Questo film drammatico che ha molto in comune con il documentario e, dove la splendida fotografia è essa stessa protagonista, ci racconta una storia d'amore forte e fragile. Forte come può essere un filo d'erba che resiste nell'arido deserto ma fragile come è per definizione la vita umana quando si è giunti alla fine del percorso. "Utama" che in lingua quechua significa la nostra casa ci introduce in uno sconfinato paesaggio andino e in un microcosmo familiare composto da una coppia di anziani allevatori di lama. Virginio e Sisa resistono strenuamente in un territorio segnato da una terribile siccità cercando un modo per andare avanti dignitosamente e in autonomia. Virginio è malato ma non vuole lasciare sola la moglie e nemmeno la sua preziosa terra. Il difficile rapporto con il figlio lontano è mediato dalla dolcezza con cui il nipote Clever, che a breve lo renderà bisnonno, torna per rimanere accanto il più possibile a questa coppia così unita anche nelle peggiori asperità. Il tutto condito da una colonna sonora struggente che sottolinea con pathos i momenti salienti. La regia indugia spesso sui primi piani dei protagonisti dai volti così veri e interessanti e riduce a dialoghi stringati la narrazione. Proprio perché anche il silenzio è in grado di dire tante cose, in questa pellicola ci ricorda che la natura ha estremo bisogno di aiuto perché non costringa l'essere umano a scelte dolorose stranianti per mettersi temporaneamente in salvo. Un film schietto che parla a tutte le generazioni ma soprattutto si rivolge ai giovani uomini e alle giovani donne di oggi che hanno il potenziale per rendere concreta la cura necessaria per salvare il nostro pianeta agonizzante.
Virna Castiglioni