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13 volte RIFF

Venerdì 14 Marzo 2014 21:29 Pubblicato in News
 
Il cinema del vero passa prima al festival degli indipendenti Roma, presso il Nuovo Cinema Aquila, dal 16 al 23 marzo.
 
L’attrice Minnie Driver, protagonista dell’indie Return To Zero di Sean Hanish, storia di una difficile maternità, apre la 13esima edizione del Rome Independent Film Festival che prende il via il 16 marzo presso del Nuovo Cinema Aquila, per una settimana ricca di film e documentari “indipendenti” con numerose anteprime europee e mondiali.
Sei i film in gara per la sezione internazionale, sei i lunghi italiani, 20 documentari (di
cui otto stranieri): questi sono i numeri della selezione 2014.
 
Un caleidoscopio al femminile: la selezione dei lungometraggi stranieri propone in maniera quasi monotematica la figura della donna come principale protagonista. E’ “madre-figlia” in Nuwebe (diretto da Joseph Israel Laban), artista ribelle e angosciata in Paradise Cruise (Matan Guggenheim) e in Tempo Girl (Dominik Locher), problematica e sola in The Girl From The Wardrobe (Bodo Kox) e in Wounded (Fernando Franco).
 
I film italiani in concorso sono: The Stalker di Giorgio Amato sulla violenza alle donne e le commedie CUT del trio Riccardo Romboli, Giulio Valli, Nico di Lalla, Sogni di Gloria del Collettivo John Snellinberg, gli “ecologici” Ci vorrebbe un miracolo di Davide Minnella e La terra e il vento di Sebastian Maulucci e l’action noir The Sweepers di
Igor Maltagliati.
 
Molto interessante e varia la selezione dei cortometraggi internazionali e nazionali, alcuni dei quali vantano la presenza di volti noti del cinema e della tv, tra i quali, solo per citarne alcuni: Lorenza Indovina, Massimo Dapporto, Vinicio Marchioni, Sabrina Impacciatore, Federico Tocci, Cristiana Vaccaro, Giorgio Colangeli. Simone Cristicchi e Sergio Rubini.
 
Recente scoperta nei grandi festival italiani i documentari hanno da sempre costituito un’asse portante della produzione indipendente e per questo costantemente testimoniati dal RIFF.
 
Impegno sociale, ambiente, ma anche mafia e contrasto alle multinazionali sono questi alcuni dei temi affrontati nella sezione italiana dei documentari. Da segnalare “Another World”, di Thomas Torelli che propone un inedito modo di interpretare la realtà proponendo una riflessione sull’interconnessione esistente tra uomo e universo. Tematiche “eco” toccano “Wangki” di Joana de Freitas Ginori e Matteo Vieille Rivara, incentrato sulla battaglia quotidana del popolo Miskito per preservare
l’equilibrio tra uomo e natura e “Iriria – niña tierra” di CarmeloCamilli.
A 25 anni dalla sua morte, il regista Ambrogio Crespi riaccende la memoria sulla vicenda Tortora e sull’infame passerella mediatica che fu costretto a subire, con il suo “Enzo Tortora”. “Happy Goodyear”, di Elena Ganelli e Laura Pesino, propone una riflessione sulle multinazionali portando alla ribalta il caso dell’omonima fabbrica di pneumatici.
Distampo diverso il documentario di Eleonora Marino, “La bella Virginia al bagno”, un viaggio tra fiere, circhi, luna park e fiere mercantili di fine’800.  Non mancano i misteri italiani, di cui si occupa “Romagna Nostra, le mafie sbarcano in Riviera” di Francesco Ceccoli. Su Pierpaolo Pasolini si concentra “Un intellettuale in borgata” di Enzo de Camillis, con un’intervista a Gianni Borgna recentemente scomparso.
Chiudono la proposta 2014 Diversa Mente, un’esistenza outsider di Lorenzo Marinelli,
Dreaming About Burning Man di Gaia La Rouge, La piccola guerrigliera di Giancarlo Bocchi, Supermanz di Riccardo Papa.
 
Tra i titoli dei documentari esteri segnaliamo Desert Runners di Jennifer Steinman sui corridori dell’estremo; l’originale storia di riconversione urbana di Ruina di Markus Lenz; la “visita” in uno degli ambienti più riservati di tutto il mondo: una prigione afgana per le donne di No Burqas Behind Bars, diretto da Nima Sarvestani.
 
Sarà proprio un documentario a chiudere il festival. L’appuntamento per il Closing Night Film è con Temporary Road (una) vita di Franco Battiato diretto da Giuseppe Pollicelli e Mario Tani. Ospite della serata Franco Battiato.
 
Alcune importanti proiezioni del festival saranno ospitate su www.romefilmmarket.com, la nuova piattaforma dedicata alle pellicole indie provenienti da tutto il mondo promossa dal RIFF che vanta una ricca library
fra corti, lungometraggi e doc indipendenti. Sulla piattaforma, fuori concorso, sarà possibile visionare, tra le altre, le opere di Pierre-Yves Borgeaud “Viramundo-Un viaggio musicale con Gilberto Gil”; di Pino Quartullo “Io Donna” con Margherita Buy, Massimo Wertmuller, Sergio Rubini, Crescenza Guarnieri, Giampaolo Morelli; di Federico Greco “Nuit Ameruchèn” con Gianmarco Tognazzi, Regina Orioli, Fausto Sciarappa, Francesco Scimemi, Alberto Di Stasio; di Valentina Carnelutti “reCuiem”
con Teresa Saponangelo, Francesco Tricarico, Lydia Biondi, Flavio Palazzoli,
Irene Buonomo.
 
 
Al termine del Festival saranno assegnati i RIFF Awards per un valore di oltre 50.000 Euro.
 
Maggiori informazioni consultando www.riff.it

Spaghetti Story

Giovedì 27 Febbraio 2014 14:39 Pubblicato in Recensioni
Valerio è un aspirante attore di quasi trent’anni. Non riuscendo a sfondare nel mondo dello spettacolo, si guadagna da vivere come animatore alle feste di compleanno. Ma i soldi non bastano. Soggetto alle continue pressioni della fidanzata incinta e della sorella isterica, Valerio si improvvisa corriere della droga per il suo migliore amico Cristian, spacciatore bamboccione che vive ancora con la nonna. In un mondo a lui totalmente estraneo, il protagonista entrerà in contatto con la prostituta cinese Mei Mei e con il suo protettore Pechino. Tra Valerio e Mei Mei si stabilirà un legame che porterà il ragazzo a mettere in discussione la propria vita.
 
Un'abitudine poco sana ci porta da troppo tempo a trattare il cinema indipendente italiano come un'arte minore, di cui, nonostante i risultati, apprezziamo l’impegno.  Ma Spaghetti Story dei contenuti della cultura indipendente ha veramente poco a parte il budget ridotto (tutto il film è stato girato con una sola ottica!). Ogni cosa lo dimostra: dall’anonima colonna sonora post-rock, allo svolgimento dei temi trattati, che rasenta ambiziosamente il peggiore Virzì.
Eppure gran parte della critica, mossa da istanze terzomondiste, si ostina già a definire un cult l’opera prima di Ciro De Caro. 
Chi, tra i ritagli di giornale, l'ha definita una commedia pregna di dramma o piccola opera prima che resiste contro i giganti, inneggiando ad un nuovo miracolo del cinema italiano.
Ma quello di vedere una rinascita in ogni commedia popolare che non contenga rutti e peti è un vizio sempre più frequente nell’ultimo decennio.
Lo svolgimento è estremamente frammentario; nella prima metà ogni scena sembra uno sketch da youtubers che non fa ridere, in cui i personaggi coinvolti ricapitolano ossessivamente (come lo spiegone di una telenovela) il fatto che Valerio sia un immaturo fallito.
Ok, Valerio è un immaturo fallito. Fino a qui ci siamo. Invece di tirare fuori il fegato e prendersi cura della sua donna incinta, decide di salvare una prostituta cinese grassottella dal suo magnaccia Pechino. 
Imbarcata la prostituta su una zattera diretta in Spagna, Valerio dimostra di essere il maschio alfa del film e tutto si risolve. Fine.
I protagonisti cadono spaesati in un vortice inesorabile di macchiettismo stucchevole e stereotipato, riciclando i medesimi dialoghi nei medesimi intenti. 
 
Distaccandoci da qualsivoglia rigetto paternalista, possiamo constatare, senza troppa difficoltà, che Spaghetti Story non è più che l’ambizioso e un po’ grossolano tentativo di scimmiottare un prodotto generazionale mainstream con in tasca pochi spicci. Meccanismo invece tipico dei B-movie.
In poche parole, un Fausto Brizzi che costa meno. 
Il cinema underground è qualcos’altro e non potrebbe essere più altrove.
 
Angelo Santini
 

Pappi Corsicato. Tra arte, humor e surrealismo

Martedì 25 Febbraio 2014 12:48 Pubblicato in Interviste
 
Tra arte, humor e surrealismo. Pappi Corsicato, che negli anni novanta affiancava la regia di Pedro Almodovar, da allora suo mentore, ha continuato quello stesso percorso raccontando la realtà alla sua maniera visionaria. La quotidianità più comune, diventa dissacrazione popolare, mescolando mitologia e fantascienza. Sin dal primo lungometraggio Libera (1993) a I buchi neri (1995), adopera un linguaggio carico di simbolismi e rimandi pasoliniani. Fino ai più recenti Il seme della discordia (2008) e Il volto di un’altra (2012), nel quale sembra quasi non esserci una distinzione tra personaggio e manichino; chiari sono i rifacimenti ad Almodovar ed inevitabilmente a Truffaut, per il continuo defilè di gambe femminili, in entrambe le pellicole. Fumo e vari effetti evanescenti dissolvono le sequenze, marcando il forte gusto kitsch di ambienti e costumi.
L’attenzione ai minimi dettagli e le inquadrature strette su particolari imbarazzanti, favoriscono l’erotismo e le pulsioni sessuali di tutti i personaggi coinvolti. Nei suoi film sono ricorrenti tematiche tabù e infatuazioni, trattate con una spontaneità semplice e naturale, amalgamata nell’insieme a soggetti insoliti: dal prete gay al suono di “Angelitos Negros” in dialetto, a prostitute storpie, o mute che ansimano attraverso una canzone, dal venditore di fertilizzanti sterile, alla fioraia con orgasmo ritardato. E non mancano i voyeurismi, tipici della commedia sexy all’italiana. 
Corsicato, esplicitamente ritenuto “outsider” rispetto agli altri cineasti italiani, ha uno stile che si distingue dai contemporanei della scena nostrana. Uno stile non convenzionale, fatto di accostamenti improbabili che può non coinvolgere l’intero pubblico che affolla i multisala, ma un numero notevole di devoti al cinema d’autore.
 
Pappi Corsicato ha tenuto, nei giorni scorsi a Firenze, un laboratorio sui documentari artistici da lui realizzati e sull’arte in generale. L’ho incontrato per farmi raccontare il suo cinema.
 
 
Quanto ha inciso il fatto di aver lavorato con Almodovar, l’adottare uno stile surrealista/simbolista, genere poco usato in Italia ?
P.C. Non è stata una scelta premeditata, è avvenuto tutto in maniera naturale. Mi piace il surrealismo trattato e visto con ironia, vedere la realtà in maniera assurda e alterata.
Più che una effettiva narrazione dei fatti, quello che voglio mostrare, è il concetto inverosimile del reale, omettendo alcuni passaggi ed inserendone metafore. 
 
Da dove parte l’idea per i suoi film e documentari?
P.C. Mi ritengo un “citazionista”. Traggo ispirazione un po’ da tutto, dai libri e dalle storie, letture varie, se mi rimane impressa una frase o un’immagine, mi piace amplificare il suo significato, inserirla in un contesto, creandole attorno la trama di un film.
 
Nei suoi film, alcune immagini possono essere considerare delle allegorie?
P.C. Certo, è tutto basato su figure simboliche, elementi essenziali che esprimono un qualcosa di preciso nel contesto. Voglio che lo spettatore abbia suggestioni diverse dalle semplici immagini. Tutto può avere molteplici significati e diverse valenze.
 
La donna è spesso la figura centrale delle sue trame, che visione ha della donna?  
P.C. Ho sempre trovato interessanti i film con le donne come protagoniste, non per il loro aspetto o senso estetico, ma protagoniste di se stesse, per il loro essere, il loro agire. La donna ha varie sfaccettature, può mostrare il suo corpo ma può essere debole. E’ una figura complessa e cerco di rappresentarla anche nella sua fragilità, pur se è all’apparenza curata e forte.
 
Ha dei progetti in corso?
P.C. Per ora sono impegnato ad un altro documentario artistico, incentrato sulla figura di un grande artista e filmaker americano contemporaneo, Julian Schnabel. Egli è capace di usare più linguaggi di espressione: dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla regia, ed ha sempre altissimi risultati. Verrà girato per l’appunto negli Stati Uniti.
 
A proposito di Corsicato… 
nell’ultimo film partorito dai fratelli Coen, A proposito di Davis, c’è proprio un omaggio al regista napoletano. “Pappy Corsicatto” dà il nome al locale in cui Llewyn Davis, il protagonista, si esibisce!!!
 
 
Francesca Savoia

Smetto quando voglio

Martedì 25 Febbraio 2014 12:15 Pubblicato in Recensioni
In Italia tutti gli stupefacenti e le sostanze psicotrope sono iscritti in due tabelle che vengono aggiornate dal Ministero della Salute. Se una sostanza fa parte di almeno una di queste due tabelle è illegale. 
Sette ricercatori universitari senza contratto, frustrati dall’assenza di prospettive che si pone loro davanti, decidono di mettere a frutto le proprie conoscenze per creare (e vendere) una smart drug purissima e del tutto legale (non essendo presente nelle tabelle del Ministero).
Scordatevi i precari di Virzì e i film piagnoni sulla “generazione mille euro”. Nell’opera prima del salernitano Sydney Sibilia i molteplici riferimenti a icone della cultura contemporanea sono altri: dalla commedia all’italiana a Breaking Bad, passando poi per i Soliti Sospetti e The Snatch.  
La fotografia satura e allucinogena è legata rigorosamente alla materia del film: la droga e i suoi effetti di alterazione. 
Non è un caso se questo film viene realizzato mentre sono in atto dibattiti sulla legalizzazione della cannabis; quando quello stucchevole paternalismo tipicamente italiano viene messo a dura prova dalle condizioni in cui versa il Bel Paese.
Lo spettatore non riesce mai ad assumere una visione moralizzatrice sulle attività (criminose o meno) dei protagonisti, nemmeno quando qualcuno di loro si lascia prendere un po’ troppo la mano e la situazione degenera in un delirio esilarante. 
“Vendere droga ai ragazzini” è sempre stato uno dei tabù morali inviolabili nella nostra società, ma nonostante ciò, non possiamo fare a meno di tifare per la banda dei ricercatori, il cui unico modo per far parte del sistema è sovvertire il sistema stesso. 
La sola cosa che potrebbe lontanamente indignarci, invece, è il fatto che sette fra le migliori menti del paese siano costrette a impieghi di fortuna per stipendi da fame.
Lo stato di alterazione, di cui è costantemente pregna la fotografia, non è quindi solo quello psico-fisico dei clienti tossicomani di turno, ma quello di un’intera società drogata e in prossimità di un'overdose letale.
Smetto quando voglio, però, è una commedia priva di particolari ambizioni civili; il suo scopo non è quello di portare a galla i nostri più reconditi istinti sovversivi e qualunquisti contro il governo ladro e una casta di politici magnoni (vedi Viva l’Italia di Massimiliano Bruno). Il suo scopo rimane quello di far ridere. E ci riesce, grazie ai simpatici protagonisti, perfettamente in sintonia fra loro, e ai tempi piacevolmente dilatati che caratterizzano la prima metà del film. Molti di noi sono finiti per snobbare simili intenzioni, essendo abituati a una commedia popolare desolante, vestito su misura per il comico televisivo di turno, dilagata a macchia d’olio in Italia negli ultimi decenni. Smetto quando voglio ci dimostra invece che si può ridere al cinema senza essere dei totali decerebrati e senza votare Berlusconi.  
L’unico punto debole del film sembra essere il finale troppo affrettato e confuso. Qui Sibilia non sfrutta a pieno (anzi, non lo fa proprio per niente) il fattore suspance che caratterizza un certo cinema di genere, contaminazione verso la quale il film sembrava accostarsi.  
“Errore di gioventù”. 
 
Angelo Santini