Lo sguardo incrocia l’oscuro infinito. Specchi, finestrini, superfici riflettenti che mostrano qualcosa di inquietante, più lo si mette a fuoco e più diventa perturbante perché sempre più familiare, intimo, è la nostra immagine!
Il doppelgänger si stacca dal suo corpo, indossa scarpe da balletto, si muove a passi di danza, quelli del cigno, nero. Oscuro e seducente, umano tra gli umani, in vita per la morte, in un lago di cigni, in un lago di sangue.
L’incedere incerto, intimorito di una macchina da presa che va incontro a qualcosa di spaventoso, gli sta addosso, ci vuole avvertire: guarda che non è come sembra! Guardiamo ansimanti, palpitanti, è un balletto, eppure noi stiamo così, in una di quelle paure gelide, paure senza oggetti delle paure, agghiaccianti, pugni nello stomaco, fiati spezzati, respiri mozzati, paura assoluta, totale e totalizzante. Panoramiche risuonano tra le viscere.
Piume ispide come aculei, aghi, unghie come artigli che feriscono al passaggio ogni lembo di pelle. Una metamorfosi del corpo e della mente per accedere all’ossessiva, impossibile perfezione, maligna, distruttiva, disumana.
Negli anni ʽ80 fu David Cronemberg con La Mosca, remake del film L'esperimento del dottor K del 1958, a mettere in scena un Body Horror, con Jeff Goldblum in una metamorfosi distruttiva frutto dell’ossessione del riconoscimento sociale e della fama. Cigno e Mosca, una ballerina e una scienziato, corpi disumanizzati, menti oscurate, l’umano non umano.
Noi, la nostra immagine e corpo ovunque intorno. Una trasfigurazione, Io e l’altro, ma sempre io... qualcosa ci spaventa di noi, non si vede, solo percezione, sentore e monito, tangibile come un respiro, tocca le corde, i nervi, scorre dentro.
Volti disegnati ci seguono con lo sguardo e perseguitano, la mia immagine come un’ombra. Ho paura di me. Ma mi cerco. La paura di se stessi è protagonista.
Cigno nero e cigno bianco, carnefice e vittima nella stessa immagine, rappresentazione e materializzazione. Pensiero, configurazione infine metamorfosi di uno schizofrenico fantasmatico.
Il Cigno nero, metamorfosi nella gemella malvagia, il lato scuro, freddo dell’anima esce fuori, pesante, ci schiaccia, sovrasta, lo fa in punta di piedi, a passi di danza leggeri.
Bianchi spettrali, neri di morte, rossi di sangue, specchi non anonimi e riflettenti, ma rivelatori. Non esorcizza, Darren Aronofsky mette in scena: la morte del cigno, la morte dell’umano, la ricerca di una paranoica perfezione.
Disarmante, inquietante eterea bellezza, Natalie Portman è Nina, ballerina ambiziosa, partoriente della sua anima maligna, aiutata da braccia forti, quelle di Vincent Cassel, diavolo tentatore a sussurrare “l’unico ostacolo al tuo successo sei tu. Liberati da te stessa. Perditi Nina”, e da una madre, utero incapace di espellere definitivamente la sua progenie e i suoi fallimenti.
E Lily, il sesso, edonistica ossessione. Spudorata calamita, attrazione e repulsione dell’Es freudiano.
Il carillon non basta più in un mondo abitato da presenze perturbanti, inquietanti e specchi, finestre aperte su un baratro oscuro. La storia della ragazza che si tramuta in cigno si tramuta essa stessa nelle mani di Aronofsky.
Horror, thriller, noir, erotico, in una parola viscerale, dispiegamento allucinatorio dell’inconscio, fantasmi interiori, pulsioni, paure e desideri, Nina è l’Essere nudo e crudo, impuro, inerme, disperato, “la bambina non esiste più”.
Lidia Petaccia