Sono tempi bui per la cultura italiana, tempi in cui, vicini a toccare il fondo, qualcosa deve necessariamente cambiare. La fine del 2010 segna a Roma un po' il momento della svolta, di una nuova energica alzata di testa da parte del mondo dei lavoratori dello spettacolo, uniti tutti dalla forte preoccupazione di vedere sempre maggiormente a rischio i loro posti di lavoro e le specifiche competenze individuali. Il 22 ottobre 2010 è una data importante perché viene dichiarato, a seguito di una lunga assemblea, sotto occupazione permanente, uno dei simboli della cultura cinematografica di Roma, la storica Casa del Cinema di Villa Borghese. A capo della protesta troviamo un collettivo nato dall'associazione di varie sigle, facenti capo al mondo dello spettacolo, che prende il nome di Tutti a Casa dal film di Luigi Comencini.
Vincitore del premio Limina 2011 come miglior testo italiano di studi universitari sul cinema, il libro di Andrea Minuz affronta la controversa questione dell'indicibilità dell'Olocausto e la sua rappresentazione al cinema; il genocidio degli ebrei è a tutti gli effetti parte di una memoria collettiva.
Minuz, docente di cinema presso la Sapienza di Roma, il DAMS di Bologna e l'Università del Molise, è già autore di saggi e monografie, tra cui Dell'incantamento. Hitchcock, Bergman, Fellini e il «motivo dello sguardo» (2009) e Friedrich Wilhelm Murnau. L'arte di evocare fantasmi (2010). In questo libro sviluppa un progetto di ricerca estremamente complesso che raccoglie le suggestioni di un pensiero contemporaneo orientato alla messa in discussione dei concetti di indicibilità e irrappresentabilità del genocidio (in particolare le teorie di estetica filosofica di Theodor Adorno, George Didi-Huberman, Pietro Montani, Jacques Rancière, Jean-Luc Nancy), in riferimento alle formule di finzione e modalità simulative del racconto cinematografico.