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Reduce dal lungometraggio horror Custodes, distribuito da Saturnia Pictures srl e disponibile in streaming su HODTV, la giovane cineasta Lea Borniotto si prepara al percorso festivaliero della sua nuova opera realizzata con il team Alienside StudioVindex Flamma, interamente girata sul territorio toscano con alcune riprese effettuate presso il Museo della tortura e dell’inquisizione di San Gimignano.

 

 

Sceneggiato dalla stessa Borniotto insieme ad Edoardo NerviVindex Flamma è un cortometraggio fantasy dark mirato a denunciare le traversie e le persecuzioni che le donne hanno subìto durante il periodo medievale e, in particolare, i femminicidi dell'epoca, giustificati attraverso l'assurda e maschilista “caccia alle streghe”.

 

Un mini film che racconta l’inganno ingegnato dal Dio Bafometto sotto l’aspetto di un essere mutaforma intento ad aiutare i soggetti di sesso femminile nell’avere la loro vendetta sui crudeli e sadici preti dell’epoca.

“Con questo corto, per i cui dialoghi mi sono ispirata al cinema di Quentin Tarantino, voglio mostrare la stupidità delle credenze religiose nell’epoca medievale e denunciare apertamente gli orrori commessi dall’inquisizione nei confronti delle donne" dichiara la regista. In quanto l‘obiettivo di Vindex Flamma, completamente recitato in latino ecclesiastico con la supervisione del latinista Alan Jess, è spingere lo spettatore a riflettere su quanto la società odierna sia ancora popolata da superstizioni e atteggiamenti maschilisti.

Interpretato da Lea Vera BorniottoLuca ChikovaniMartina Sissi Palladini, Michele Veccia, Roberto Dal BenLorenzo CrovettoAlessio Cherubini, in collaborazione con l’agenzia Imacrew, Vindex Flamma è prodotto da Saturnia PicturesIpnotica FilmEverglades Film e Miami No Face Production, in collaborazione con Roswellfilm e Wazoo.

Cura la fotografia di Vindex Flamma Edoardo Nervi, mentre il montaggio è di Andrea D’Emilio, la supervisione alla regia di ,Alberto Gangi e la colonna sonora di Ginevra Nervi. Si occupano della realizzazione di accessori e costumi Roberto Molinelli,  Artemisia Casoni e Roberta Limardo.

I produttori esecutivi sono Giuseppe M. AndreaniAlberto De Venezia Stefano Giuliani, con produzione creativa di Massimo Paolucci.

 

Elvis

Mercoledì 22 Giugno 2022 20:29 Pubblicato in Recensioni

È ancora ben salda la passione per la musica trasposta sullo schermo del regista australiano Baz Luhrmann che sceglie, per il suo ultimo lavoro, di depositare nelle sale la storia della vita e del mito di Elvis Aaron Presley.

Non è facile riuscire a traslare, con i limiti di un medium, tutta la grandiosità di un'icona immortale della musica e, quando un regista sceglie di cimentarsi in tale obiettivo, rischia di scontrarsi con la semiotica dell'idolatria.

Il mito di Elvis è ancora oggi imperituro. Ha pochi eguali nella storia della musica e forse anche dell'arte in generale. Parlare di un personaggio di questo tipo e scegliere cosa rappresentare e come disegnarlo non è quindi una scelta facile.

Luhrmann sceglie un attore professionalmente giovane (August Butler), con pochi film al suo attivo, capace di travalicare la dimensione del tempo e dello spazio e incantare lo spettatore, con un inganno consapevole che rende sfumati i contorni di realtà e fantasia.
La musica è il linguaggio del film, più delle parole della sceneggiatura piuttosto asciutta, in un valzer di due ore e quaranta che il protagonista e la sua arte ballano senza sosta, tra suggestioni pop ed episodi di ascesa e discesa personale della fragile anima del protagonista.

La voce narrante è quella del Colonnello Parker (Tom Hanks) storico manager di Elvis, reo di aver sfruttato l’immagine e i guadagni del suo cliente senza alcuno scrupolo, per tutta la vita dell’artista, senza dargli la possibilità di svincolarsi e interpretando il ruolo di un padre putativo dispotico, approfittando del flebile ruolo del padre reale nella vita del re del rock.

La figura dell’antagonista, così profondamente e spregevolmente umana e radicata nella centralità del conformismo americano degli anni 50, identifica la contrapposizione tra l’umano e il divino Elvis, il supereroe. L’amore per i fumetti e la grafica da storyboard,  permeano l’immagine del protagonista fin dalle prime sequenze. La rappresentazione di una icona che sfiora l’idolatria divina partendo da una condizione misera e così profondamente terrena è immaginifica e riesce a unire l’aspetto pop e l’aspetto divino, in una coalescenza coerente con la storia personale ed artistica del protagonista.

Il primo incontro di Elvis con la musica è una epifania maestosa: il risultato di un’estasi mistica, una chiamata verso il sacro, il ritrovamento di un’anima e del suo “daimon”, con una danza estatica afroamericana in cui gospel, country, rock, rockabilly, si mescolano grazie alla sua voce e al suo ancheggiare perverso ed erotico.

La rivoluzione culturale che ha innescato la presenza di Elvis sulla scena dell’arte mondiale passa per tematiche di matrice sociale, sessuale, razziale, oltre che naturalmente musicale. L’ascesa e la discesa di un uomo e la nascita di un mito immortale che nell’immaginario collettivo è la matrice di uno stile, oltre che di un genere. E Luhrmann lo sottolinea, lo evidenzia in ogni scena, persino nelle più drammatiche, in un carillon di colori, di sfarzi, di luccichii che accecano lo spettatore ma non lo incantano. C’è, nella voce del Colonnello, la continua sentinella del baratro, il prodromo del exitus, l’inevitabile epilogo per rendere tale il mito. E poco importa se nella scintillante carrozzeria di una cadillac rosa si ha l’impressione di essere felici. Quello che si manifesta come realizzazione di un’ambizione è forse, a volte, il riflesso di chi è il fruitore del talento rivoluzionario di un artista iconico: il disperato bisogno di esprimere e dissetarsi dell’amore del pubblico. Tanto da morirne.

 

Valeria Volpini

Hill of Vision

Venerdì 10 Giugno 2022 13:13 Pubblicato in Recensioni

Dagli stracci alla ricerca: l' incredibile vicenda umana che vede protagonista lo scienziato di origini italiane Mario Capecchi premio Nobel per la medicina nel 2007.
Il film di Roberto Faenza è un inno al coraggio, alla determinazione, alla resilienza e alla speranza nel futuro a prescindere dalle condizioni di partenza. La pellicola si sofferma su un arco temporale ristretto:  le peripezie, i dolori e le sofferenze patite da questo bambino (interpretato in modo egregio da Lorenzo Ciamei) dai quattro agli undici anni nel periodo buio del nazifascismo in Italia. Figlio di Lucy una donna americana (Laura Haddock) costretta a separarsi da lui per salvarlo nascondendolo in montagna prima di essere catturata e deportata in un campo di concentramento e di Luciano (Francesco Montanari), italiano fascista e violento.
Il distacco lacerante dalla madre prima e il ripudio del padre poi, passando per una lunga serie di vicende dolorose,  fino all'insperato ricongiungimento materno dal quale avrà inizio una nuova vita. L' America lo accoglierà anch'essa al pari di una madre nella comunità quacchera Hill of Vision, dove vivono gli zii materni, determinanti per instradarlo sulla via dello studio e dell'impegno. Anche questi primi anni in una nuova patria non saranno semplici perché necessiteranno di adattamento, apprendimento di nuove regole, usi, costumi oltre ad un nuovo idioma e ancora ad un distacco che vede la madre dover ricorrere a cure per superare il trauma della deportazione.  La scena finale poetica che vede Mario reintegrato a scuola dopo un'espulsione, seduto all'ultimo banco (umile e dignitoso) ma abbracciato dalla madre che gli siede accanto, rappresenta il simbolo della rinascita che può essere vissuta da chiunque, quando si ha la volontà di lavorare su se stessi e si cerca di creare un mondo a misura di anime gentili e non più solo di cani arrabbiati. Il film anche se un po' troppo didascalico e con un montaggio che crea un ritmo altalenante fra parti più scorrevoli e parti decisamente meno incisive, ha il pregio di porre in luce una vicenda personale fuori dal comune. Un plauso anche alla scenografia con dettagli puntuali circa la ricostruzione degli ambienti che fanno da sfondo alle vicende (Francesco Frigeri) e ai costumi  (il premio Oscar Milena Canonero) rappresentativi e aderenti al contesto.  Un film che mette in luce la straordinaria vita di un uomo e regala fiducia e ottimismo in un periodo complesso come quello odierno.

Virna Castiglioni

Brividi d'autore al cinema per Maria Grazia Cucinotta.

Martedì 17 Maggio 2022 20:18 Pubblicato in News

È imminente l’arrivo nelle sale italiane e sulle principali piattaforme digitali Brividi d’autore, ritorno al grande schermo per il cineasta romano Pierfrancesco Campanella, recentemente riscoperto dai cinefili e assurto al ruolo di “autore di culto” grazie ai moderni sistemi di fruizione audiovisiva.

Brividi d’autore, tramite cui il regista di Bugie rosse e Cattive inclinazioni torna ad affrontare il thriller, suo genere preferito, rappresenta un modo originale di riproporre il film a episodi, in auge negli anni d’oro del cinema italiano, come testimoniarono esempi degli anni Sessanta quali il collettivo Tre passi nel delirio e I tre volti della paura di Mario Bava.
 

Tutti gli “ingredienti” di questo nuovo lavoro di Campanella sono legati alla problematica personalità della protagonista, una “strana” regista interpretata da Maria Grazia Cucinotta che tenta, con grandi difficoltà, di realizzare un film, in un sottile gioco di specchi riflessi dove realtà e fantasia vivono perennemente  in sconcertante simbiosi.
Le varie storie, apparentemente diverse tra loro per stile e contenuti, sostanzialmente hanno tutte il filo conduttore dell’alienazione e dell’incomunicabilità che sfocia in violenza prevalentemente sulle donne. Tematiche molto attuali oggi, in un XXI secolo in cui regna l’aggressività, a causa anche dell’uso sconsiderato che si fa dei social network; senza tralasciare i danni psicologici causati ultimamente dalle imposizioni dovute al Coronavirus, che ha finito ulteriormente per compromettere i rapporti umani  tra le persone.
Brividi d’autore è prodotto da Sergio De Angelis per Cinemusa srl e Cinedea srl e si avvale di un avvincente script elaborato da Lorenzo De Luca e dallo stesso Campanella. Oltre alla Cucinotta, fanno parte del cast del lungometraggio Franco OppiniEmy BergamoNicholas GalloAdolfo Margiotta e Chiara Campanella, con la speciale partecipazione di Sebastiano Somma. Da menzionare inoltre il ritorno davanti alla macchina da presa della sensuale e conturbante Gioia Scola, icona del cinema di genere degli anni Ottanta amata dai fan, tra l’altro, per Yuppies 2 e Sotto il vestito niente II. Si segnala infine un simpatico cameo da attore per il noto ingegnere informatico Paolo Reale, spesso opinionista televisivo nei più importanti talk show di cronaca nera.
La fotografia di Brividi d’autore è di Francesco Ciccone, il montaggio di Francesco Tellico, le musiche di Fabio Massimo Colasanti, le scenografie e i costumi di Laura Camia.
Non poco curiosa è location principale dell’opera: l’hotel Ospite inatteso a Montalto di Castro, di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Simonelli, nonché vero e proprio museo della Settima arte dove ha trascorso gli ultimi anni di vita lo storico produttore cinematografico Alfredo Bini, cui dobbiamo i maggiori capolavori di Pierpaolo Pasolini e di altri grandi maestri del cinema.