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Perfetta Illusione

Mercoledì 07 Dicembre 2022 23:50

Perfetta illusione è un'analisi lucida e accurata, senza sconti, di una generazione di giovani ambiziosi che, per inseguire e cercare di raggiungere i propri obiettivi, è disposta a calpestare anche gli affetti più cari fino anche a spingersi a barattare il bene massimo per ognuno che è la libertà personale.
Toni (Giuseppe Maggio) è un semplice inserviente in una spa di un hotel ma sta per essere promosso responsabile. Per un gesto incauto,scoperto dalla persona sbagliata, questo traguardo sfuma per sempre. La vita però ha in serbo per lui un destino ancora più beffardo. Grazie all'aiuto della stessa persona che ha contribuito al suo primo fallimento lavorativo e, che sancirà anche quello umano, riuscirà a riscoprire la sua vera e unica passione che è la pittura. Il prezzo che sarà costretto a pagare per diventare artista ma, soprattutto per essere riconosciuto tale anche da chi fa parte da sempre di questo mondo, è altissimo. Pappi Corsicato mette in scena un triangolo costituito da tre solitudini che si servono gli uni degli altri solo ed unicamente per i loro biechi scopi. In questa storia intrisa di egoismo, cinismo e spregiudicatezza non si salva neanche l'amore, né quello tra Toni e la moglie Paola (Margherita Vicario) più interessata alla realizzazione professionale che familiare né quella fra Toni e Chiara (Carolina Sala) che assomiglia più ad un ricatto che ad uno scambio paritetico fra due persone affini. Anche l'amore genitoriale da questa disamina esce con le ossa rotte perché prevale la salvaguardia delle apparenze borghesi a scapito della giustizia e della morale. I dialoghi fra i personaggi sono ridotti all'essenziale e spesso si sceglie proprio di celarli, lasciando ai primi piani efficaci e alla colonna sonora riuscita, il compito di veicolare il messaggio di incompatibilità e di mancanza di ascolto empatico, come se le parole dette risultassero superflue se non proprio inutili proprio perché i fatti e i comportamenti di ciascun personaggio sono in netto contrasto con quanto detto a parole. Il finale rimane aperto e, come una porta che si spalanca sul mondo, si va alla ricerca di un altro senso, di un altro modo di vivere, di un'altra occasione di affermazione e riscatto. Un film intimista che mette in luce in modo sincero e diretto i sentimenti meno nobili che attraversano gli esseri umani e nel farlo non teme di risultare troppo severo nei giudizi.

Virna Castiglioni

Babylon

Giovedì 19 Gennaio 2023 12:58
Il film ripercorre la storia di Hollywood e si concentra sul passaggio topico dal muto al sonoro. Il regista Damien Chazelle già vincitore dell’Oscar per il precedente “La La Land” in questo nuovo lavoro coniuga la sua risaputa passione per la musica con una lunga e intensa dichiarazione d’affetto per il cinema nella sua interezza. La sequenza finale è un inchino di ringraziamento sentito al mondo della celluloide che ha il potere ipnotico di attrarre, rapire e portare con sé in mondi paralleli  dai quali si può solo tornare sempre arricchiti e qualche volta anche trasformati, chiunque si avvicini. E’ la magia, è il sogno, è la mission dell’industria cinematografica che si trasforma , evolve, cambia pelle e nel contempo esalta e distrugge carriere e con esse le vite di chi le incarna, senza remore e rimorsi, al solo fine di stupire e sorprendere. Babylon è un film corale, popolato da una moltitudine di personaggi, fra i quali emergono come giganti Jack Conrad interpretato da Brad Pitt  e Nellie laRoy impersonificata da Margot Robbie. Un attore all’apice del successo ma in difficoltà nella gestione del cambiamento che lo show business impone il primo, una donna dalla smodata ambizione che cerca di farsi riconoscere star, lei che ci si sente dalla nascita, la seconda. In mezzo a loro un Diego Calva che colora il tuttofare Manny che sgomita alla ricerca ossessiva di un posto al sole sul set per riuscire a far parte di qualcosa di più grande.
 
Per tutti la parabola è la stessa. L’unico a riuscire a spezzare questa perversa catena e ad allontanarsi in tempo prima della fine certa è proprio Manny. Il cinema però è una calamita che lo riporterà indietro nel tempo e, attraverso i ricordi personali, si dispiegheranno anche, in una lunga sequenza di grande tecnica visiva che ricorda un pò il finale del nostrano capolavoro di Tornatore “Nuovo cinema Paradiso”, frames e spezzoni che hanno fatto la storia e hanno decretato il successo imperituro della settima arte. Il mondo del cinema nelle sue continue trasformazioni, capace di rinnovarsi costantemente per mettere in scena uno spettacolo sempre nuovo è il protagonista assoluto di Babylon.
 
Babylon, proprio come Babele, rea di essersi macchiata del peccato di hybris osando innalzare una costruzione che raggiungesse il cielo e pertanto punita da Dio e retrocessa a luogo perduto in cui regna solo confusione, è la metafora perfetta per la rappresentazione iconica dell’industria filmica sempre in bilico fra la promessa di una messa in scena ammaliante e i retroscena squallidi che le sono intrinsechi. Un film ambizioso che è un piacere guardare perché è maniacalmente confezionato ma che ha il solo difetto di non approfondire le storie umane che racconta. È tutto in funzione della rappresentazione scenica e la dimensione umana e psicologica dei personaggi rimane troppo in superficie.
 
Il film decisamente troppo lungo e a tratti ridondante mostra dietro la facciata pulita e profumata anche il retro bottega dove regnano sporcizia, fango, sudore, sangue, vomito, sesso, droga e ogni sorta di marciume.
 
Le scene dissolute, disturbanti sono un tripudio di dettagli dove nulla è lasciato al caso e sbattono in faccia allo spettatore il lato oscuro e torbido di un mondo all’apparenza fatto solo di luci sfavillanti. Questa città di carta che riproduce storie ha due facce e se la prima è scintillante la seconda è decisamente tetra.
 
La colonna sonora firmata ancora una volta da Oscar Justin Hirzwitz neovincitore del Golden Globe è una dama gentile che sorregge e accompagna con passo sicuro una visione incredibile, un mosaico composto da milioni di tessere incastrate alla perfezione per regalare al pubblico un disegno maestoso che lascia a bocca aperta.
 
Damien Chazelle, scena dopo scena, costruisce uno spettacolo pirotecnico strabiliante e staglia il suo Babylon come una cometa che passa veloce ad illuminare il cielo buio dell’esistenza terrena regalando l’illusione che si possano vivere vite diverse accompagnate da esperienze differenti.
 
Babylon è anche un meraviglioso viaggio a ritroso per capire meglio il presente attraverso un caleidoscopico ritratto di un’epoca, l’età d’oro della filmografia d’oltreoceano dove era tutto nuovo, sperimentale, innovativo, libero e potente.
 
Virna Castiglioni

I tre moschettieri

Venerdì 17 Marzo 2023 20:02
Il film, adattamento cinematografico del celeberrimo romanzo di Alexander Dumas, ci parla dei tre moschettieri partendo da colui che ne diventerà, in breve tempo, il quarto.
 
La pellicola fa parte di un dittico e dopo D’Artagnan la seconda parte, prevista in uscita a dicembre, si concentrerà sulla figura della perfida Milady de Winter.
 
D’Artagnan, un giovane originario della regione della Guascogna, giunge a Parigi per inseguire il sogno di diventare anch’egli un servitore fedele del Re Luigi XIII rimanendo già da subito coinvolto in congiure, tradimenti, intrighi di palazzo, e anche preda dell’arco di cupido cedendo al fascino misterioso di Constance, confidente intima della Regina.
 
La storia è arcinota:  Porthos, Athos e Aramis sono i tre moschettieri fidati del Re. Al trio si unisce D’Artagnan e insieme riescono a sventare il piano ordito dal Cardinale Richelieu che cerca di acquisire potere smascherando il tradimento della regina consorte consumato con il duca di Buckingham. La destrezza del giovane D’Artagnan contribuirà a sventare questo piano e, grazie al suo coraggio e alle sue doti in battaglia, sarà ufficialmente proclamato moschettiere.
 
Le scene migliori sono sicuramente quelle che riprendono i molteplici combattimenti e i numerosi duelli. La macchina da presa segue vorticosamente i personaggi coinvolti ed è talmente veloce nello spostarsi da un contendente all’altro da catturare lo spettatore come se lo invitasse a prendere parte attiva alla tenzone in essere.
 
Avvincenti gli inseguimenti, i pedinamenti, le corse tra la folla, le cavalcate.
 
La sceneggiatura invece si fa più fragile quando c’è meno azione. Assistiamo ad un ballo in maschera dove le sorti vengono ribaltate in pochissimo tempo in beffa all’astuzia e al colpo di scena plateale. Anche quando il tradimento potrebbe essere scoperto e porterebbe ad un ribaltamento eclatante le scene non riescono ad incastrarsi alla perfezione per ricreare il climax necessario affinché si crei la giusta suspense e lo spettatore rimanga, per il giusto tempo, con il fiato sospeso.
 
Il film è nella sostanza un piacevole polpettone che viaggia come un treno e non annoia ma nemmeno entusiasma. E’ tutto molto prevedibile financo la scena finale che deve creare un collegamento con il già annunciato sequel. Un film  di cappe e spade che non fa rimpiangere il passato del genere perché c’è molta cura nei dettagli e il cast scelto è all’altezza dell’interpretazione dei personaggi storici ma che non brilla, rimanendo comunque un gradevole film di intrattenimento adatto ad ogni età, soprattutto per i bambini che si potranno immedesimare nel giovane Charles e nei suoi sogni di gloria.
 
Virna Castiglioni

Houria - la voce della libertà

Mercoledì 21 Giugno 2023 17:43

Houria - la voce della libertà è un film fortemente incentrato sulla figura della giovane protagonista ben caratterizzata da una sceneggiatura attenta e ben interpretata dall’attrice Lyna Khoudri molto espressiva e intensa. Houria è anche un film corale perché la lotta per continuare a danzare di questa ragazza temeraria è anche la lotta di tutte le donne per l’emancipazione e la libertà personali. L’ Algeria dove è ambientato il racconto considera ancora il genere femminile una propaggine dell’uomo e non consente loro un’autonomia completa.

Il fil rouge che percorre tutta la pellicola è la danza. Questa disciplina introduce la figura di questa ballerina con un assolo sulla terrazza baciata da un tramonto infuocato fino alla scena finale che ci regala una moderna coreografia di gruppo per la commemorazione dell’amica del cuore che ha trovato la morte nella speranza di raggiungere  l’Europa e vivere all’occidentale da donna libera di scegliere il proprio destino.

Le condizioni socio-politiche del Paese nel quale la storia è ambientata non fanno solo da sfondo alle vicende personali narrate ma sono un tema centrale. Un regime oppressivo e maschilista che copre i criminali anziché perseguirli.  Proprio un’aggressione subita da Houria sarà lo spartiacque tra una vita precedente fatta di grandi sogni e una nuova vita che sarà all’insegna di una costruzione diversa relativamente al suo desiderio di danzare. I problemi fisici conseguenti alla brutale aggressione le impediranno di proseguire la carriera da danzatrice professionista e le toglieranno anche l’uso della parola. Da questo punto in poi sarà la danza a parlare per lei e per tutte le altre donne vittime di violenze e al suo posto griderà il dissenso e sancirà il riscatto. Un gesto violento e meschino non sarà in grado di piegare questo giovane virgulto di donna ma le infonderà un nuovo coraggio. La sua amica alla vigilia della partenza le dice proprio “non è la fine del viaggio ma è l’inizio di una nuova vita”.

La regia, attraverso uso sapiente della fotografia e una colonna sonora che richiama motivetti di musica leggera italiana, crea uno spaccato tra la positività delle scene di danza e la cupezza delle scene ambientate di notte, in vicoli scuri, in luoghi di degrado e in situazioni di illegalità dove si cerca un modo per andare avanti da sole senza l’aiuto di alcuno. Houria scommette somme di denaro in combattimenti clandestini fra arieti che, per ironia hanno il nome di potenti della terra, per poter acquistare un auto nuova alla madre.

Un film duro ma mai negativo tout court perché permeato di coraggio e forza di volontà. Nessuno e niente potrà spegnere il sorriso sul volto di chi ha deciso di non arrendersi mai. Un film che non brilla per originalità ma che è ben diretto e molto ben interpretato e infonde speranza allo spettatore che non può non rimanere affascinato dalla grazia e dalla bellezza di chi risponde con il sorriso alle ingiustizie e cerca con il suo operato di essere per gli altri quel raggio di sole che illumina anche il destino più buio.

 

Virna Castiglioni

Piggy

Mercoledì 05 Luglio 2023 15:41

Sembrerebbe una classica storia di bullismo declinata tutta al femminile, con una ragazza adolescente in sovrappeso (Sara) presa di mira e additata con l’appellativo di "Miss Bacon" e altri epiteti poco gentili, tutti riferiti alla sua stazza imponente e correlati all’attività lavorativa di famiglia che gestisce una macelleria.
Nemmeno cercando la solitudine e, sforzandosi di rimanere a debita distanza dal branco, questa ragazza riesce a sfuggire alle vessazioni che le sue aguzzine (tre ragazze coetanee tra le quali una sua amichetta d'infanzia) le infliggono ogni qual volta si presenta l’occasione.
Sembra destinata a soccombere sempre, fino a quando interviene in suo favore
qualcuno d’inaspettato.
L’ingresso in scena di questo giovane uomo, anch’egli complessato e problematico ma per altre ragioni, sposta completamente il focus della narrazione e il film acquista, nella mani della brava regista, una veste prettamente thriller/noir.
Questo cambio di registro ad alto tasso adrenalinico introduce anche il tema splatter che da questo momento prende decisamente il sopravvento. D'ora in poi la violenza da verbale e psicologica si fa sempre più fisica e si assiste ad una vera e propria mattanza dove le vittime, questa volta, sono le precedenti carnefici in una legge del contrappasso che non lascia scampo.
Il finale, ancora una volta, spiazza lo spettatore.
La conclusione scontata di una vendetta, sebbene ad infliggerla sia un terzo personaggio che cerca un modo per farsi giustizia da sè e rendere un favore a chi ritiene meriti una vita migliore anche perché esercita un certo ascendente su di lui, non si realizza.
Invece si assiste ad un altro cambio di prospettiva e la vittima non diventa a sua volta aguzzino ma dimostra maturità e ragionevolezza.
Agisce con la testa e fa l’unica cosa possibile per non scendere all’infimo livello dal quale si era partiti.
L'ultima scena è un lungo piano sequenza che accompagna la protagonista, alla quale ci si è inevitabilmente affezionati, verso la salvezza, lontano dal sangue che ha l’ha completamente intrisa facendolo scorrere a fiumi senza che ce ne fosse un valido motivo. Assistiamo ad un escalation di violenza che sembra non avere mai fine e che termina grazie all’intelligenza di chi sceglie di non abbassarsi al livello di chi non ha altri argomenti per reagire ai soprusi.
Un film che parla di bullismo ma che non annoia e non appare mai banale grazie ad un mix vincente di più generi che vengono sviscerati con maestria. La regia crea la giusta suspence, tiene sulla corda, incuriosisce e dimostra in modo originale quali soluzioni siano quelle vincenti per far
desistere i prepotenti.
Si avvale di una fotografia molto realistica, utilizza inquadrature efficaci ad immedesimarsi con il punto di vista dei vari personaggi, si serve di una colonna sonora che sottolinea bene i momenti tensivi e suggella il tutto con un montaggio veloce che tralascia il superfluo.
Il film poi, ed è la cosa più importante, veicola in maniera chiara e netta un bel messaggio: le persone bullizzate che non commettono gli stessi errori dei bulli, rimanendo superiori nelle intenzioni e nei fatti, fa di loro le uniche vere persone vincenti.

Virna Castiglioni

Io Capitano

Giovedì 07 Settembre 2023 16:04
Matteo Garrone nel suo “Io Capitano” affronta il tema caldo e, purtroppo sempre attuale, dell’emigrazione dal territorio Africano verso la ricca e sicura Europa.
 
Nello specifico siamo in Senegal dove vivono Seydou e Moussa, due cugini coetanei e molto legati fra loro che per inseguire i sogni di gloria e successo tipici di tutti gli adolescenti del mondo, si impegnano in qualsiasi lavoro capiti loro pur di mettere da parte un cospicuo gruzzolo di denaro che consenta di comprare il biglietto per il viaggio tanto agognato.
 
A costo di preservare questa possibilità, osteggiata dalle famiglie e scoraggiata da chi in passato ha già intrapreso questo viaggio foriero di pericoli, i due ragazzi custodiscono nel loro animo questo segreto.
 
In questo film non c’è nulla di retorico e Garrone è estremamente abile nell’impostazione generale del racconto che tiene lo spettatore concentrato sulle molteplici azioni, peripezie, sfortune in cui si imbattono i due giovani protagonisti nella loro personale Odissea alla ricerca di una Eldorado.
 
Quando il viaggio ha inizio tutto cambia e la narrazione, incentrata sulla solida amicizia fraterna e impregnata di sogni di riscatto, cede il passo a toni che si fanno via via più cupi, i colori sbiadiscono, i dialoghi diventano sempre più stringati fino a lasciare risuonare nel deserto che si trovano ad attraversare un unico grido di aiuto che riecheggerà a lungo nella coscienza di chi ha avuto la fortuna di salvarsi.
 
“Aidez-moi”, scandito come un mantra, riesce a raggiungere solo l’animo sensibile di chi ancora conserva nel cuore quell’innocenza che è indispensabile per non smarrire la rotta.
 
Il regista non prende mai posizione ma lascia parlare le meravigliose immagini affidate alla sapiente fotografia di Paolo Carnera.
 
Siamo raggiunti da un fortissimo “j’accuse” che scaturisce esclusivamente da quello che viene mostrato nella sua asciutta crudezza.
 
Le torture, i soprusi, i pericoli, le vessazioni, le ruberie, le umiliazioni e l’assenza totale di pietas ci puntano il dito contro e ci ricordano che il mondo intero non riesce da troppo tempo a individuare il bandolo che possa sbrogliare la matassa nella quale si perdono vite preziose di uomini, donne e perfino bambini innocenti.
 
Nel film le immagini hanno una potenza deflagrante e sono il terzo vero protagonista. Sono avvolgenti e non ci consentono di distogliere lo sguardo, nemmeno per un attimo.
 
La scena finale è la chiusa perfetta per un’opera che ha il potere di svegliare le coscienze al pari di una doccia fredda. Garrone ci consegna un ritratto potente di cosa significhi essere spinti dalla disperazione e dalla costante paura di non riuscire a raggiungere la salvezza che si staglia, come un miraggio, placida davanti agli occhi.
 
“Io Capitano” non è un film strappalacrime ma anzi cerca di attenersi il più possibile ai fatti facendo parlare le azioni cercando di lasciarlo scevro da patetismi, retorica, politica e polemica. Solo alla fine anche lo spettatore abbandona attenzione e concentrazione e si lascia investire da un tumulto di emozioni che gli fanno versare, copiose, tutte le lacrime trattenute in precedenza.
 
I titoli di coda che congedano il pubblico sono un altro gioiello e ci riportano alle tappe salienti del viaggio e come tele preziose lo rendono ancora più magico.
 
Il cast di attori brilla per naturalezza e spontaneità. I protagonisti regalano personaggi di forza e coraggio ma con i loro sorrisi guasconi e simpatici trascinano tutti dalla loro parte senza se e senza ma.
 
La vera forza del film è proprio quella di raccontare un dramma, riuscendo a non scalfire la magia di un’esperienza anche formativa. Seydou e Moussa abbandonano per sempre la fanciullezza spensierata per gettarsi a capofitto nel mare in tempesta dell’età adulta, rimanendo puri e, soprattutto, senza farsi duri e mai carnefici con il prossimo.
 
David Siena 

Felicita'

Domenica 17 Settembre 2023 17:16

Felicità è un miraggio, un’aspirazione, una chimera, un obiettivo, un traguardo ma ha così tante facce e si sposta con fulminea velocità che non è facile individuare cosa sia e nemmeno afferrarla per tenerla con sé il più a lungo possibile.

Desiré è una acconciatrice che lavora come assistente sui set cinematografici e ha alle spalle una vita difficile all’interno della famiglia problematica e disfunzionale che le è toccata in sorte.

Non ha mai ricevuto incoraggiamenti e supporto ma anzi viene ritenuta da entrambi i genitori una donna stupida che ha solo la dote di essere una lavoratrice indefessa che risparmia il più possibile e alla quale poter chiedere soldi, senza alcuna remora o imbarazzo, ogni qual volta capiti qualcosa a cui far fronte.

Desiré non ha altre aspirazioni che quella di essere felice accanto agli affetti più cari. Vive una storia d’amore con un professore più grande di lei ma è solo apparenza, un castello di carte troppo fragile.

Micaela Ramazzotti, anche regista di questo lungometraggio, si ritaglia e cuce addosso un personaggio perfettamente nelle sue corde, la sua Desirè (con l’accento) ha molteplici sfaccettature e ognuna di queste è messa in luce da una interpretazione senza sbavature, sempre centrata, mai sopra le righe. Micaela dona al suo personaggio tutto quello che le serve per essere funzionale al racconto e per far sì che lo spettatore si immedesimi con questa donna bella, gentile, generosa e disponibile con tutti nonostante riceva solo umiliazioni, angherie, molestie e sia costantemente manipolata da chi dovrebbe invece proteggerla e amarla.

L’unico affetto sincero e puro risiede nel rapporto con Claudio, il fratello minore rimasto a vivere con i genitori e in preda a crisi depressive violente che gli impediscono di ribellarsi all’amore soffocante dei genitori, che lo trattano come un minorato impedendogli di emanciparsi e spiccare il volo da quel nido così opprimente. Micaela Ramazzotti ci racconta un microcosmo familiare ristretto e asfittico fatto di piccoli soprusi perpetrati da genitori gretti che non sanno donare amore nel modo giusto ma costringono i figli ad accettare situazioni scomode e anche pericolose pur di scansare problemi e vivere egoisticamente le loro giornate fatte di niente.

La madre (una perfetta Anna Galiena) rancorosa della carriera della figlia che, a parer suo, ha contribuito a creare, le recrimina anche di essere uscita dal nucleo familiare troppo presto lasciandola sola mentre il padre (un Max Tortora che ci regala una performance molto colorita) si crede uno show-man incompreso e insegue sogni di gloria nelle piccole tv private accettando anche di scendere a squallidi compromessi sessuali pur di avere uno spazio tutto suo. In questo contesto la figura di Desiré appare un angelo biondo tra demoni neri e, sebbene porti sulle spalle tanti e troppi dolori, non perde mai la sua ingenua e infantile bontà e la sua generosa disponibilità che le consentono di intervenire sempre in maniera forte e decisa per salvare chi ama. Non si arrende e ne avrebbe tutte le ragioni ma, come una leonessa, travestita da pulcino bagnato, cerca di difendere chi non può farlo da solo.

L’unica pecca del film è il trascinamento di un finale che avrebbe potuto arrivare prima e invece, come se tutto il marcio che si è visto non fosse ancora sufficiente, si scava ancora più nel profondo come a voler dire che i dolori vanno vissuti tutti fino in fondo senza sconti e solo alla fine, forse, si ha diritto ad avere un premio per gli sforzi fatti.

Il congedo, finalmente, è rassicurante. Lasciamo Desirè sempre scarmigliata e trafelata eppure bellissima mentre il suo specchio è un fratello che invece appare guarito e in procinto di affrontare da solo il mondo esterno. I meravigliosi occhi di ghiaccio di Claudio (intepretato dal bravo Matteo Olivetti) non sono più vuoti ma finalmente vividi, il suo sorriso è ora spontaneo e non più acceso dietro comando, i capelli non son più quelli acconciati secondo il gusto della madre e tutto acquista il sapore di un riscatto e di un nuovo inizio che lo spettatore si augura sia duraturo e fulgido per entrambi.

Micaela Ramazzotti confeziona un ritratto impietoso di una famiglia meschina, indagando anche il tema delicato della malattia mentale, calando il tutto in un contesto periferico ricostruito negli scenari, nei costumi e nell'uso del parlato in modo dettagliato.
Si avvale della bella fotografia di Luca Bigazzi, del montaggio efficace di Jacopo Quadri che rende tutto fluido e scorrevole e una colonna sonora confezionata da Carlo Virzì che sottolinea sia le parti più cupe e tensive che quelle più leggere e grottesche in modo puntuale.
Una prima prova registica che viene superata a pieni voti. Presentato nella sezione Orizzonti Extra all' ultima edizione del Festival di Venezia ha vinto meritatamente il premio degli spettatori Armani beauty.

David Siena 

Sick of Myself

Domenica 24 Settembre 2023 15:14
Fino a che punto ci si può spingere per ottenere attenzione ed essere considerati dagli altri come noi vorremmo ma soprattutto come riteniamo sia giusto per la nostra storia e il nostro vissuto? “Sick of myself”, nuovo lungometraggio del regista norvegese Kristoffer Borgli, presentato nella sezione “Un certain Regard” al Festival di Cannes del 2022 affronta questa tematica e lo fa in modo irriverente e politicamente scorretto. Thomas e Signe sono una giovane coppia in cerca della propria strada nel mondo. Per farlo sono disposti a tutto. Signe anche a rimetterci la salute. Attraverso tentativi maldestri, strategie balzane, si arriva sempre ad esiti grotteschi e per nulla edificanti. Il loro imperativo categorico è quello di spingersi sempre oltre e soprattutto cercare di colpire l’attenzione degli altri per avere riconoscimenti e sentirsi vincenti in una società che ha sempre più bisogno di inclusività e di storie forti da gettare in pasto all’opinione pubblica.
 
In una personale e strampalata scala di valori entrambi cercano in tutti i modi di far parlare di sé, non importa con quali e quanti mezzi, soprattutto se illeciti e proibiti dalla morale comune. Il fine giustifica i mezzi sempre e comunque per questa coppia di drogati di consenso. Non importa, quindi, se per avere una casa con complementi d’arredo di designer famosi e più in auge l’unica soluzione sia quella di derubare negozi, allestimenti, eventi ai quali ci si imbuca esclusivamente per compiere queste infantili scorribande. Nello stesso modo ogni mezzo è consentito per appropriarsi di bottiglie costose di vino che verranno poi offerte alla cerchia di amici vantandosi dell’impresa compiuta come se si trattasse di una bella azione di cui andare fieri. Un film che incastra come un puzzle vari generi (body horror, grottesco, drammatico, black comedy) per indagare un tema complesso e sempre più urgente nella società attuale dove la forma sembra aver soppiantato la sostanza e dove basta diventare vittime di qualcosa per ottenere consenso e approvazione.  Un gioco pericoloso che spinge chi non è sano ed equilibrato a percorrere un crinale di deriva morale che non ha freni inibitori e conduce sempre ad esiti infausti.
 
La protagonista, interpretata da una superlativa Kristine Kujath Thorp, muta in continuazione atteggiamento, assecondando gli eventi che si manifestano per trarne vantaggio o semplicemente per evitare che il castello di bugie costruito con meticolosa cura crolli all’improvviso schiacciandola sotto il peso delle sue atroci responsabilità.
 
In una escalation che sembra non aver mai fine si assiste ad un peggioramento fisico voluto, cercato con acribia e nascosto con tenacia il più a lungo possibile. Un atto autolesionistico che non teme le conseguenze perché il fine che si prefigge nella mente disturbata di chi lo pone in atto risulta essere più appetibile della vita stessa, che non sembra degna di essere vissuta se non lo è sotto i riflettori e alla mercè di tutti. Una ricerca spasmodica di successo e visibilità che non è avvalorata dal minimo contenuto.
 
Attraverso la trasformazione fisica della protagonista femminile, resa verosimile da un trucco speciale di pregevole fattura, il regista ci ricorda che non basta cercare di ingannare gli altri per avere un ritorno positivo perché si finisce sempre e solo per ingannare se stessi ottenendo in cambio di sopportarne le conseguenze deleterie per il resto dei propri giorni.
 
Un film che esaspera i toni, dalle dinamiche estreme, assurdo, al limite della credibilità ma che instilla nello spettatore il dubbio che la realtà non sia poi così tanto lontana e basti poco perché questa ricerca affannosa di approvazione costante diventi l’unico scopo di vita e scavalchi sentimenti e progetti fino ad arrivare a mettere a rischio la propria incolumità.
 
Un aspetto che sembra essere centrale all’inizio della pellicola ma che piano piano si eclissa per lasciare posto quasi soltanto alla malattia fisica della protagonista che fagocita tutto il resto è la dinamica di coppia. Avrebbe meritato uno sviluppo maggiore e un approfondimento che invece rimane un po' a latere di tutta la vicenda dando, a tratti, l'impressione che il racconto deragli per la tangente.
 
Virna Castiglioni

La verita' secondo Maureen K.

Domenica 24 Settembre 2023 15:19
Una donna al potere, nella società attuale, può rimanere solo se non crea disordine e se non arreca disturbo. Invece Maureen Kearney è tutt’altro che disposta a soprassedere quando scopre un accordo portato avanti in gran segreto da un alto dirigente della compagnia per cui lei riveste il ruolo scomodo di sindacalista. Pur di difendere i posti di lavoro, messi in serio pericolo da decisioni politiche scellerate, cerca in ogni modo di bloccare questo disegno oscuro trascinando la sua stessa vita e quella di chi le sta accanto in un tunnel dal quale uscire diventa sempre più tortuoso e complicato con il passare del tempo.
 
 
Aggredita in casa sua, al mattino quando è sola, viene seviziata e vilipesa. Legata mani e piedi, con la bocca chiusa dal nastro adesivo, con un coltello infilato nelle parti intime e una A, che riporta al nome dell’azienda per la quale lavora, incisa con un coltello sul ventre.
 
Dopo il ritrovamento da parte della collaboratrice domestica seguono vere e proprie umiliazioni inflitte da investigatori che conducono le indagini in maniera poco approfondita ma soprattutto svincolata da condizionamenti e che vedranno imboccare una direzione contraria alla verità dei fatti facendo passare questa donna da vittima a principale indiziata.
 
La giustizia non giusta può essere una macchina che si inceppa, gira a vuoto e alla fine ingrana una pericolosa retromarcia e investe di nuovo chi quella giustizia dovrebbe averla dalla sua parte senza se e senza ma.
 
Il film, dal classico impianto giallistico, si regge quasi totalmente sull’interpretazione perfetta di Isabelle Huppert. Questa attrice navigata incarna, con naturalezza, il personaggio di questa donna forte, risoluta, combattiva ma anche fragile ed esposta, giudicata per i suoi comportamenti poco ortodossi ma anche per il suo passato e per le sue scelte anticonformiste e libere. La sua recitazione è magnetica, gesti, modi di fare, espressioni: tutto studiato nei minimi dettagli e molto efficace per la narrazione.
 
La vicenda così paradossale parrebbe inventata. Invece, il film prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto, raccontato nel libro “La Syndicaliste” di Caroline Michel-Aguirre.
 
La regia, ed è un peccato, non riesce fino in fondo a creare la giusta suspence, non si giunge mai ad un consono livello di tensione, non si è catturati dal procedere degli eventi in modo totalizzante ma anzi il racconto procede in modo alquanto prevedibile e anche il colpo di scena del ribaltamento processuale viene presentato con poca enfasi e si è quasi sollevati per l’interruzione di una linearità presentata in modo troppo scontato.
 
Un film senza particolari guizzi, forse troppo classicheggiante nell’impianto e che si lascia guardare senza quel coinvolgimento completo che una vicenda reale, di tale gravità, avrebbe maggiormente meritato.
 
Virna Castiglioni

Dogman

Martedì 12 Settembre 2023 13:18

Il film di Besson si apre con una citazione poetica che racchiude il senso di tutta la pellicola. "Ovunque ci sia un infelice Dio gli invia un cane".
In questa storia drammatica, infatti, gli unici soccorritori, compagni fedeli che non tradiscono mai, sono proprio gli animali.
Douglas è un bambino sensibile che vive con un padre e un fratello maggiore violenti e una madre troppo debole, incapace di opporsi e costretta essa stessa alla fuga per salvarsi.
I cani che, per il padre orco e il fratello maggiore sono solo motivo di affari, diventano invece per Douglas l'unico aiuto per rimanere in vita. Gli unici angeli custodi di un'esistenza che di umano ha davvero ben poco. Costretto dalla cieca violenza di un genitore disturbato e anaffettivo a convivere nella gabbia insieme a una muta di cani saprà amarli e venire amato da loro al suo grado massimo. Nel momento dell'estremo pericolo saranno i soli ad intervenire e a cambiarne le sorti. Grazie all'intervento dei fedeli amici a quattro zampe per Douglas inizierà una nuova vita libera ma ugualmente costretta e limitata.
L'attore protagonista (uno strepitoso, convincente e credibile Caleb Landry Jones) offre un'interpretazione intensa e commovente di un personaggio ai margini, con un doloroso passato e un complicato presente, alla ricerca di un briciolo di amore che possa riequilibrare le sorti di un'infanzia violata, calpestata, umiliata e mutilata sotto ogni aspetto.
Un lavoro interessante viene eseguito sulle musiche e la colonna sonora firmata da Eric Serra che accompagna i momenti topici e le tappe salienti della pellicola. I brani scelti sottolineano, in maniera incisiva, gli stati d'animo che scaturiscono dalle azioni che compiono i personaggi. Besson con "Dogman" torna in grande spolvero presentando una favola nera con un assoluto attore fuoriclasse istrionico e camaleontico.
Nello sviluppo della trama sono ben calibrati i molteplici flashback, ben posizionate le parti di pura azione e si arriva ad una conclusione potente e di grande afflato emotivo. Il racconto appare in tutte le parti avvincente e, sebbene non sia sempre credibile per eccessi e forzature soprattutto quando a recitare sono i tanti cani presenti sulla scena, il grande pregio è quello di tenere incollati allo schermo per constatare che alla fine tutto si incastra e gira nel modo giusto. L'intensità dei dialoghi sono resi ancora più magnetici da un gioco di primi piani e inquadrature molto strette che colgono anche le più piccole variazioni di pensiero e rimandano alle gradazioni emotive che mutano anche in modo repentino, restituendo anche le più piccole differenze in modo autentico ed estremamente realistico. Il trucco è  un altro potente mezzo tecnico utilizzato sfruttando le sue elevate potenzialità e riportando in vita icone del passato che hanno in comune con il personaggio della storia vite difficili e drammi personali che le hanno segnate nel profondo, relegandole a infelicità croniche. In questo nuovo lavoro ritroviamo i personaggi cari al primo Besson, quei reietti scomodi affascinanti e carismatici, ultimi nella scala sociale che racchiudono in se profondità abissali, nei quali ci si perde per poi ritrovarsi con tutte le risposte. Un film potente nell' impianto, con una storia al limite del credibile che lascia attoniti, stupiti e commossi.
Come asseriva anche il filosofo Arthur Schopenhauer “chi non ha mai posseduto un cane, non sa cosa significhi essere amato”.

David Siena

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