dovevano comparire grazie alla sapienza della ILM (si chiama "Industria della luce e della magia" per una ragione dopotutto) . Questo fa paura, gli attori in carne ed ossa non possono nel futuro lasciare il proprio lavoro alle loro controparti in CGi, ma qui funziona, serve, una spaventosa mistificazione che crea continuità. Seconda parte incredibile, piena di suggestioni per chi conosce questo mondo e chi ci si affaccia per la prima volta. Mescolanza di antico e moderno, sintesi perfetta della precisa concezione di quello che è Star Wars, quando passando dal nulla ad Episodio IV negli anni settanta, c'era il bisogno di film così  almeno quanto spasmodicamente ce n'è oggi. Non sorprende la reazione dei fan, divisi tra l'entusiasmo e la delusione de "Il Risveglio della Forza" (2015) questa volta unanimi e concordi, ci troviamo difronte ad un "miracolo" . Come fu per il bellissimo Mad Max (2015) il film tocca  ogni corda giusta, si passa dal western a Kurosawa, con una crudezza di altri tempi. Esalta commuove e ci fa sentire un tutt'uno con la Forza.
 
Francesca Tulli

Oceania

Giovedì 22 Dicembre 2016 10:53
Piccola, arruffata nei suoi capelli ricci, incantata dai racconti della sua nonna pazzarella, Vaiana intenerisce il pubblico al primo sguardo. Ron Clemets e John Musker navigatori esperti dell'animazione Disney, autori di Aladdin (1992) e della Sirenetta (1989). Tornano a dirigire le acque incantate dell'oceano in CGi, con un occhio sulle avventure di questa piccola eroina avventata. Il "malvagio" Maui, semidio trasformista che può assumere fattezze animali, ha rubato il cuore alla dea della terra. Vaiana figlia del capo villaggio scelta dal destino, si convince di affrontare l'imminete carestia causata da questa catastrofe, cercando una soluzione oltre il Riff di cascate, dove nessuno si era mai (fino a prova contraria) spinto prima. Vaiana è l'eronia femminile che rispetta i canoni della donna imbattibile, che ora fa presa sul pubblico. Dolce e un po' svitata vive questa Odissea con eccessiva tranquillità, ma fa la conoscenza di personaggi variopinti, rubati a alle atmosfere di "Alla ricerca di Nemo" (2013). Colpisce la qualità grafica del prodotto, solo 5 anni fa, hanno confessato i registi  durante la conferenza stampa, non sarebbe stato possibile animare l'oceano con queste possibilità, nonostante i criteri per realizzare l'acqua siano gli stessi di 27 anni fa: calcolare trasparenza, tonalità di colore e fluidità. La colonna sonora di Mark Mancina ci trascina nel mood e la voce “cantata” di  Vaiana in italiano è di Chiara Grispo, giovanissima sfornata dalla fabbrica di Amici 15. I rimandi musicali però strizzano l'occhio  anche al passato, il granchio Tamatoa, canta un inno a  ciò che  “brilla” ("Shiny") firmato da Lin-Manuel Miranda dichiaratamente ispirato (nella versione originale) al sound di David Bowie. Nota di stra merito, all'utilizzo della animazione tradizionale sui tatuaggi “senzienti” di Maui, che si muovono sul suo petto come i vasi greci nelle coreografie di Hercules (1997). Ci si domanda sempre perché i comprimari svolgano un ruolo importante ma non troppo per dare spazio a eroine femminili troppo piene di sé, e il dubbio resta. La forza di Moana però è nel cantato, nelle atmosfere tropicali, nel bisogno di contatto con la natura che ci fa inevitabilmente arrivare, fare un salto ai tropici a dicembre forse sarebbe troppo ambizioso per molti di noi, ma si esce dalla visione piacevolmente riscaldati da un sole digitale.
 
Francesca Tulli

Silence

Mercoledì 11 Gennaio 2017 22:47
Silenzio, grilli e cicale, questa è la musica estiva che accompagna ancora oggi la campagna Giapponese, il silenzio di “Dio” è al centro del romanzo scritto da Shusaku Endo “Chinmoku” (in italiano “Silenzio”) del 1966, oggi adattato da Martin Scorsese nel suo omonimo film. Due giovanissimi Gesuiti portoghesi, Padre Sebastiao Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Francisco Garrpe (Adam Driver) con la guida di un lunatico giapponese convertito Kichijiro (Yosuke Kubozuka), partono per le sperdute isole del Sol Levante alla ricerca del loro maestro Padre Ferreira (Liam Neeson), convinti che le voci sul fatto che egli abbia abiurato siano solo calunnie. Trovano un paese dove i Cristiani vengono perseguitati, uccisi, come ai tempi dell’antica Roma, costretti a rinnegare il proprio dio e mandati a morire, in nome di una religione improntata anni prima di cui non conoscono neanche il vero dogma. Quello che doveva essere una missione di soccorso, diventa la disperata ricerca di “predicare il vangelo ad ogni creatura” anche a coloro che non possono comprenderlo per una distanza culturale oltre che logicamente, linguistica. Ne esce un ritratto storico ma anche indirettamente attuale del Giappone, che spiega le vere ragioni sul perché questa evangelizzazione non abbia funzionato. Tutt’oggi l’approccio alle religioni occidentali resta in Oriente difficile da interpretare nel giusto modo (eccezion fatta per alcuni, ne è un esempio l’autore del libro). Con le sue tre ore di durata, il film passa dall’essere interessante al somigliare ad un documentario. Girato a Taiwan (nei teatri della CMPC) dove lo scenografo italiano Dante Ferretti ha ricostruito il Giappone del XVII secolo le locations risultano credibili ma monotone. La totale assenza di colonna sonora, crea un’atmosfera per riflettere ma viene spezzata dalla narrazione e dai pensieri in prima persona del protagonista che accompagnano lo spettatore senza permettere la totale immersione. La crudezza delle torture inflitte ai fedeli viene rappresentata senza la macabra voglia di stupire, permettendo la visione del film a tutti, anche a scopo didattico. Non c’è dubbio sul fatto che una storia così (il romanzo è un bestseller) avrebbe prima o poi attirato l’attenzione del cinema e sarebbe stata tradotta in un film, Scorsese si dimostra un professore valente ma quello che manca è la tenerezza, la pellicola non fa commuovere. Jay Cocks, lo sceneggiatore a cui dallo stesso regista sono state affidate sfide ben più difficili e riuscitissime nel corso degli anni (per citarne una ‘L’età dell’innocenza’ nel 1993), qui si trova a dover adattare un testo forse troppo rigoroso a dimostrazione che la traslazione da un'opera giapponese ad un un film americano è ancora difficile, perfino per un premio Oscar.
 
Francesca Tulli

50 sfumature di nero

Giovedì 09 Febbraio 2017 19:01
Che i libri di '50 sfumature di' fossero un fenomeno commerciale inarrestabile grazie alla formula magica "principe azzurro+donna emancipata+sadomaso" lo sapevamo dal 2011 quando E. L. James casalinga inglese stanca della routine trovò un editore per il primo dei suoi quattro libri fortunati. Furba e in anticipo su tutti gli altri cambiò i nomi di personaggi principali alle sue fan fiction su Twilight e da Edward Cullen inventò Mr. Grey l'uomo che non deve (o quasi) chiedere mai...biondo occhi azzurri, ricco sfondato da far invidia a Bruce Wayne, scapolo d'oro e con un piccante segreto...la ‘camera rossa’ dei giochi dove “scopa forte” le sue sottomesse con i suoi attrezzi sadici. Tutto scritto in prima persona attraverso gli occhi della povera e innocente Anastasia Steele, la ragazza semplice che gli insegna ad amare. L'adattamento del secondo volume, Cinquanta sfumature di Nero del regista James Foley, sfida la nostra pazienza e si affretta a scalare la vetta degli incassi al botteghino anche in Italia. Facilmente si può intuire perché un film del genere può avere una così grande risonanza nonostante gli inutili avvertimenti della critica, viene da domandarsi cosa il pubblico vuole veramente vedere. Cerchiamo di risolvere questa matassa. Abbiamo lasciato alla fine del primo film, la protagonista 'Ana'-stasia (Dakota Johnson) delusa dalle abitudini da pervertito di Christian Grey (Jamie Dornan) dopo aver ricevuto qualche frustrata consenziente. La ritroviamo a lavorare in una casa editrice alle dipendenze di un capo belloccio che le fa la corte (la protagonista gode di questa abilità di far cadere tutti ai suoi piedi: non cerchiamo di trovarci un perché, è una regola non scritta). Mr. Grey le propone di ricominciare da capo, senza che la loro relazione sia vincolata da contratti ridicoli (che stabilivano quali pratiche sessuali potevano consensualmente praticare sotto le coperte, per fare un esempio esplicativo “frustate si ma fisting anale no”) deciso pur di stare con lei a rinunciare al suo ruolo di “Padrone” ed abbracciare la prospettiva di una relazione normale o come piace chiamarla a lei “alla vaniglia”. Il tutto trasforma la vicenda pseudo trasgressiva nel sogno adolescenziale o no di curare “una povera anima ferita” senza rinunciare al sesso e alla propria indipendenza. La colonna sonora ospita per la prima volta nuovi brani commerciali blasonati per ragazzine, che vengono lanciati durante le scene più hot, come le pubblicità pagate miliardi nelle pause di Sanremo. Quello che lo share vuole vedere è questo, ridere di una storia frivola, svagarsi, appagare il senso di trasgressione guardando un film innocuo che passa per ‘proibito’, dove le scene di sesso (aumentate rispetto al primo) sono adatte ad ogni tipo di pubblico maggiorenne (o quasi) patinate e sfiziose quanto basta, con la giusta dose di attori bellocci e romanticismo da cartolina. Non è perciò difficile intravedere la pochezza che si cela dietro un simile prodotto.  
 
Francesca Tulli

Lego Batman - Il Film

Giovedì 09 Febbraio 2017 16:58
Registi del calibro di Tim Burton e Cristopher Nolan sanno quanto sia difficile portare la leggenda dell’uomo pipistrello sul grande schermo. Gli appassionati dei fumetti DC Comics si interrogano da tempo immemore su quale trasposizione di Batman al cinema sia la migliore. Oggi la casa danese che produce dal 1916 i mattoncini Lego, i giocattoli perfetti per ogni generazione, forse fornisce la risposta definitiva. Attraverso una parodia pensata e colma di passione e citazioni, il regista Chris McKay (che aveva usato la stessa formula per dirigere Robot Chicken: Star Wars Episode III che gli appassionati di fantascienza ricordano bene, con annesse risate convulse) ci trasporta a Gotham City dove Joker (il clown terrorista che vive per tormentare il suo acerrimo nemico), con la sua banda di criminali, minacciano per l’ennesima volta l’incolumità della popolazione; sarà compito di Batman risolvere la situazione. Cosa fa il cavaliere oscuro tutto solo nella sua Batcaverna? Perché Joker è così ossessionato da lui? Soprattutto, perché Robin, sua famosa spalla, indossava nella serie televisiva del 1966 quel completo ridicolo con i mutandoni verdi? Il film risponde ad ogni interrogativo, dando forse per la prima volta, una chiaro identikit di ogni personaggio attraverso le sole due ore di intrattenimento a disposizione, anche a chi incontra Batman per la prima volta (il film è dedicato agli adulti quanto ai bambini). Questa sfida troppe volte viene persa in partenza, specialmente nei film di punta recenti ( Batman vs Superman: Dawn of Justice e Sucide Squad 2016) dove lo spettatore, conoscendo già l’argomento va al cinema con una propria visione dei protagonisti senza che gli sceneggiatori si preoccupino di spiegare i retroscena, lasciando un senso di incompletezza. Il fatto che gli strumenti utilizzati per raccontare la storia siano lego tridimensionali in CGi e non attori in carne e ossa, diventa un fattore secondario, tuttavia la qualità dell’animazione è eccelsa. Fa anche da sequel al riuscitissimo The Lego Movie (2014) dove Batman compariva nel team principale ma il taglio del film è decisamente diverso. Una nota di merito va alla voce italiana di Batman, Claudio Santamaria (ormai abituato ai panni dell’eroe ‘coatto’ dopo aver recitato in Lo Chiamavano Jeeg Robot), che questa volta interpreta Batman a ruota libera senza il peso del sintetizzatore (fu scelto anche per doppiare Christian Bale nella trilogia di Nolan). Attraverso canzoncine cool, macchinari costruiti di mattoncini che urlano “mamma me lo compri!” battute e citazioni ‘nerd’ che sono già cult, il film mette in luce tematiche importantissime al centro di tutte la paura della solitudine e l'importanza di costruirsi una famiglia fatta di persone capaci di vedere anche oltre “la maschera”. 
 
Francesca Tulli

Jackie

Giovedì 23 Febbraio 2017 17:18
Sempre dignitosa, intransigente, accompagnata dalla paura, furiosa e in continua lotta con se stessa, così il geniale regista cileno Pablo Larraín ci presenta la frist lady Jacqueline Kennedy nel suo ‘Jackie’,  interpretata da una trascinante Natalie Portman da oscar. Il 22 novembre del 1963 il mondo intero assistette all'uccisione del presidente John Kennedy a Dallas in Texas, ferito a morte a colpi di fucile. Ogni momento, viene descritto dal regista senza enfasi artificiosa e con autentico rispetto. La moglie accompagnava il marito a bordo della Berlina presidenziale e le testimonianze riportano che non volle togliersi di dosso il sangue dal suo abito rosa confetto, per mostrare al mondo cosa fosse davvero successo. Al suo fianco solo Bobby (Peter Sarsgaard), fratello dell’ex presidente.  Jackie nella sua residenza momentanea, vedova con due figli, ignara del suo futuro teme il peggio e si confessa con un giornalista (interpretato da Billy Crudup) raccontando le interminabili ore e i fatti successivi alla tragedia, egli è pronto a scrivere l'articolo del secolo ma lei, osso duro, gli impedisce di pubblicare tutto quello che potrebbe danneggiare la sua reputazione, senza risparmiare nessun dettaglio e senza reprimere nessuna lacrima o reazione sconsiderata. Quella che ne segue non è una morbosa cronaca nera, tanto meno un coccodrillo postumo di 54 anni e, per quanto fedele, non ha la pretesa di contestualizzare i fatti storici successivi come accade nei documentari o nei diversi film che trattano la vicenda. I flashback riportano colore nella Casa Bianca, risuonano nelle sue sontuose stanze le note del Musical di Broadway Camelot (il preferito da Jack) e la frist lady indossa tutti gli abiti, minuziosamente riprodotti, che l’hanno resa una inossidabile icona di stile. Parte dei dialoghi sono fedeli a quelli che riporta la stampa dell’epoca, grazie alla sceneggiatura redatta da Noah Oppenheim. La vita sfarzosa dei due coniugi, fuori portata e lontana dalla realtà di tutti, si scontra con la progressione inesorabile del dolore, amplificata dalla spettacolarizzazione della tragedia che ne aumenta il peso e rende l’essere stata la moglie del presidente uno svantaggio. La leggenda dei Kennedy e l’assassinio del secolo, fanno solo da scenario al dolore di una donna, alla sua personale rielaborazione di un lutto, che smuove le nostre coscienze. Rimarcabile la figura del prete, guida spirituale della protagonista, ultimo ruolo di John Hurt, che ‘ci saluta’ dando una splendida chiave per interpretare la vita. La figura di Jackie diventa un veicolo per riflettere sui cambiamenti che la morte porta inevitabilmente con sé. Raramente un film che ha come protagonista la perdita di una persona cara risulta digeribile: la retorica, la noia e la pesantezza rischiano troppo spesso di prendere possesso della tematica trattata, in questo raro caso la poesia sconfigge la morte.
 
Francesca Tulli
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