Cadenas, ovvero Il cinema che racconta il lavoro, quello invisibile, sottopagato, quello delle guarda-barriera sarde che, ereditando il mestiere di generazione in generazione, continuano la tradizione tutta al femminile di quest’occupazione ormai soppiantata dal passaggio a livello. Nelle campagne sarde, tra la Trexenta, il Campidano e il Gennargentu, la chiusura del passaggio per il transito dei treni viene ancora affidato al presidio di donne in giubbino fluorescente, custodi delle catene che chiudono l’accesso ai binari e del silenzio immenso in cui sono immerse.
Francesca Balbo posiziona la cinepresa alla loro altezza, facendo parlare i pochi gesti routinari di queste lavoratrici, le lunghe attese, gli scambi con le generazioni che prima di loro svolgevano lo stesso lavoro, le rivendicazioni di diritti e tutele.
Quello che si costruisce con la giustapposizione di questi elementi è un racconto sottovoce di vite ai margini, intrappolate in una dimensione spazio-temporale lontana dalle società opulente e dai ritmi frenetici della città, scandite solo dagli orari dei treni e dal saluto del macchinista che sfreccia via.
“Quando sono salita sul treno il tempo si è dilatato, lo spazio si è aperto. Quando mi sono fermata con le guarda-barriera, il tempo è diventato un interstizio tra i passaggi del treno e lo spazio è stato costretto tra due catene” spiega la regista, includendo in questa sua affermazione tutta la trama poetica di questo documentario dal moto contrapposto: il movimento del treno associato all’immobilità delle “ragazze della Ferrovia”. Una vita, la loro, sospesa in uno spazio magico, che custodiscono con cura e devozione, coscienti del ruolo residuale della loro attività.
Se durante l’iniziale scorrere lento e silenzioso delle immagini lo spettatore percepisce uno spaesamento rispetto ai tempi accelerati a cui l’industria cinematografica lo ha abituato, occorre uno sforzo maggiore per osservare un mondo tanto lontano dalla nostra realtà quanto tangibile e pesante. Pesante nella sua descrizione senza pathos di una normalità poco luccicante, attaccata ad una terra difficile. Il territorio si fa co-protagonista del racconto, accanto alle figure principali di cui la telecamera fissa sottolinea espressioni e vissuto. “Raccontare le guarda-barriera della Sardegna significa raccontare una normalità complicata in cui la giornata si compone come un puzzle, cercando ogni giorno di mettere insieme i pezzi giusti. La loro forza e’ pari soltanto alla loro tenerezza” (Francesca Balbo).
Elisa Fiorucci