La parola cinema è una delle più clamorose metonimie di uso corrente nel linguaggio moderno.
L'opera cinematografica prescinde così tanto dal luogo in cui viene esperita dal pubblico che ne ha assorbito i connotati linguistici.
Il festival di cinema in effetti, a volte, si presenta come una vera e propria geografia di luoghi, di sale, di schermi, di ambienti entro il quale si muovono cineasti, “cinematografari”, cineamatori, cinefili, e “cinecuriosi” di tutte le età ed estrazioni sociali. Questo in qualche modo influisce sulla visione delle opere: le opere stesse “assorbono” la carica emotiva ed elettrica di cui ogni festival di cinema vibra, e questa vibrazione è assai più potente se il festival in questione è una rassegna di cinema di genere.
Questa introduzione è doverosa per parlare di Lobos de Arga un lungometraggio del regista spagnolo Juan Martinez Morero, che ho avuto occasione di vedere durante la scorsa edizione del Fantafestival.
Juan Moreno trasferisce sullo schermo un classico del cinema di genere con intelligenza ed humour, Lobos de Arga è un film che tratta il tema della licantropia in maniera horrorifica ed allo stesso tempo umoristica ed avventurosa, con caratteristiche innegabilmente molto vicine a Romero.
Il giovane scrittore Tomas Marino (interpretato da Gorka Otxoa, candidato al premio Goya come miglior attore rivelazione nel 2009) si reca con il suo inseparabile cagnolino nel borgo d'origine della sua famiglia, Arga per l'appunto, per ricevere un premio letterario.
Il paese dalle tinte gotiche e spettrali accoglie caldamente Tomas, che da parte sua è deciso a riprendere possesso dell'antico palazzo disabitato appartenente alla sua famiglia da generazioni e scrivere lì il suo prossimo libro. Egli sarà vittima di un crudele tranello: non esiste nessun premio letterario, in realtà è stato attratto ad Arga per essere dato in pasto ad un licantropo che da anni vive segregato nei sotterranei del paesino, questo sacrificio servirà per sfatare la maledizione centenaria che attanaglia la città.
La pellicola alterna momenti di suspense a episodi di comicità grottesca, la regia è dinamica e ricca di spunti interessanti mentre il protagonista ed il suo amico a quattro zampe formano una coppia perfetta molto simile al fortunato fumetto francese Tintin.
Molti si chiederanno cosa avrebbe in comune questo mix di commedia, horror ed avventura con il cinema di Romero, eppure questi elementi, sebben “spalmati” in un'intera cinematografia, sono caratteristiche fondanti dell'arte e dell'estetica del regista americano.
L'uomo-lupo e lo zombie sono due creature molto diverse ed allo stesso tempo complementari, entrambe si cibano di esseri umani, ma mentre il Licantropo rappresenta quella parte di società prepotente e feroce che soggioga l'uomo comune, lo zombie invece simboleggia quella massa abulica ed asservita che in maniera lenta ed inesorabile corrode la società dall'interno, scagliandosi in maniera disordinata contro l'essere civile.
In questo caso gli abitanti di questo piccolo villaggio, contadini ed artigiani, prima decidono di sacrificare senza pietà un loro simile, poi trasformandosi in Licantropi gli danno la caccia per azzannarlo e quindi renderlo uno di loro.
Che siano zombie o licantropi la società ed i suoi mostri non fanno altro che cercare di conformare l'individuo, inglobarlo e spogliarlo della propria identità, che sia in una cittadina sperduta del Texas o in un paesino spagnolo, che sia a causa di un morbo misterioso o di un'antica maledizione, questa forza fagocitante è ugualmente potente e violenta e solo l'indomita forza di volontà del singolo ed il suo spirito di cooperazione e solidarietà con i propri simili potrà arginarla.
Moreno e Romero sono due facce della stessa medaglia che una volta lanciata in aria, sia che esca testa o esca croce, mostra sempre il lato più grottesco dell'essere umano incollando lo spettatore allo schermo ed intrattenendolo con atrocità grandguignolesche.
Nicola Zurlo